Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 825 del 15/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 825 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 12864-2010 proposto da:
IACOMINO ANDREA, GIUGLIANO SALVATORE, FUSO SALVATORE,
FORMISANO COLOMBA, GIACOBBE SALVATORE, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA P. LEONARD’ CATTOLICA N. 3,
presso lo studio dell’Avvocato ALESSANDRO FERRARA,
rappresentati e difesi dall’avvocato SILVIO FERRARA,
2012

giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –

7941
contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA
in persona del Ministro

E

DELLE FINANZE 804157/0580\
pro

tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 15/01/2013

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende ape legis;
– controricorrente –

avverso il decreto n. 1223/09 V.G. della CORTE

13/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/11/2012 dal Consigliere Relatore Dott.
SALVATORE DI PALMA;
è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO
SORRENTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di NAPOLI dei 30/09/09, depositato il

Equa riparazione

R.g. n. 12864/10 — U. P. 9 novembre 2012

Ritenuto che Andrea lacomino e le altre quattro persone indicate in epigrafe, con ricorso del 7
maggio 2010, hanno impugnato per cassazione — deducendo due motivi di censura, illustrati con
memoria —, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte
d’Appello di Napoli, depositato in data 13 ottobre 2009, con il quale la Corte d’appello,
pronunciando sul ricorso dei predetti ricorrenti — vòlto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non
patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in contraddittorio
con il Ministro dell’economia e delle finanze — il quale, costituitosi, ha concluso per
l’inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso —, ha respinto il ricorso;
che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale — richiesto per
l’irragionevole durata del processo presupposto nella misura di € 24.000,00 — proposta con ricorso
del 4 marzo 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) i predetti ricorrenti, asseritamente titolare del
diritto ad un diverso inquadramento nei ruoli della Regione Campania, avevano promosso — con
ricorso del 19 dicembre 1991, iscritto al n. del registro generale 57111992 — causa dinanzi al
Tribunale amministrativo regionale per la Campania; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso
la causa;
che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato, ha affermato che, nella
specie, il ricorrente non aveva allegato al ricorso alcuna documentazione del processo presupposto,
che attestasse in particolare la qualità di parti dei ricorrenti ed il numero di ruolo generale o di
sezione, qualità che non risultava neppure dal sito internet della giustizia amministrativa, sicché in
mancanza di tali prove la domanda doveva essere respinta.
Considerato che, con i motivi di censura, vengono tra l’altro denunciate dal ricorrente come
illegittime, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione: a) l’omessa applicazione dell’istituto della
acquisizione officiosa degli atti del processo presupposto, esplicitamente richiesto dagli stessi
ricorrenti; b) l’omessa considerazione che il ricorrente aveva indicato la promozione del processo
dinanzi al T.a.r. per la Campania, la data di inizio del processo, il numero di ruolo generale e la sua
attuale pendenza, dati questi non solo sufficienti ma anche idonei al sollecitato esercizio dei poteri
di acquisizione officiosa del fascicolo del processo presupposto;
che tali censure meritano accoglimento, con assorbimento di ogni altro motivo o profilo di
censura;
che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per la
violazione del termine ragionevole di durata del processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà —
prevista dall’art. 3, comma 5, della legge 24 marzo 2001, n. 89 — di richiedere alla corte d’appello di
disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla
mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato
accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo, in quanto la parte ha
un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data

Sentenza

che, nella specie, i Giudici a quibus nonostante abbiano affermato che i ricorrenti avevano
indicato l’organo giurisdizionale adito, la data di inizio del processo presupposto e la sua attuale
pendenza ed avevano richiesto l’esercizio dei poteri offieiosi di cui all’art. 3, comma 5, della legge
n. 89 del 2001 — hanno, in palese violazione dei qui ribaditi principi, rigettato il ricorso, per mancata
prova della qualità di parti dei ricorrenti;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito,
ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.;
che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, sussistendo il diritto all’equa
riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001, si ritiene equo
liquidare la somma di € 500,00 per ciascun anno della complessiva durata del processo;
che, nella specie, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2
della legge n. 89 del 2001, va determinato in 8.600,00 in favore di ciascuno dei ricorrenti per i
diciassette anni e tre mesi circa di durata del processo presupposto, oltre gli interessi a decorrere
dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente
liquidate;
che a tal fine rileva, per le spese del giudizio di merito, la disciplina del D. m. (Giustizia) 8
aprile 2004, n. 127;
che in particolare, ai tini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per
l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale
procedimento avente natura contenziosa, né rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B)
allegate al citato Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50,
paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa
allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i
procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, 1a sentenza n. 25352 del 2008);
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente
liquidate — sulla base delle tabelle A, paragrafo 1V, e B, paragrafo I, allegate al Decreto del Ministro
della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi — in complessivi €
2

iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in
coerenza con il modello procedimentale, di cui agli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., prescelto dal
legislatore) spetta al giudice — sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte
resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto — verificare, in concreto e con
riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto
anche conto che nel modello processuale della legge n. 89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa
del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili
con l’esercizio di tale potere (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 16367 del 2011 e le sentenze nn.
16836 del 2010 e 9381 del 2011);

1.540,00, di cui C 50,00 per esborsi, C 1.000,00 per diritti ed C 490,00 per onorari, oltre alle spese
generali ed agli accessori come per legge;

che, a tal fine, rileva invece il D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art. 41
prevede che «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla
sua entrata in vigore» (cioè al 23 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di rango
legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del di. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. I, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le «tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla
liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2», cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del
compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato di. n. I del 2012 ha abrogato
tutte «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (comma 1), nonché «le
disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe
di cui al comma 1» (comma 5);
che pertanto, tenuto conto della tabella A — Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato D. m. n.
140 del 2012, del valore della controversia (pari ad e 8.600,00) e, quindi, dello scaglione di
riferimento fino a euro 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in
ragione della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta
dall’art. 4 dello stesso D. m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per
ciascuna fase e ridotto il compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.m. n.
140 del 2012, trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del
processo, spetta ai ricorrenti la somma di curo 180,00 per la fase di studio, euro 112,50 per la fase
introduttiva, ed euro 213,25 per la fase decisoria e così complessivamente la somma di curo 505,75.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa
nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di ciascun
ricorrente, della somma di E 8.600,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al
rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di
merito, in complessivi C 1.540,00, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il
giudizio di legittimità, in complessivi 505,75, oltre agli accessori come per legge, spese tutte da
distrarsi in favore dell’Avv. Silvio Ferrara, dichiaratosene antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 9 novembre 2012
11 C sigliere relatore ed estensore

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo;

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