Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8256 del 30/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 30/03/2017, (ud. 15/12/2016, dep.30/03/2017),  n. 8256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4477-2014 proposto da:

POLIGRAFICI EDITORIALE S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati MARCO MARAZZA,

DOMENICO DE FEO che la rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

S.S. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

S.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POLIGRAFICI EDITORIALE S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati MARCO MARAZZA,

DOMENICO DE FEO che la rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza definitiva n. 475/2013 della CORTE D’APPELLO di

ANCONA, depositata il 14/08/2013 R.G.N. 386/2010;

avverso la sentenza non definitiva n. 167/2013 della CORTE D’APPELLO

di ANCONA, depositata il 05/03/2014 R.G.N. 386/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito l’Avvocato MAURIZIO MARAZZA per delega Avvocato MARCO MARAZZA;

udito l’Avvocato CARLO BOZZI per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.S. in primo grado aveva chiesto accertarsi la natura subordinata del rapporto di lavoro intercoso con la società Poligrafici Editoriale spa a far tempo dal 11.6.1997, con diritto alla qualifica di redattrice ordinaria presso il giornale quotidiano il Resto del Carlino e con condanna della odierna ricorrente al pagamento delle differenze retributive tra quanto spettante in applicazione del CCNL giornalisti e quanto percepito in base al contratto di collaborazione autonoma con il quale era stata assunta; dichiararsi che la stessa era stata illegittimamente privata dell’attività lavorativa o comunque dichiararsi l’illegittimità del licenziamento da ritenersi effettuato in data 15.11.2003, con condanna alla reintegrazione ed al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Pesaro accoglieva parzialmente le domande, accertando che dal 11.6.1997 sino al 15.11.2003 si era svolto tra le parti un rapporto di lavoro subordinato con svolgimento da parte della S. di mansioni di redattrice ordinaria, con diritto al pagamento delle differenze retributive, da liquidarsi in separato giudizio tenuto conto delle modalità di svolgimento della prestazione (redazione di 70 articoli al mese nel settore cronaca bianca e cronaca locale, con collaborazione ad alcune rubriche, con argomenti assegnati dal caporedattore, con inserimento nella redazione e rispetto di orario giornaliero). Respingeva il Tribunale la domanda di reintegrazione in mancanza dell’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti, richiesta a pena di nullità ai sensi della L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 43.

La Corte d’Appello di Ancona con sentenza non definitiva n. 167/2013 accogliendo la censura svolta in via subordinata dalla società appellante, ha ritenuto che l’attività svolta dovesse ricondursi a quella di collaboratrice fissa, ponendo in evidenza che non bastava l’elemento della quotidianità della prestazione resa presso la redazione, essendo necessario l’espletamento di mansioni implicanti il coinvolgimento di quella che nel gergo giornalistico viene definita “cucina redazionale”, con ampia elaborazione del prodotto da editare sia in termini di definitiva revisione e selezione degli articoli sia sotto il profilo della composizione del giornale da pubblicare, richiedendosi un particolare inserimento nell’organizzazione necessaria per la compilazione del giornale.

La Corte ha poi ritenuto superata l’eccezione di tardività dell’allegazione dell’iscrizione all’albo dei praticanti giornalisti e del deposito del certificato di compiuta pratica con efficacia retroattiva dall’1.1.2002, avvenuto solo all’udienza del 21.3.2006, stante la decisività della produzione. Conseguentemente la Corte ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento, in quanto privo di giusta causa o di giustificato motivo, ordinando la reintegrazione nelle mansioni di collaboratrice fissa e la condanna non definitiva alle differenze retributive.

Con sentenza n. 475/2013 la Corte territoriale ha quantificato le spettanze retributive sia per il periodo lavorato sia per il periodo successivo alla reintegrazione nel posto di lavoro, determinando in Euro 3.365,16 la retribuzione mensile globale di fatto, sul presupposto della spettanza, alla data del licenziamento, di una retribuzione parametrata ad una produzione media di 70 articoli mensili con riferimento all’importo minimo previsto dall’art. 2 del CCNL di otto collaborazioni, diviso per otto e poi moltiplicandolo per 70, ritenendo tale valore congruo parametro per fissare un minimo indefettibile a tutela della lavoratrice.

La società ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo 2 motivi in relazione alla sentenza non definitiva e 2 motivi nei confronti della sentenza definitiva.

Ha resistito la S. con controricorso ed ha svolto ricorso incidentale, affidato a due motivi, nei confronti del quale è seguito, in risposta, il controricorso da parte della società.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Per ordine logico si esaminano i primi due motivi del ricorso principale ed i correlati due motivi di ricorso incidentale, che riguardano la sentenza non definitiva.

Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente lamenta la violazione e /o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione in particolare dell’art. 2094 c.c., in quanto nel caso in esame il rapporto di lavoro non sarebbe stato caratterizzato da etero direzione, non essendo la S. soggetta a vincoli di presenza, di orario, a vincolo gerarchico di assoggettamento al potere direttivo esercitato dalla redazione del Resto del Carlino e quindi ad obbligo di essere a disposizione della redazione. Ciò sarebbe confermato dall’esito dell’istruttoria testimoniale testi C., N. e I., che avevano escluso che la s. avesse vincolo di presenza e di orario. Inoltre la ricorrente censura la Corte per non aver considerato che, nel periodo in contestazione, la S. aveva intrattenuto diverse collaborazioni con altre testate giornalistiche, percependo i relativi compensi, come dalla tessa dichiarato nella richiesta del luglio 2003 di iscrizione retroattiva all’Albo dei giornalisti praticanti a decorrere dal 1992.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia del contratto di collaborazione, sottoscritto dalla S., in cui era stata la stessa lavoratrice a proporre una collaborazione in piena autonomia, consistente nell’inviare articoli su argomenti che di volta in volta le sarebbero stati indicati dalla redazione e retribuiti con un compenso lordo di Lire 15.000 ad articolo, senza alcun vincolo di subordinazione.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, essendo entrambi diretti a censurare la decisione della corte distrettuale per aver ritenuto sussistente la natura subordinata della prestazione lavorativa della S., effettuando sia un’ errata individuazione degli elementi caratterizzanti la fattispecie, sia un’ errata valutazione delle prove documentali e testimoniali, prove dalle quali secondo la società ricorrente sarebbero invece emersi elementi contrari e tali da escludere qualsiasi vincolo di subordinazione.

I motivi appaiono inammissibili nella misura in cui censurano in maniera promiscua tanto la violazione di legge quanto l’asserito omesso esame di un fatto decisivo, ma che in realtà finiscono per richiedere un nuovo e diverso esame dei fatti, attraverso una diversa valutazione in particolare delle prove testimoniali, prove che peraltro non sono state neanche trascritte completamente al fine di offrire alla Corte una corretta cognizione e valutarne la valenza probatoria.

I motivi sono comunque infondati. Diversamente da quanto ritenuto dalla società ricorrente, secondo cui la corte territoriale non avrebbe tenuto conto della volontà negoziale delle parti, le quali avevano qualificato collaborazione autonoma la prestazione lavorativa della S., come ricavabile proprio dalla proposta scritta della lavoratrice accettata dalla società, la Corte distrettuale ha valutato tale documento, ritenendolo giustamente insufficiente ed inidoneo a costituire prova della natura autonoma del rapporto, tenuto conto del successivo concreto svolgimento del rapporto. Per giurisprudenza oramai più che consolidata, ai fini dell’accertamento della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, non è sufficiente o determinante, ancorchè rilevante ai fini probatori, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, atteso che la qualificazione indicata dai contraenti potrebbe in concreto simulare un rapporto di natura autonoma al solo fine di eludere la disciplina in materia di lavoro subordinato (cfr per tutte Cass. 19199/2013).

Nè va dimenticato che la figura del collaboratore fisso si caratterizza per un’attività giornalistica continuativa che ha per oggetto il controllo della notizia, la sua elaborazione e quindi la stesura del pezzo o dell’articolo, con modalità di acquisizione delle notizie e verifica delle stesse su un particolare tema, che non necessariamente devono essere espletate in redazione (cfr Cass. n.3037/2011) e che pertanto tale figura non è incompatibile con attività giornalistica svolta contemporaneamente anche per altre testate, come si verificava nel caso della S.. In altri termini la pur assidua frequentazione della redazione può avere le più varie giustificazioni, tra cui profili di autonoma determinazione del giornalista e, ad esempio, di facoltativa utilizzazione da parte sua di opportunità logistiche messe a disposizione dalla redazione della testata.

Peraltro la valutazione degli elementi probatori, ivi compresa l’interpretazione degli atti scritti, è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento; e la Corte territoriale ha congruamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto che non sussistessero nel caso di specie gli elementi tipici delle mansioni riconducibili alla figura del redattore ordinario, quali per esempio il mancato coinvolgimento quotidiano nella attività redazionale nota come “cucina redazionale” e pertanto nessuna omessa valutazione di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, nella formulazione novellata, applicabile al presente giudizio ratione temporis, può riscontrasi.

2) Per le stesse ragioni va respinto anche il ricorso incidentale della S. con riferimento ai due motivi di impugnazione svolti: a) violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del ccnl giornalistico ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per non aver considerato che la mansione svolta andava senz’altro qualificata come attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza, atteso proprio il requisito della presenza quotidiana in redazione e b) l’omesso esame di fatto decisivo consistente appunto nell’avvenuto svolgimento di compiti redazionali.

I motivi, strettamente connessi e quindi valutabili congiuntamente, si presentano egualmente inammissibili e comunque infondati, per le stesse ragioni prima evidenziate con riguardo al ricorso principale, non emergendo dalle censure espresse un’omessa valutazione su fatto decisivo non valutato dalla sentenza impugnata, oggetto di discussione tra le parti, ma risolvendosi la censura in una diversa ed inammissibile valutazione delle prove.

Ed infatti le testimonianze riportate nel ricorso incidentale, nel descrivere l’attività anche quotidiana della S. collegano tale attività e quindi la relativa sua presenza in redazione alla sola predisposizione dei pezzi a lei assegnati, con nessuno specifico riferimento ad attività non correlate a detta finalità, quale appunto l’espletamento di mansioni riconducibili alla” cd cucina redazionale”, a cui i redattori ordinari sono chiamati ad espletare quotidianamente, come congruamente motivato dal giudice di merito.

3.1) Il terzo e quarto motivo del ricorso principale censurano la sentenza definitiva ed in particolare: a) con il terzo motivo la società la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 dell’art. 2 del CCLG del gennaio 1959, recepito nel D.P.R. n. 153 del 1961, e della Tabella A) allegata al contratto, in relazione alla determinazione della retribuzione mensile effettuata dalla Corte territoriale con una mera operazione matematica, costituita nel moltiplicare per il numero medio mensile di 70 articoli scritti, il compenso di ciascun articolo, a sua volta determinato dividendo per otto l’importo previsto dalla tabella A allegata al CCLG nella misura di 454,93, quale importo minimo spettante per la realizzazione di almeno 8 collaborazioni al mese. Lamenta la ricorrente in particolare la violazione dei parametri indicati nell’art. 2, comma 4, del CCLG citato che prevede una retribuzione proporzionata all’impegno della collaborazione ed alla natura ed importanza delle materia trattate, oltre che al numero delle collaborazioni, tutte valutazioni che sarebbero state omesse dalla Corte territoriale.

3) Con il quarto motivo la ricorrente lamenta ancora la violazione o falsa applicazione del contratto collettivo all’art. 2 e della allegata Tabella A, per non avere la Corte ritenuto proporzionata la retribuzione di fatto percepita dalla S. quale compenso per la collaborazione coordinata e continuativa,compenso che coincideva in concreto, con la retribuzione tabellare del ccnl per otto collaborazioni, pari ad Euro 716,73 lordi – pari ad Euro 454,93 netti-.

3.2) Il terzo motivo di gravame è fondato.

Questa corte si è già espressa (cfr da ultimo, Cass. n. 6777/2015) in merito alle modalità di determinazione del compenso spettante al collaboratore fisso alla luce di quanto previsto dall’art. 2, comma 4 del CCLG che così si esprime: “Il collaboratore fisso ha diritto ad una retribuzione mensile proporzionata all’impegno di frequenza della collaborazione ed alla natura ed importanza delle materie trattate ed al numero mensile delle collaborazioni. Tale retribuzione ivi comprese in quanto di ragione le quote di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione medesima non potrà comunque essere inferiore a quella fissata nella tabella allegata al presente contratto (pag. 117) rispettivamente per almeno 4 o 8 collaborazioni al mese. Limitatamente ai collaboratori fissi addetti ai periodici nella tabella allegata al presente contratto è fissata anche la retribuzione minima per almeno 2 collaborazioni al mese”.

Secondo la sentenza impugnata avendo la contrattazione collettiva individuato una retribuzione mensile minima sulla base di almeno 8 collaborazioni, significa che le parti collettive hanno ritenuto di determinare il compenso per ogni singola collaborazione nel rapporto esistente tra la retribuzione individuata ed in numero delle collaborazioni, di modo che il compenso unitario deve essere moltiplicato per il numero di tali articoli, così dovendosi intendere il termine collaborazione. Tale interpretazione ha portato la Corte a quantificare in Euro 3.365,16 la retribuzione mensile, in presenza di 70 pezzi comunque redatti, in media, mensilmente.

3.3) Tale interpretazione non rispetta ad avviso della Corte la volontà delle parti contraenti per come gli stessi si sono chiaramente espressi nella clausola prima riportata, la quale condiziona la determinazione della retribuzione mensile proporzionata a specifici fattori che vanno valutati congiuntamente: frequenza della collaborazione, natura ed importanza delle materie trattate, numero mensile delle collaborazioni.

Ed infatti è appena il caso di rilevare che il parametro costituito dal valore unitario della singola collaborazione che si desume dalle tabelle allegate al CNLG, i quale indica dalle 2 fino alle 8 collaborazioni per individuare la retribuzione proporzionata, è chiaramente finalizzato ad evitare “uno sconfinamento inferiore al minimo contrattuale”, ma certamente non può ritenersi un’indicazione vincolante per riproporzionare con un criterio meramente matematico la retribuzione spettante nelle ipotesi di collaborazioni ampiamente superiori. Tale criterio infatti non può ritenersi rientrante nei poteri di apprezzamento discrezionale del giudice di merito, in presenza degli ulteriori elementi che la norma collettiva impone di considerare.

Nel caso di specie, in definitiva, il criterio assunto dalla corte a fondamento del suo procedimento valutativo non ha utilizzato tutti i parametri indicati dalla norma di cui all’art. 2 del contratto collettiva, analizzando più specificamente gli elementi probatori acquisiti al processo (cfr. Cass. n. 6777/2015 cit.).

3.4) La determinazione del compenso quindi va operata non solo e non tanto in base al numero delle collaborazioni, che possono essere in realtà classificate sia articoli o servizi ed anche come mere notizie, ma considerando un compenso medio riguardo alla classificazione di tali diverse prestazioni, che vanno pertanto valutate anche nella loro “natura ed importanza”, come richiede la norma collettiva. Norma che richiede altresì la valutazione dell’impegno di frequenza delle collaborazioni, aspetto che non può che attenere alle modalità di svolgimento delle prestazione, anche in termini temporali correlati all’importanza dell’argomento oggetto del servizio e dell’articolo trattato. Tutti elementi che la Corte territoriale ha omesso di valutare e che dovevano accertarsi attraverso l’esame in particolare o della produzione documentale degli elaborati prodotti dalla S., ma anche dell’istruttoria testimoniale espletata in primo grado, per quanto attinente alla valutazione dell’elemento dell’impegno dell’effettiva frequenza della collaborazione, non omettendo di considerare peraltro il contestuale e non contestato svolgimento anche di altre collaborazioni.

Consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al terzo motivo accolto, assorbito il quarto motivo che di fatto ha analogo oggetto, con il rinvio della causa ad altro giudice, individuato in dispositivo, il quale nel riesame dei punti oggetto dell’annullamento, si atterrà ai criteri già indicati al paragrafo 3.4). Allo stesso giudice si demanda anche la regolazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il terzo motivo, assorbito il quarto. Rigetta il ricorso incidentale e cassa la sentenza in relazione al motivo di ricorso principale accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bologna.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017

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