Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8249 del 26/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8249 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 16785-2013 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. (GIA’ F.M.A. – FABBRICA
MOTORI AUTOMOBILISTICI S.R.L.) C.F. 07973780013, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,
presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA
2016
660

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIORGIO FONTANA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FIORE TOMMASO C.F. FRITMS78P08A509P, elettivamente

Data pubblicazione: 26/04/2016

domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 10/B, presso lo
\studio dell’avvocato MARIA ASSUNTA LAVIENSI,
H/rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO CARLO LA

SALA, giusta delega in atti;

controricorrente

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/01/2013 R.G.N.
3221/12;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/02/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega orale
Avvocato Raffaele DE LUCA TAMAJO;
udito l’Avvocato GIAN PAOLO LA SALA per delega
Avvocato ANTONIO CARLO LA SALA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO –che ha concluso per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 7200/2012 della CORTE

16785/2013

FATTO
La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva
rigettato la domanda di Tommaso Fiore, operaio generico dipendente di F.M.A. – Fabbrica

licenziamento intimatogli in tale ultima data e di condanna della società datrice alla
reintegrazione nel proprio posto di lavorq ed al risarcimento dei danni subiti, oltre
accessori), con sentenza 4 gennaio 2013, dichiarava il licenziamento illegittimo e
condannava F.M.A. s.r.l. alla reintegrazione richiesta dal lavoratore ed al pagamento, in
suo favore a titolo risarcitorio, di somma pari alla retribuzione globale di fatto maturata
dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione ed interessi
come per legge, nonché al versamento della contribuzione spettante per il medesimo
periodo; infine, compensava le spese di entrambi i gradi in misura della metà, con
posizione della metà residua a carico di F.M.A. s.r.l.
Chiarita la distinzione tra inadempimento imputabile e inidoneità fisica al lavoro
sopravvenuta ed in esito a rivisitazione critica e argomentata delle risultanze istruttorie
(con particolare riferimento alle indagini medico – legali esperite, anche a seguito di
diretta ispezione della postazione lavorativa di Fiore), la Corte territoriale escludeva la
legittimità, erroneamente ritenuta dal primo giudice, del licenziamento intimato per
scarso rendimento del lavoratore (in ragione della sensibile inferiorità del numero di
motori prodotti, tra 36 e 17, rispetto a quelli richiesti, tra 78 e 89, nel periodo di verifica
dal 18 al 24 maggio 2006), per la sua sopravvenuta inidoneità (per l’accertata
impossibilità, in esito a supplemento di C.t.u. dopo l’accesso in azienda, dell’autonomo
svolgimento da Fiore di due fasi del ciclo produttivo, quali il montaggio della puleggia
srnorzatrice e del supporto baricentrico, cui addetto) alle mansioni assegnate, senza
alcuna prova, nell’onere datoriale, di impossibilità o non convenienza di adibizione del
lavoratore a mansioni equivalenti o, in assenza di alternativa, finanche inferiori con il suo
consenso, tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e dell’ampio settore di attività,
quale il mercato automobilistico del gruppo Fiat.
Infine, essa riteneva l’evidente sproporzione della sanzione espulsiva in riferimento alla
concorrente contestazione disciplinare, con la medesima lettera del 29 maggio 2006, di
insubordinazione (per rifiuto, nel primo turno lavorativo del 29 maggio 2006, di
prestazione dell’attività, per allegazione di mal di schiena, con pari rifiuto tuttavia di

Motori Automobilistici s.r.l. dal 10 gennaio 2001 al 5 giugno 2006, di illegittimità del

-e

…•,.

ì
i RG 16785/2013
recarsi in infermeria, rimanendo sostanzialmente inattivo sul posto di lavoro), per la
lievità dell’episodio e le precarie condizioni del lavoratore in allora.
Con atto notificato il 28 giugno (2 luglio) 2013, Fiat Group Automobiles s.p.a.
(cessionaria del ramo d’azienda qui interessato da Fiat Powertrain Technologies s.p.a., in
cui F.M.A. s.r.l. incorporata per fusione) ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli arti 7 I.
300/1970, 2106 c.c., 3 I. 604/1966, 25 CCNL 7 maggio 2003 dell’Industria
Metalmeccanica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per apodittica
affermazione dalla Corte territoriale dell’intimazione del licenziamento per scarso
rendimento del lavoratore e non per giustificato motivo soggettivo, in riferimento non
soltanto al (basso) rendimento produttivo nelle giornate dal 18 al 24 maggio 2006, ma
pure al contestato episodio di insubordinazione, di cui esclusa la rilevanza e soprattutto
alla recidiva in provvedimenti disciplinari di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ai
sensi del CCNL, affatto considerata.
Con il secondo, la ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5 c.p.c., per omesso esame dell’esistenza di una recidiva in ben cinque
provvedimenti disciplinari di natura sospensiva, tempestivamente e specificamente
dedotta tanto in primo che in secondo grado, decisiva ai fini di una più corretta
valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ai fatti contestati.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966, in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea interpretazione della nozione
di giustificato motivo soggettivo, in riferimento agli aspetti concreti di natura e qualità del
singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle
specifiche mansioni del dipendente e alla portata soggettiva dei fatti stessi: e ciò in base
a valutazione atomistica degli addebiti contestati, senza alcuna considerazione della
consequenzialità della contestazione del 29 maggio 2006 a cinque provvedimenti
sospensivi in arco temporale immediatamente precedente, con esclusione della
qualificabilità alla stregua di giustificato motivo soggettivo di una condotta complessiva
non esattamente apprezzata nella realistica considerazione dei fatti da cui globalmente
integrata, pertanto viziante la valutazione di non proporzionalità del provvedimento
disciplinare espulsivo adottato.

2

memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste Tommaso Fiore con controricorso.

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In via pregiudiziale, reputa la Corte di dover disattendere l’eccezione di inammissibilità
del ricorso, per assenza di documentazione della legittimazione ad esso della ricorrente.
Ed infatti, allegando copia dell’atto di fusione del 7 dicembre 2012 e dell’atto di cessione
di ramo d’azienda del 20 dicembre 2012, con produzione ben ammissibile ai sensi

potere di proporre il ricorso (Cass. 11 dicembre 2013, n. 27762; Cass. s.u. 22 aprile
2013, n. 9692), Fiat Group Automobiles s.p.a. ha compiutamente documentato il proprio
titolo di legittimazione ad impugnare, così comprovando la sopravvenuta situazione
giuridica negoziale a suo fondamento (Cass. 23 settembre 2011, n. 19493; Cass. 15
dicembre 2010, n. 25344; Cass. 17 ottobre 2006, n. 22244): ossia la qualità di
cessionaria del ramo d’azienda, in cui impiegato Tommaso Fiore, da Fiat Powertrain
Technologies s.p.a., in cui F.M.A. s.r.l. incorporata per fusione.
Quanto poi alla dedotta necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti del
dante causa a titolo particolare di F.G.A. s.p.a., essa è da escludere per la mera
allegazione formale dal controricorrente (a pg. 8 del suo atto), per la sua accettazione,
senza formulare eccezioni al riguardo, del contraddittorio nei confronti del successore
(Cass. 17 maggio 2010, n. 12035; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3056): come si evince dalle
conclusioni rassegnate (a pg. 39 del controricorso), in esito a diffusa e criticamente
argomentata confutazione di ognuno dei mezzi di gravame.
Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 2106 c.c., 3 I.
604/1966, 25 CCNL 7 maggio 2003 dell’Industria Metalmeccanica, per apodittica
affermazione dalla Corte territoriale dell’intimazione del licenziamento per scarso
rendimento del lavoratore e non per giustificato motivo soggettivo su un più ampio
spettro di contestazioni) ed il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966,
per erronea interpretazione della nozione di giustificato motivo soggettivo) possono
essere congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione.
Essi sono inammissibili.
Al di là della formale enunciazione della loro rubrica, essi non integrano gli appropriati
requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla
disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella
sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme
regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza
di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28
febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

dell’art. 372 c.p.c., trattandosi di atti finalizzati alla dimostrazione della sussistenza del

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Né qui rileva una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di
legge, del giudizio applicativo di una norma cd. “elastica” (quale indubbiamente la
clausola generale del giustificato motivo obbiettivo ai sensi degli artt. 1 e 3 I. 604/1966),
che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice

adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale: in tal caso ben potendo il
giudice di legittimità censurare la sussunzione di un determinato comportamento del
lavoratore nell’ambito del giustificato motivo (piuttosto che della giusta causa di
licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro
(Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514).
E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di cassazione, dell’attività di integrazione
del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione
del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e
meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza
del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti
nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095): con,
limitazione, alla luce dell’esperienza applicativa della Corte, almeno nella sua teorica
enunciazione, quando il giudice del merito sia chiamato ad applicare concetti giuridici
indeterminati, del controllo di legittimità alla verifica di ragionevolezza della sussunzione
del fatto e quindi ad un sindacato su vizio di violazione di norma di diritto ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ben lontano da quello dell’art. 360, primo
comma, n 5. c.p.c. (Cass. s.u. 18 novembre 2010, n. 23287).
Ed infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che
può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a
fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo
che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva
esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata
male applicata (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348).
Sicché, il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa
applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del
fatto incontestata; al contrario del sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo
comma n. 5 c.p.c., che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le
parti.

un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo

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Ciò che appunto si verifica nel caso di specie, in cui si controverte, non tanto (e per le
ragioni dette) di esatta interpretazione di norme né di corretto esercizio del processo di
sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di
legge denunciata, quanto piuttosto di accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto

specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giustificato motivo soggettivo di
licenziamento: e pertanto sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di
merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una
censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica denuncia di
incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella
realtà sociale (Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).
Ed anzi, l’argomentata sussunzione, da parte della Corte territoriale, dell’ipotesi in esame
nella categoria del recesso per scarso rendimento (integrato qualora sia provata, sulla
scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli
elementi dimostrati dal datore di lavoro, un’evidente violazione della diligente
collaborazione dovuta dal dipendente, a lui imputabile, in conseguenza dell’enorme
sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e
quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di
attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia
minima di produzione: Cass. 4 settembre 2014, n. 18678; Cass. 9 luglio 2015, n.
14310), è stata sbrigativamente e acriticamente qualificata dalla ricorrente come

“inutile

disputa teorica fra i termini della sopravvenuta inidoneità al lavoro e quelli della matrice
disciplinare dell’inadempimento contrattuale” (così alla fine del primo periodo di pg. 29
del ricorso).
Il secondo motivo, relativo a vizio di motivazione per omesso esame dell’esistenza di una
recidiva in provvedimenti disciplinari di natura sospensiva, è infondato.
Ed infatti, lungi dalla censurata omissione di esame del “fatto recidiva”, la Corte
territoriale ha ritenuto provata la circostanza

“che il ricorrente era già già stato

destinatario di rilievi disciplinari proprio in punto di negligente rendimento” (così all’ultima
parte del penultimo capoverso, di pg. 3 della sentenza), pure ribadendone la ricorrenza
nella trascrizione della contestazione disciplinare datoriale del 29 maggio 2006 (“Detto
comportamento è stato preceduto nell’ultimo anno da ripetute mancanze per le quali Le
sono stati comunicati provvedimenti disciplinari di sospensione dal lavoro” (segue
elencazione)”:

fine del primo capoverso di pg. 4 della sentenza), ascrivendola

5

dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue

RG 16785/2013
all’intimazione per scarso rendimento del lavoratore: così compiendo un accertamento in
fatto, coerente con lo sviluppo di un ragionato procedimento argomentativo.
Ma l’attuale testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (di denuncia “per omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”),

posteriore (4 gennaio 2013) al trentesimo giorno successivo a quella di entrata in vigore
della legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del decreto legge 22 giugno 2012, n.
83 (12 agosto 2012), secondo la previsione dell’art. 54, terzo comma del decreto legge
citato, non consente una tale censura.
Esso ha, infatti, introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che,
nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo
comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa,
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie. Sicché, detta riformulazione deve essere
interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come
riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed
pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).
Né l’omesso esame di elementi istruttori integra in sé il suddetto vizio, qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 10

6

applicabile ratione temporis per la pubblicazione della sentenza impugnata in data


RG 16785/2013
febbraio 2015, n. 2498): con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione
dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. 21 ottobre
2015, n. 21439).
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la condanna al

difensore antistatario secondo la sua richiesta.

P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna Fiat Group Automobiles s.p.a. alla rifusione, in favore del
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 100,00 per esborsi
e C 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del
15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma lquater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2016

Il consig

e est.

Il Presidente

lbis dello

pagamento delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al

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