Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8248 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 22/03/2019, (ud. 29/01/2019, dep. 22/03/2019), n.8248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25025-2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1038/09/2017 della Commissione tributaria

regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2019 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR Romagna ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della contribuente C.L., avverso la sentenza della CTP di Forlì, che aveva accolto il ricorso avverso l’avviso di liquidazione ed irrogazione delle sanzioni emesso a seguito di revoca dei benefici fiscali connessi all’acquisto della prima casa, effettuato con atto di compravendita del 15/07/2008, in quanto qualificata come abitazione di lusso sulla base delle risultanze di una stima dell’UTE. Ha rilevato la CTR il vizio di motivazione dell’atto impositivo in quanto in esso si faceva riferimento ad una stima dell’UTE non conosciuta dalla contribuente, non essendo stata allegata al predetto atto nè il suo contenuto richiamato nelle parti essenziali del medesimo.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui non resiste l’intimata.

Con il mezzo di cassazione la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, sostenendo l’idoneità motivazionale dell’atto impositivo annullato dai giudici di appello.

Il motivo è fondato.

E’ orientamento assolutamente consolidato) di questa Corte quello secondo cui l’avviso di accertamento, rappresentando l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi, può essere motivato “per relationem”, anche con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio e la scelta in tal senso dell’Amministrazione finanziaria non può essere di per sè censurata dal giudice di merito, al quale, invece, spetta il potere di valutare se, dal richiamo globale all’atto strumentale, sia derivata un’inadeguatezza o un’insufficienza della motivazione dell’atto finale (cfr. Cass. n. 2907 del 2010; Cass. n. 16976 del 2012e la giurisprudenza ivi richiamata).

Si è quindi precisato, che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017, Rv. 646218, in tema di imposta comunale sugli immobili).

Ciò posto, osserva il Collegio che nella specie l’atto impositivo, riprodotto per autosufficienza nel ricorso, è idoneamente motivato là dove indica in maniera espressa la superficie utile accertata, pari a mq. 346, calcolata escludendo “i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchina”, con la conseguenza che neppure può dirsi, diversamente da quanto sostiene la CI’R, che il contenuto essenziale della stima dell’UTE non sia stato richiamato nel predetto atto, atteso che sono proprio i dati sopra indicati a costituire il contenuto “essenziale” di quell’atto istruttorio. Inoltre, l’obbligo della motivazione dell’avviso in esame deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione del dato oggettivo della superficie complessiva dell’immobile, così come acclarato dall’ufficio, e la specificazione di quello che costituiva superficie “utile” a quei fini, trattandosi di elementi che sono conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente, il quale, quindi, mediante il raffronto con quelli indicati nella dichiarazione DOCEA dal medesimo presentata, può comprendere le ragioni della pretesa impositiva e adeguatamente tutelarsi in sede giudiziale.

A ciò aggiungasi che è insegnamento di questa Corte quello secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dall’art. 7 Statuto del contribuente, deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e sociale e di ragionevolezza, rispettivamente espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009), atteso che la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018, Rv. 648361).

Nella specie, pur soprassedendo sul fatto che l’atto impositivo era comunque idoneamente motivato riportando il contenuto essenziale della stima dell’UTE, dalla sentenza della CTR neppure emerge che la contribuente abbia prospettato le ragioni per le quali l’omessa comunicazione o allegazione all’atto impositivo di quel documento avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo.

In sintesi, all’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata senza necessità di rinvio alla competente CTR in quanto la contribuente, che in primo grado aveva proposto altri motivi di impugnazione dell’atto impositivo, non si è costituita nel giudizio di secondo grado ove aveva l’onere di riproporre le questioni rimaste assorbite dalla decisione di primo grado. La causa va quindi decisa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso della contribuente che va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, mentre vanno compensate quelle dei gradi di merito avuto riguardo ai profili sostanziali della controversia.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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