Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8256 del 28/04/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/04/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 28/04/2020), n.8256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11628/2017 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BENEDETTO CAIROLI, 2,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

R.E., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5549/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/11/2016 R.G.N. 3203/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ANGELO ABIGNENTE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, in accoglimento del ricorso proposto da R.E. ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città e – nel premettere che tra la SOGAF s.r.l. (poi S.A.E.S. s.p.a.) di cui il R. era dipendente e Trenitalia s.p.a. non era mai intercorso un contratto di somministrazione, ma, piuttosto, un contratto di appalto per servizi di pulizia del materiale rotabile ed attività collegate ha accertato che il R. non era mai stato adibito ai compiti di pulizia oggetto dell’appalto ma aveva invece sempre coadiuvato i dipendenti di Trenitalia nello svolgimento di operazioni tecniche di manutenzione risultando stabilmente inserimento nelle squadre tecniche della società committente che, nell’esercizio del potere conformativo proprio del datore di lavoro, lo aveva assegnato a mansioni diverse da quelle oggetto dell’appalto risultandone così dimostrata la reale qualità di effettivo datore ed irrilevante la circostanza che il R. nel corso della prestazione indossasse la divisa della S.A.E.S. o che venisse da questa pagato.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre Trenitalia s.p.a. che articola quattro motivi ai quali resiste il R. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4. Sostiene la ricorrente che senza alcuna spiegazione e giustificazione è stato irritualmente allargato l’oggetto della domanda ad un arco temporale più ampio di quello dedotto. Deduce infatti che il rapporto tra Trenitalia s.p.a. e la S.A.E.S. s.p.a. ha avuto inizio nel 2006 ed è cessato nel 2009 e dunque il periodo antecedente, rispetto al quale genericamente è ricordata in ricorso una successione di contratti con altre società di somministrazione, non poteva essere preso in considerazione ai fini della ricostruzione dell’unico rapporto di lavoro sin dal 1999.

4. La censura è infondata.

4.1. La sentenza esamina esclusivamente il rapporto intercorso con la S.A.E.S. s.p.a. ed esclude, con accertamento in fatto che in questa sede non è più censurabile, che il R. abbia mai svolto i compiti affidati in appalto alla società da Trenitalia evidenziando che al contrario era inserito stabilmente nelle squadre tecniche della società.

4.2. Nel compiere tale accertamento la Corte non prende specificatamente in esame le mansioni svolte prima dell’assunzione dell’appalto da parte della società SAES e non ne menziona affatto l’esistenza. Riferisce la sentenza che il R. “ha sempre lavorato collaborando con una squadra di tecnici dipendenti di Trenitalia” e che non ha “mai espletato le mansioni di pulizia previste nell’appalto” ma con tali espressioni non mostra affatto di aver preso in esame periodi antecedenti l’appalto intercorso con la SAES s.p.a..

4.3. Nè dal ricorso è possibile evincere con esattezza quali fossero le allegazioni del ricorrente in primo grado ed era onere della società riprodurne il contenuto in modo tale da consentire alla Corte una verifica dell’ambito della censura formulata.

4.4. In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c., affermandosi l’insussistenza della domanda con l’estensione poi accolta, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, non potendo a tal fine limitarsi a generici ed insufficienti richiami a atti e documenti di primo grado di cui non è riprodotto il contenuto essenziale.

5. Con il secondo motivo di ricorso e dedotta la violazione del artt. D.Lgs. n. 276 del 2003, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28 e la falsa applicazione art. 29 stesso D.Lgs.. Sostiene la ricorrente che nella sentenza, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sarebbe stata mutata la domanda e si sarebbe ritenuto che sulla base delle allegazioni contenute nel ricorso si potesse esaminare la domanda in termini di violazione della disciplina degli appalti invece che, come allegato come una somministrazione irregolare. Si tratta di domanda radicalmente diversa perchè ontologicamente diversi sono gli istituti della somministrazione dell’appalto.

6. La censura è infondata.

6.1. Premesso che la stessa società oggi ricorrente ha opposto in giudizio che non si trattava di somministrazione ma di appalto che,comunque, era lecito, rileva il Collegio che il bene della vita chiesto era la costituzione del rapporto di lavoro alle dirette dipendenze di Trenitalia s.p.a. ed i fatti allegati al ricorso dal R. potevano essere qualificati dalla Corte di appello secondo lo schema normativo corretto ed agli stessi aderente assenza che per questo il giudice incorresse in una errata interpretazione delle norme o in una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

6.2. La Corte ha correttamente evidenziato quali sono le differenze tra il contratto di appalto e quello di somministrazione ed ha accertato in concreto che il rapporto tra le due società era regolato da un appalto di servizi, salvo poi in concreto escludere che l’attività svolta dal R. – dipendente della società appaltatrice – fosse effettivamente riferibile all’appalto ritenendo dimostrato invece uno stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione della committente e traendone le necessarie conseguenze previste dalla legge, che è il giudice ad applicare sulla base dei fatti che gli sono allegati in giudizio e risultano nello stesso dimostrati.

7. Anche il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione L. n. 1369 del 1960, art. 1 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere accolto.

7.1. Osserva la ricorrente che la sentenza applicherebbe la disciplina dettata per gli appalti illeciti che non può estendersi ad una domanda con la quale si denuncia la nullità del contratto di somministrazione. Inoltre errerebbe nel richiamare la disciplina della L. n. 1369 del 1960, laddove invece la fattispecie sarebbe semmai regolata invece dal D.Lgs. n. 276 del 2003, ratione temporis applicabile al caso concreto. Infine, in ogni caso, il discrimine tra appalto lecito ed illecito andrebbe ravvisato nella presenza o meno dell’organizzazione della forza lavoro da parte dell’impresa appaltatrice e nella gestione e controllo della forza lavoro, sicchè c’è appalto genuino se c’è assunzione del rischio d’impresa e della responsabilità dell’organizzazione dei mezzi ed esercizio dei poteri datoriali mentre il controllo tecnico sul corretto svolgimento delle attività relative al regolare funzionamento dell’impianto può appartenere al committente e non interferisce con i poteri di gestione che appartengono all’appaltatore.

7.2. Tuttavia le suggestive osservazioni della ricorrente sono superate dalla circostanza di fatto accertata dalla Corte che il rapporto tra le parti ha avuto un inizio ben più risalente di quello che la società oggi pretende di affermare e la Corte di merito si è attenuta esattamente ai principi più volte affermati da questa Corte che esclude la liceità dell’appalto ove l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, mantenendo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (cfr. Cass. 05/10/2002 n. 14302 e recentemente Cass. 25/10/2018 n. 27105).

8. Il quarto motivo di ricorso, con il quale è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere anch’esso rigettato.

8.1. La Corte territoriale non trascura affatto di considerare che vi erano altri servizi connessi a quelli di pulizia oggetto dell’appalto ed anzi prende in considerazione le attività collegate per escludere che il R. vi sia stato adibito accertando che svolgeva compiti funzionali alle attività delle squadre tecniche prendendo i materiali dal magazzino e portandoli ai tecnici. Da tale accertamento in fatto trae il convincimento dell’esercizio da parte di Trenitalia di un potere direttivo ed organizzativo nei confronti del lavoratore caratteristico appunto del datore di lavoro.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, vanno pose a carico della società soccombente e distratte in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato anticipatario.

9.1. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poi, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Spese da distrarsi in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020

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