Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8258 del 28/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 28/04/2020), n.8258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23531/2017 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– ricorrente –

contro

R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 477/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/04/2017 R.G.N. 2935/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede,ha rigettato l’opposizione proposta dall’Inps avverso il decreto ingiuntivo richiesto da R.A. nei confronti dell’INPS – Fondo di Garanzia per il pagamento del TFR per il lavoro alle dipendenze della (OMISSIS) srl.

A fondamento della decisione, ha osservato che la società – benchè fosse astrattamente suscettibile di fallimento – in concreto non avrebbe potuto essere dichiarata fallita per l’esiguo importo del credito del R. e risultando, la (OMISSIS), in liquidazione ed inattiva da molti anni. Secondo la Corte, pertanto, la richiesta di intervento dell’INPS – Fondo di garanzia era legittimamente fondata sul decreto ingiuntivo emesso nei confronti del datore di lavoro e sull’esito infruttuoso dell’azione esecutiva.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’INPS, articolato in un unico motivo. Il R. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con l’unico motivo l’INPS ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, commi 2 e 5, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 15 (nel testo modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 1.

Censura la sentenza per aver ritenuto non necessaria l’istanza di fallimento stante l’esiguità del credito inferiore ad Euro 30.000. Secondo la Corte il lavoratore, per dimostrare che il datore di lavoro astrattamente fallibile non possa in concreto essere dichiarato fallibile, è tenuto a presentare istanza al tribunale fallimentare e dunque produrre il provvedimento di detto tribunale di non potersi dar luogo al fallimento.

4. Il motivo è infondato.

5. Ritiene il Collegio di confermare quanto esposto nella recente sentenza n. 1887/2020.

Si è, con detta pronuncia, affermato che “Benchè questa Corte abbia recentemente affermato che la verifica da parte del tribunale fallimentare della non assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore, L. Fall., ex art. 15, u.c., costituisca un presupposto ò necessario, unitamente alla insufficienza delle garanzie patrimoniali a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata, per l’accesso alle prestazioni del Fondo per il pagamento del TFR e dei crediti di lavoro di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2 (Cass. nn. 21734 del 2018, cui ha dato continuità Cass. n. 3667 del 2019), reputa il Collegio che l’anzidetto orientamento non possa essere condiviso in ragione del principio generale desumibile dalla previsione di cui all’art. 34 c.p.c., secondo cui il giudice adito procede in via incidentale a tutti gli accertamenti preliminari rispetto alla risoluzione della controversia pendente innanzi a sè, salvo che, “per legge o per esplicita domanda di una delle parti”, sia necessario “decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene alla competenza per materia o per valore alla competenza di un giudice superiore”, nel qual caso “rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui”.

Va premesso, al riguardo, che questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui le prestazioni erogate dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS hanno natura previdenziale e non retributiva (così, tra le più recenti, Cass. n. 25016 del 2017): si tratta infatti di obbligazioni affatto autonome rispetto a quelle gravanti sul datore di lavoro e inserite nell’ambito di un rapporto assicurativo contributivo-previdenziale, ancorchè nella loro misura coincidenti, per ciò che specialmente riguarda il TFR, con le obbligazioni di cui è debitore il datore di lavoro, di talchè il loro sorgere è connesso ad un fatto costitutivo differente rispetto a quello che ne media la genesi nell’ambito del rapporto di lavoro.

Più precisamente, per ciò che riguarda il pagamento del TFR (rectius: della prestazione previdenziale modulata sul TFR spettante al lavoratore assicurato), tale fatto costitutivo consiste non già nella cessazione del rapporto di lavoro, ma nel verificarsi dei presupposti previsti dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, che sono rispettivamente, da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 e segg.) e, dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 5).

Con riguardo a tale ultima fattispecie, che è quella che rileva ai fini del presente giudizio, questa Corte ha precisato che l’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”, di cui all’art. 2, comma 5, cit., va interpretata nel senso che l’azione nei confronti del Fondo di garanzia deve trovare ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi perchè appartenente ad una categoria di imprenditori non sottoponibili neanche in abstracto ad una procedura concorsuale, vuoi perchè, in concreto, il fallimento non è o non è più esperibile per ragioni oggettive (cfr. fra le più recenti, Cass. n. 24767 del 2017), tra le quali rilevano adesso quelle di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, comma 1.

Ciò premesso, è evidente che, rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale cui è tenuto il Fondo di garanzia, la verifica della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico, che nessuna norma di legge impone che debba essere definita con efficacia di giudicato; di più, è una questione che nessuna delle parti del processo potrebbe validamente chiedere che sia decisa con efficacia di giudicato, dal momento che, svolgendosi la controversia previdenziale tra il lavoratore assicurato e l’ente previdenziale chiamato al pagamento ed essendo il datore di lavoro terzo estraneo a tale vicenda, l’accertamento che in essa dovesse essere compiuto circa la sua non assoggettabilità a fallimento non potrebbe mai far stato nei suoi confronti, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato stesso.

Non induce a diverse conclusioni l’argomentazione di Cass. n. 21734 del 2018, cit., che, al fine di affermare il necessario previo adito del giudice fallimentare, valorizza la circostanza che determinate situazioni che in concreto legittimerebbero l’esclusione della procedura concorsuale (quali, nel caso ivi deciso, “una soglia di rilevanza dell’insolvenza riferita all’indebitamento complessivo dell’impresa e non alla posizione del creditore istante per il fallimento”) possono essere accertate soltanto in sede fallimentare, cioè con il concorso degli altri creditori: questo è piuttosto un problema di prova, nel senso che, ad es., non si potrebbe ritenere provata la non assoggettabilità a fallimento di un imprenditore commerciale sulla base della mera allegazione, da parte del lavoratore assicurato che chieda l’intervento del Fondo, di un credito di importo inferiore alla soglia definita dalla L. Fall., art. 15, u.c.; in questo senso, anzi, va senz’altro rimarcato che il lavoratore assicurato, che adducendo una situazione di concreta non assoggettabilità al fallimento del proprio datore di lavoro chieda l’intervento del Fondo di garanzia, resta pur sempre onerato della prova delle circostanze costitutive del fatto che ha dato luogo al sorgere del rapporto previdenziale, tra le quali appunto la non assoggettabilità a fallimento del proprio datore di lavoro, sia essa predicabile in abstracto o in concreto, e il mancato o insufficiente assolvimento di tale onere non potrà che comportare il rigetto della domanda”.

6. Nel caso di specie, tuttavia, l’INPS, pur contestando che i giudici di merito avevano ritenuto sufficiente l’allegazione del lavoratore di vantare nei confronti del proprio datore di lavoro un credito di Euro 1368,80, si è limitato a ribadire l’erroneità della decisione basata sul presupposto che non dovesse essere necessario il provvedimento del competente Tribunale fallimentare con il quale si afferma di non dar luogo alla dichiarazione di fallimento per essere emerso dall’istruttoria prefallimentare che il complesso di tutti i debiti gravanti sul datore di lavoro fossero inferiori al limite minimo di fallibilità di cui alla L. Fall., art. 15, comma 9. Nè l’Inps ha formulato alcuna censura all’ulteriore argomento posto a base dalla Corte territoriale secondo cui la soc. (OMISSIS) aveva cessato ogni attività da anni e neppure circa la proposizione da parte del lavoratore di infruttuose azioni esecutive individuali.

7. In definitiva il ricorso dell’Inps deve essere rigettato. Non si deve provvedere sulle spese essendo il R. rimasto intimato. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020

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