Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 825 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 825 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 6394 — 2008 R.G. proposto da:
CENCI VERA — CNCVRE23A69E625W, elettivamente domiciliata in Roma, alla via
Cicerone, n. 28, presso lo studio dell’avvocato Giovanna Pansini che la rappresenta e difende
in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
RICORRENTE
contro
BARONI MARIA LETIZIA — BRNMLT50D62E625H, elettivamente domiciliata in Roma,
alla via G. G. Belli n. 27, presso lo studio dell’avvocato Giacomo Mereu, che, unitamente
all’avvocato Renzo Verdianelli, la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al
controricorso.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza n. 1130 dei 12.6/25.7.2007 della corte d’appello di Firenze,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5 dicembre 2013 dal consigliere
dott. Luigi Abete,

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Data pubblicazione: 16/01/2014

Udito l’avvocato Paolo Mereu, delegato dagli avvocati Giacomo Mereu e Renzo Verdianelli,
per la controricorrente;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Sergio Del
Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Livorno Maria Letizia Baroni, chiedendo che si accertasse che ella attrice era l’unica erede di
Piero Vannucci e, per l’effetto, che si dichiarasse la nullità di qualsivoglia atto di disposizione
relativo all’immobile sito in Livorno, alla via Ferrigni, n. 44, piano 3 0 , eventualmente posto in
essere dalla convenuta, con ogni conseguente ordine al competente conservatore dei RR.II..
Deduceva in particolare la Cenci che dal testamento olografo in data 3.1.1991 di Piero
Vannucci si evinceva che ella attrice ne era l’unica erede
Si costituiva Maria Letizia Baroni, chiedendo il rigetto dell’avverso domanda.
All’uopo deduceva che dal testamento era dato desumere univocamente che Piero
Vannucci aveva inteso attribuire alla ricorrente unicamente il diritto d’usufrutto dell’immobile
sito al terzo piano del civico n. 44 di via C. Ferrigni ed aveva riservato ad ella convenuta, sua
figlia naturale, la nuda proprietà del medesimo cespite.
Con sentenza n. 1458 del 2004 il giudice adito rigettava la domanda dell’attrice e
compensava integralmente tra le parti in lite le spese di giudizio.
Avverso tale statuizione proponeva appello la Cenci, chiedendone l’integrale riforma.
Resisteva Maria Letizia Baroni, instando per il rigetto del gravame principale ed, in via
incidentale, per la riforma della decisione di prime cure limitatamente alla disposta
compensazione delle spese di giudizio.

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Con atto notificato in data 20.9.2002 Vera Cenci citava a comparire innanzi al tribunale di

Con sentenza n. 1130 del 2007 la corte d’appello di Firenze rigettava l’appello principale
e condannava, altresì in accoglimento dell’appello incidentale della Baroni, la Cenci a
rimborsare alla controparte le spese del doppio grado.
Avverso la statuizione d’appello ha spiegato ricorso la Cenci, chiedendone la cassazione
con vittoria di spese e competenze di ogni grado.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c. il
vizio di omessa e insufficiente motivazione in rapporto agli artt. 1363 e 692 c.c..
In particolare adduce che il giudice di secondo grado erroneamente ” la
censura reiterata dall’appellante alla sentenza di primo grado in ordine all’errata
interpretazione delle disposizioni testamentarie con una scarsa ed apodittica motivazione,
ritenendo che il gravame fosse inteso unicamente a far chiarezza sui rapporti di parentela tra
la Cenci, il Vannucci e la Baroni” (così ricorso, pag. 5); che, viceversa, mai ella ricorrente “si
è sognata di chiedere ai Giudici di merito l’accertamento dell’inesistenza di alcun legame di
parentela tra il Vannucci e la Baroni, legame asserito da controparte per conferire
ragionevolezza alle disposizioni testamentarie del Vannucci” (così ricorso, pag. 6); che “la
motivazione espressa dalla Corte di Appello di Firenze è più che carente, inesistente. Non una
parola è stata spesa per confermare sia pure per relationem, l’interpretazione delle
disposizioni testamentarie del Vannucci” (così ricorso, pag. 6); che il tribunale di Livorno ha
malamente interpretato la scheda testamentaria “nel senso che fosse intenzione del Vannucci
lasciare alla Cenci solo l’usufrutto dell’appartamento, attribuendo invece alla Baroni la nuda
proprietà dell’immobile” (così ricorso, pag. 7); che nessun valore ha, invece, attribuito
all’espressione , che… costituisce la vera chiave di lettura della
scheda” (così ricorso, pag. 7); che “nella fattispecie si verte in ipotesi di sostituzione

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La Baroni ha depositato controricorso.

fedecommissaria, avendo il Vannucci nominato quale unica erede del proprio patrimonio la
Sig.ra Vera Cenci” (così ricorso, pagg. 7 8); che “la sostituzione fedecommissaria è vietata

dalla legge e la relativa condizione deve considerarsi come non apposta” (così ricorso, pag.
8); che “è indubitabile che il Vannucci abbia voluto subordinare l’acquisto della qualità di

erede della Baroni alla morte o ad un grave impedimento della Cenci” (così ricorso, pag. 8).

vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..
In particolare adduce che “i documenti depositati nei gradi di merito dalla Cenci e del
tutto ignorati dalla Corte di Appello avrebbero, tra l’altro, potuto validamente contribuire a
fornire importanti indicazioni circa la effettiva volontà del testatore” (così ricorso, pag. 11);
che “dal decesso del Vannucci, intervenuto il 10/12/94, alla data di notificazione dell’atto
introduttivo del procedimento (20/9/02) la Sig.ra Baroni non ha mai compiuto alcuna attività
coerente con la qualità di erede del Vannucci e di proprietaria dell’appartamento di Via
Ferrigni, non ha versato imposte, non ha dichiarato il bene, non si è occupata della sua
manutenzione e conservazione, non ha concorso nel pagamento dell’imposta di successione”

(così ricorso, pag. 12); che “non risultano in alcun modo esplorate o ricercate, al di là del dato
letterale, le finalità che il Vannucci intendeva perseguire, poiché qualora la Corte di Appello
avesse proceduto in tal senso, come la legge impone, avrebbe accertato che nella fattispecie la
Sig.ra Cenci ha la qualità di e la Sig.ra Baroni quella di ” (così ricorso,

pag. 13).
Si reputa opportuno attendere alla contestuale disamina di ambedue i motivi di ricorso.
Entrambi in ogni caso sono a vario titolo inammissibili.
Va debitamente premesso che il giudice di seconde cure ha in motivazione così,
testualmente ed esclusivamente, statuito in ordine all’appello principale esperito da Vera
Cenci: “il Tribunale è pervenuto alla decisione che s’è detta sulla scorta della lettura ed
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Con il secondo motivo la ricorrente deduce in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c. il

interpretazione della disposizione testamentaria, nessun rilievo attribuendo, se non ai fini di
evitare alla Cenci la condanna alle spese di lite, a quel rapporto di filiazione tra le parti che
pare desumersi dalle difese iniziali della stessa attuale appellante. L’allegazione secondo cui
non vi sarebbe rapporto di parentela tra il Varmucci e la Baroni costituisce elemento del tutto
indifferente ai fini del decidere la controversia riguardante l’individuazione della persona che,

addotto ad unico motivo di gravame, oltreché infondata, dal momento che il Tribunale non ha
mai affermato la sussistenza di un rapporto di discendenza tra il Vannucci e la Baroni, a nulla
rileva per i fini cui il mezzo di impugnazione tende” (così sentenza di seconde cure, pag. 3).
Su tale scorta va in questa sede, per un verso, reiterato l’insegnamento alla cui stregua il
controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione, eccettuata l’ipotesi della cosiddetta

revisio per saltum, ha per oggetto la sola decisione di appello e non anche la decisione di
primo grado e le considerazioni che la sorreggono, sicché è inammissibile la censura, proposta
dal ricorrente per cassazione, che investa non già la sentenza di appello bensì quella di primo
grado (cfr. Cass. sez. lav. 18.7.1989, n. 3367; Cass. 6.2.1989, n. 722).
Sulla medesima scorta va in questa stessa sede, per altro verso, ribadito l’insegnamento
per cui i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di
inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla
decisione impugnata (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).
In questi termini ambedue i motivi di ricorso devono considerarsi inammissibili in
relazione ai profili tutti che non hanno attinenza alcuna alla ratio decidendi della pronuncia di
secondo grado e che investono, al contempo, le argomentazioni fondanti la statuizione in
prime cure del tribunale di Livorno.
Va, in ogni caso, debitamente specificato che la corte distrettuale esclusivamente
allorché ha accolto il gravame incidentale esperito da Maria Letizia Baroni — onde conseguire

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in base a testamento, deve reputarsi erede. Ne discende che quella doglianza che la Cenci ha

la riforma della pronuncia di primo grado limitatamente alla parte in cui recava
compensazione delle spese di lite — ha, ben vero concisamente, delibato la quaestio
dell’interpretazione della scheda testamentaria, opinando per la chiarezza della

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testatoris.
Va sottolineato, d’altro canto, che il ricorso per cassazione – in ragione del principio di

ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la
valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte – a
fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di
merito (cfr. in tal senso Cass. 20.1.2006, n. 1113, ove, sulla scorta dell’affermato principio, si

soggiunge che il ricorrente per cassazione, il quale deduca l’omessa o insufficiente
motivazione della sentenza impugnata in relazione alla mancata ammissione di una prova
orale, ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la prova non ammessa dal giudice
(nella specie, il ricorrente non aveva riportato i capitoli della prova per testi non ammessi),
dato che, per il citato principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo
deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui
lacune non è possibile sopperire con indagini integrative; cfr. Cass. 4.9.2008, n. 22303; cfr.
Cass. 31.5.2011, n. 11984, secondo cui l’onere della indicazione specifica dei motivi di
impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, 10
co., n. 4), c.p.c.), qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è
proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio
di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in
modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le
circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa
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cosiddetta “autosufficienza” – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le

decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al
giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti
controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata).
In tal guisa va rimarcato che la corte distrettuale ha esplicitamente ed univocamente
affermato che Vera Cenci ha addotto quale unico motivo fondante il suo appello principale la

(così sentenza d’appello, pag. 3).
Ne discende che la ricorrente avrebbe dovuto, innanzitutto, riprodurre fedelmente nel
corpo del ricorso a questo giudice del diritto il testo dei motivi dell’appello principale
all’uopo esperito, onde dar ragione dell’erroneità della riferita affermazione della corte di
merito.
Il mancato assolvimento di tale incombenza induce inesorabilmente alla declaratoria di
inammissibilità — pur a tale titolo — di ambedue i motivi di ricorso.
La ricorrente, giacché soccombente, va condannata al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al
giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00#, oltre euro 300,00# per esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

circostanza “secondo cui non vi sarebbe rapporto di parentela tra il Vannucci e la Baaroni”

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