Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8255 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 07/04/2010), n.8255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3331-2007 proposto da:

ROMA CENTRO DI SPADA FABIO & C S.A.S., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RUBICONE 42, presso lo studio dell’avvocato DE MEO CARLA, che la

rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 16,

presso lo studio dell’avvocato CERUTTI GILBERTO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ZANELLO ANDREA, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2532/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/05/2006 R.G.N. 3268/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato TURCO M. LUCREZIA per delega DE MEO CARLA;

udito l’Avvocato ZANELLO ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco che ha concluso per inammissibilità del ricorso, in

subordine rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20.3/12.5.2006 la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da S.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede in data 15.10.2003, condannava la Roma Centro sas al pagamento della somma di Euro 52.420,28 a titolo di differenze retributive. Osservava la corte territoriale, con riferimento alla retribuzione di fatto corrisposta al lavoratore, che il patto di conglobamento nei compensi corrisposti per la prestazione lavorativa di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto era da ritenersi ammissibile solo se dal patto medesimo risultassero gli specifici titoli cui riferire la prestazione patrimoniale complessiva, poichè solo in tal caso era superabile la presunzione per cui il compenso è dovuto quale corrispettivo della sola retribuzione ordinaria. Me deriva che, nella fattispecie, non risultando alcun patto scritto, la retribuzione di fatto, per il periodo in cui aveva ecceduto il minimo contrattuale, doveva ritenersi erogata quale trattamento di miglior favore, senza che, peraltro, potesse giustificarsi quale compenso forfetizzato per il lavoro straordinario, stante la necessità della specifica e preventiva fissazione, anche in tale ipotesi, del numero delle ore di lavoro straordinario compensate in tal forma. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Roma Centro con tre motivi. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, S. P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 2099 e 2697 c.c., osservando che la corte territoriale aveva erroneamente trascurato di considerare che il riconoscimento di una retribuzione superiore ai minimi legali (cd. superminimo) deve essere giustificato da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione è tenuto lo stesso lavoratore, e che, in difetto, i compensi eccedenti il minimo contrattuale, “in linea col principio di assorbimento”, sono soggetti a compensazione con gli eventuali crediti del lavoratore.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2108 e 2697 c.c., del CCNL 6.10.1994, nonchè vizio di motivazione, osservando che contraddittoriamente il giudice di merito aveva ritenuta incontestata la circostanza che il lavoratore aveva osservato, per tutta la durata del rapporto di lavoro, un orario di 58 ore, ma, nello stesso tempo, aveva disconosciuto la rilevanza di tale circostanza (e cioè, che il lavoratore avesse svolto, in modo fisso e predeterminato, almeno 18 ore di lavoro straordinario al mese) ai fini della validità del conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria.

Con l’ultimo motivo, infine, la ricorrente, prospettando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 e 2108 c.c., del CCNL 6.10.1994, nonchè vizio di motivazione, si duole che la corte territoriale abbia ritenuto incontestato il calcolo delle differenze retributive sebbene “ogni difesa, (fosse) stata specificamente imperniata sul rigetto della domanda del lavoratore”. Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, nel ritenere operante la presunzione che, in mancanza della prova di un patto di conglobamento, la retribuzione corrisposta dal datore di lavoro deve imputarsi a titolo di paga base, con conseguente non ascrivibilità degli eventuali trattamenti superiori ai minimi contrattuali agli istituti accessori, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, affermato da questa Suprema Corte nei suoi precedenti, secondo il quale non è valido il patto di conglobamento di tutte le voci retributive in una somma complessiva da erogarsi mensilmente, senza che sia specificato l’importo da erogare per ciascuna voce retributiva, in quanto il patto di conglobamento nella retribuzione ordinaria dei compensi ulteriormente dovuti al prestatore di lavoro subordinato per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie, il compenso per le festività) può essere ammesso solo se dal patto stesso risultino gli specifici titoli cui è riferibile il compenso complessivo, poichè solo in tal caso si rende superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto (cfr. Cass. n. 8097/2002; Cass. n. 10395/1998; Cass. n. 7696/1996).

Alla luce di tale principio, la corte territoriale, con accertamento di fatto correttamente motivato ed in questa sede insindacabile, ha escluso che, nella fattispecie, vi fosse prova di un simile patto e ne ha fatto discendere le conseguenze già precisate dalla giurisprudenza.

Nè ad escludere tale esito può valere il richiamo al criterio dell’assorbimento (che si impernia sul “trattamento globale più favorevole” tra quello di fatto goduto – comprensivo di ogni compenso pattuito – e quello spettante sulla base dei minimi contrattuali, con conseguente imputazione alle competenze indirette degli emolumenti eccedenti i primi), trovando tale criterio fondamento, per come si avverte nella decisione impugnata, nella diversa situazione della conversione di un rapporto (qualificato ab origine come) autonomo in un contratto di prestazione d’opera subordinata, che impone di prendere in considerazione il complesso dei compensi, fissi e variabili, corrisposti al lavoratore, nell’assenza di voci di credito direttamente rapportabili e ascrivibili alla tipologia del lavoro subordinato (v. ad es, da ultimo Cass. n. 1261/2006) e nella conseguente necessità di operare un raffronto, in termini globali, fra il “percepito” e il “dovuto”.

Ed, a maggior ragione, risulta irrilevante il riferimento alla prova di un “superminimo”, che è questione nuova ed estranea ai precedenti gradi del processo, e che, peraltro, rileva essenzialmente nella prospettiva della regolazione dei rapporti fra la fonte collettiva e il patto individuale, ai fini dell’assorbimento delle pattuizioni individuali nei miglioramenti contemplati dalla susseguente disciplina collettiva (v. al riguardo ad es. Cass. n. 12788/2004), laddove,nel caso in esame, l’unica questione realmente significativa e controversa è quella della retribuzione di fatto e dei criteri che ne descrivono il significato e l’imputazione. Pure il secondo motivo è infondato.

Ha osservato la decisione impugnata che la forfetizzazione dei compensi per il lavoro straordinario postula la previa determinazione di un determinato numero di ore di lavoro straordinario compensate in tale forma e che tale situazione, di chiara e certa individuazione negoziale delle straordinario forfetizzato, non era riscontrabile nel caso in esame.

Correttamente, pertanto, si è richiamato il principio che prescrive, ai fini della validità del patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, che in tal patto sia determinato quale sia il compenso per il lavoro ordinario e quale l’ammontare del compenso per il lavoro straordinario, in modo da consentire al giudice il controllo circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettante per legge o in virtù della contrattazione collettiva, con la conseguenza che il patto deve ritenersi nullo (v. ad es da ultimo Cass. n. 27027/2008) se non risultano riconosciuti tali diritti inderogabili, o quando non sia specificato quale sia il compenso per il lavoro ordinario e quello per il lavoro straordinario, o per altre voci, secondo i criteri già in precedenza rammentati.

Il ricorso va, dunque, rigettato con assorbimento di ogni altra questione. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 26,00 per esborsi ed in Euro 2000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

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