Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8246 del 26/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8246 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 15080-2013 proposto da:
PRIDE S.P.A. C.F. 09156560154, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
contro

646

BALATTI MOZZANICA ALBERTO C.F. BLTLRT63C29A745N;
– intimato Nonché da:

Data pubblicazione: 26/04/2016

BALATTI MOZZANICA ALBERTO C. E. BLTLRT63C29A745N,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI 20,

studio dell’avvocato NICOLA

pressa lo

DOMENICO PETRACCA,

chG lo rappresenta

e

difende

unitamente agli avvocati FRANCESCO ROTONDI, ANGELO

– controricorrente e ricorrente incidentali contro

PRIDE S.P.A. C.F. 09156560154, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;

controricorrente al ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 1986/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2012 R.G.N.
6187/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato GERARDO VESCI;
udito l’Avvocato FRANCESCA D’ALESSIO per delega
Avvocato NICOLA PETRACCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso principale,

GABRIELE QUARTO, giusta delega in atti;

inammissibilità o in subordine rigetto del ricorso

i ncidentale.

R.G. n.15080/13

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 6187/11 il Tribunale di Milano dichiarava illegittimo e
ingiustificato, per genericità delle contestazioni disciplinari, il licenziamento
irrogato da Pride S.p.A. al dirigente Alberto Balatti Mozzanica e, per l’effetto,
condannava la società a pagare al dipendente l’indennità sostitutiva del

stimata in euro 6.592,18 e l’indennità supplementare prevista dal CCNL
dirigenti industriali determinata in euro 111.361,82; dichiarava illegittima la
dequalificazione del ricorrente avvenuta a decorrere dal gennaio 2010, ma
rigettava la relativa domanda risarcitoria, così come rigettava quella relativa al
denunciato mobbing e la richiesta di differenze retributive derivanti dalla
mancata corresponsione del trattamento di malattia. Infine, condannava la
suddetta società a pagare all’attore i complessivi importi di euro 21.481,48 e di
euro 25.000,00, rigettando – poi – la domanda riconvenzionale proposta dalla
società.
Con sentenza depositata il 14.12.12 la Corte d’appello di Milano rigettava sia
l’appello principale della società sia quello incidentale del dirigente.
Per la cassazione della sentenza ricorre Pride S.p.A. affidandosi a cinque
motivi.
Alberto Balatti Mozzanica resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale
basato su quattro motivi, cui a sua volta resiste con controricorso Pride S.p.A.
Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi in quanto aventi ad
oggetto la medesima sentenza.
Ancora in via preliminare va respinta l’eccezione, sollevata dalla difesa di
Alberto Balatti Mozzanica, di tardività del ricorso principale, atteso che esso è
stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica in data 14.6.13, vale a
dire l’ultimo giorno utile rispetto al termine semestrale previsto dall’art. 327
c.p.c. (a fronte della data – 14.12.12 – di deposito della sentenza oggetto
d’impugnazione) e ciò ai sensi dell’art. 149 c.p.c. ultimo comma, aggiunto
dall’art. 3 legge n. 263/05.

1.1. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 175 c.p.c. per non avere la Corte territoriale confermato la
decisione del primo giudice di non ammettere le istanze istruttorie (prova per
1

preavviso quantificata in euro 89.089,56, la sua incidenza ai fini del TFR

R.a.•. /15080/13

testi e CTU) formulate dalla società nella memoria difensiva di primo grado e in
quella integrativa del 5.9.11 e intese a dimostrare l’entità di quanto dovuto
dalla società ricorrente all’Agenzia delle Entrate e all’INPS in conseguenza delle
omissioni fiscali e previdenziali dell’odierno controricorrente, prove decisive

dirigente.
Il motivo va disatteso perché sostanzialmente irrilevante.
È appena il caso di ricordare che con sentenza 30.3.07 n. 7880 le S.U. di
questa S.C. hanno statuito che le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7,
commi 2° e 3°, legge n. 300/70 devono trovare applicazione nell’ipotesi di
licenziamento di un dirigente anche a prescindere dalla sua specifica
collocazione nell’impresa (da ultimo, nello stesso senso, v. Cass. Sez. Lav.
17.1.2011 n. 897), sia quando il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un
comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del
recesso siano poste condotte tali da recidere il necessario vincolo fiduciario.
In tal modo le S.U. hanno ribaltato il proprio precedente orientamento
espresso dalla sentenza 29.5.95 n. 6041, nella parte in cui aveva escluso che
gli obblighi della preventiva contestazione e dell’attribuzione di un termine a
difesa, previsti dall’art. 7 legge n. 300/70, riguardassero il licenziamento del
dirigente “apicale” di aziende industriali, cioè del prestatore di lavoro che,
collocato al vertice dell’organizzazione aziendale, svolga mansioni tali da
caratterizzare la vita dell’azienda con scelte di respiro globale e con rapporto di
collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro dal quale si limiti a ricevere
direttive di carattere generale, per il resto operando come vero e proprio alter
ego dell’imprenditore.
Ciò premesso, una volta che i giudici di merito hanno accertato l’illegittimità
del licenziamento disciplinare per un vizio del relativo procedimento,
consistente nella genericità della contestazione degli addebiti mossi al dirigente,
resta ormai preclusa per il datore di lavoro la possibilità di dimostrarne la
fondatezza, anche soltanto a fini di accoglimento della domanda risarcitoria,
avanzata in via riconvenzionale, basata sui medesimi fatti oggetto di addebito
disciplinare.

1.2. – Con il secondo motivo del ricorso principale ci si duole di violazione e
falsa applicazione degli artt. 175 e 416 c.p.c. per avere la Corte territoriale
confermato la decisione del primo giudice di stralciare la memoria difensiva
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perché finalizzate a dimostrare la giusta causa del licenziamento disciplinare del

RG:17.15080/13

integrativa della società e i documenti allegativi, nonostante che tale atto fosse
stato ritualmente depositato il 6.9.11 in vista della prima udienza, fissata
innanzi al Tribunale di Milano per la data del 10.9.11.
Il motivo va disatteso.
Se è vero che secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte Suprema

non è necessario che il convenuto proponga materialmente in un unico
atto difensivo tutte le eccezioni e indichi i mezzi di prova di cui intende
avvalersi, essendo possibile depositare memorie integrative nel termine di cui
all’art. 416 c.p.c. (tranne nell’ipotesi di eccezione di incompetenza territoriale
che, dovendo essere proposta nel primo scritto difensivo, va necessariamente
esplicitata nella memoria di costituzione), nondimeno anche tale doglianza è
irrilevante in questa sede per le medesime considerazioni svolte nel paragrafo
che precede sub 1.1.

1.3. – Il terzo motivo del ricorso principale prospetta violazione e falsa
applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 7, commi 1°, 2° e 3°, legge n. 300/70,
nonché dell’art. 2 legge n. 604/66, atteso che la sentenza impugnata, mentre
dichiara di condividere le motivazioni del giudice di prime cure circa la
“legittimità del licenziamento”,

subito dopo afferma che la carenza di

motivazione della contestazione disciplinare e della comunicazione di recesso
viziano insanabilmente il relativo procedimento; obietta inoltre la società
ricorrente che la contestazione dei due addebiti non era affatto generica, anche
perché Alberto Balatti Mozzanica, in quanto responsabile delle risorse umane,
era certamente al corrente degli adempimenti fiscali e previdenziali la cui
omissione gli era stata contestata (per altro, i fatti erano stati sostanzialmente
ammessi dal dirigente) e che era dimostrata dai documenti allegati alla
memoria integrativa di cui s’è detto, così emergendo una giusta causa di
recesso, anche in considerazione della delicatezza delle funzioni dirigenziali e
del particolare grado di fiducia in esse insito.
Il motivo è infondato.
In primo luogo non si ravvisa la contraddizione argomentativa denunciata,
atteso che dalla lettura complessiva della sentenza emerge chiaramente che il
riferimento alla conferma delle motivazioni del primo giudice circa la “legittimità
del licenziamento” va inteso come rivolto alla questione controversa oggetto di

(cfr. Cass. n. 4371/2000; Cass. n. 5629/97; Cass. n. 116/90) nel rito del lavoro

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R . ‘6 . n.15080/13

causa (cioè al thema decidendum relativo alla legittimità o meno del recesso) e
non ad una sua riscontrata giustificazione ad opera della Corte territoriale.
Inoltre, dovendosi seguire ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 cc. 1°
n. 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, co. 3°, di. n. 83/12, conv. in
legge n. 134/12, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a

sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi / anche alla pronuncia in questa sede
impugnata), è appena il caso di ricordare che è ormai denunciabile per
cassazione il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti” e non più l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
salvo il caso – che però non ricorre nella specie – di mancanza grafica della
motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione
perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile
sua contraddittorietà tale da trasmodare in vera e propria violazione dell’art.
132 co. 2° n. 4 c.p.c., a sua volta veicolabile ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
(cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).
Il motivo è, poi, non conferente nella parte in cui nega la genericità della
contestazione degli addebiti facendo leva sulle cognizioni professionali del
dirigente e sui documenti allegati alla memoria integrativa, così ponendosi sul
piano della prova dell’asserita fondatezza delle infrazioni disciplinari, piano non
affrontato dalla sentenza impugnata, che al pari di quella di primo grado si è
arrestata ad un rilievo giuridicamente preliminare, vale a dire quello
dell’inidoneità delle contestazioni (in quanto generiche) a consentire l’ingresso
del thema decidendum relativo al merito delle incolpazioni.

1.4. – Con il quarto motivo del ricorso principale si lamenta violazione e/o
errata interpretazione dell’art. 2103 c.c. nella parte in cui,
contraddittoriamente, la sentenza impugnata dapprima afferma e, poi, nega il
demansionamento lamentato da Alberto Balatti Mozzanica dopo l’acquisizione
della Pride S.p.A. da parte del gruppo Ericsson, demansionamento ad ogni
modo smentito dalle e-mail prodotte in giudizio, tali da dimostrare che il
dirigente aveva mantenuto funzioni e ruoli anche dopo l’acquisizione predetta.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., atteso che
anche per l’impugnazione d’una sentenza bisogna avervi interesse, inteso come
possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile per la
4

quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle

parte che la propone, interesse che non può consistere nella mera correzione
della motivazione della sentenza impugnata o di una parte di essa (cfr., ex aliis,
Cass. n. 1236/12).
Nel caso di specie è indubbio che il rigetto nel merito della domanda di
risarcimento del danno da demansionamento avanzata da Alberto Balatti

che la sua impugnazione non può procurarle alcun risultato utile.

1.5. – Il quinto motivo del ricorso principale denuncia violazione e/o errata
interpretazione degli artt. 2697 c.c. e 167 c.p.c. nella parte in cui la sentenza
impugnata ha dichiarato nulla per genericità la domanda riconvenzionale,
nonostante che la summenzionata memoria integrativa e i documenti con essa
prodotti – ingiustamente stralciati – dimostrassero l’esistenza dei danni e il loro
nesso causale rispetto alla colpevole condotta addebitata al dirigente.
Il motivo va disatteso perché irrilevante e ciò in base alle medesime
considerazioni già svolte nel paragrafo che precede sub 1.1.
2.1. – Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso
incidentale sollevata dalla Pride S.p.A., essendo l’impugnazione incidentale
tardiva ammessa, ex art. 334 c.p.c., anche quando per la parte nei cui confronti
è proposta l’impugnazione principale sia già scaduto il termine, a condizione che
risulti osservato quello previsto per la costituzione della parte resistente nel
giudizio d’impugnazione (cfr., ex aliis, Cass. n. 16366/14).
Nel caso di specie – come s’è detto – il ricorso principale è stato consegnato
per la notifica all’ufficiale giudiziario il 14.6.13 (vale a dire l’ultimo giorno utile
prima del decorso del termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c.) e a sua volta
quello incidentale tardivo è stato consegnato per la notifica il 24.7.13, vale a
dire l’ultimo giorno utile ai sensi dell’art. 371 co. 2° c.p.c.
Ancora da rigettarsi è l’eccezione di difetto di autosufficienza, risultando in
realtà idonei i riferimenti agli atti e ai documenti su cui si basa l’impugnazione.

3.1. – Con il primo mezzo del ricorso incidentale ci si duole ex art. 360 co. 10
n. 5 c.p.c. dell’omesso esame della denunciata natura ritorsiva del
licenziamento.
Il motivo è inammissibile.

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Mozzanica non pregiudica in alcun modo la sfera giuridica della società, di guisa

R.G. n.15080113

Si premetta che, ove il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia su una delle
domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita
menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma
dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi (ed è
ciò che manca nel caso in esame) univoco riferimento alla nullità della decisione

gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante od insufficiente
(cfr. Cass. S.U. n. 17931/13).
Interpretando il motivo in oggetto, deve ritenersi che la parte ha in sostanza
lamentato non un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo, ma
uno di motivazione, il che pone la censura al di fuori del fuoco sia del n. 4 che
del n. 5 (nel testo oggi vigente) del co. 1° dell’art. 360 c.p.c.

3.2. – Il secondo mezzo del ricorso incidentale denuncia omesso esame della
domanda avente ad oggetto il trattamento di malattia.
Anche tale motivo risulta inammissibile, per considerazioni analoghe a quelle
svolte nel paragrafo che precede.

3.3. – Con il terzo mezzo del ricorso incidentale si lamenta omesso esame del
denunciato demansionamento e dei relativi effetti nonché violazione e falsa
applicazione degli artt. 2103, 2697 e 2729 c.c., per avere la Corte territoriale
omesso di esaminare le modalità, analiticamente descritte nell’atto d’appello,
con cui la Pride S.p.A. ha progressivamente svuotato le mansioni assegnate ad
Alberto Balatti Mozzanica, concentrando invece la propria attenzione
sull’inesistenza d’un danno risarcibile, che a sua volta ben poteva essere
configurato – conclude il ricorrente incidentale – quanto meno in via presuntiva
in base ad un giudizio probabilistico.
Il motivo va disatteso perché, ad onta dei richiami normativi in esso
contenuti, in realtà sostanzialmente suggerisce esclusivamente una rivisitazione
del materiale istruttorio affinché se ne fornisca una valutazione diversa da
quella accolta dalla sentenza impugnata, che ha escluso – a monte – il
denunciato demansionamento (oltre che la prova d’un danno) in base ai
documenti prodotti dalla Pride S.p.A., attestanti che anche dopo l’acquisizione
della società da parte del gruppo Ericsson il dirigente aveva mantenuto le
funzioni e i ruoli che gli erano propri.

derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il

In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento
della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale modus
operandi non è idoneo a segnalare un error in iudicando né un vizio ai sensi e

per gli effetti dell’art. 360 co.

10 n. 5 c.p.c. nel testo, applicabile ratione

temporis, risultante dalla già ricordata novella di cui all’art. 54 d.l. n. 83/2012,

3.4. – Il q’uarto motivo del ricorso incidentale prospetta omesgo esame della
domanda avente ad oggetto l’esatta quantificazione dell’indennità
supplementare, sostenendosi che doveva essere quantificata nel massimo
contrattualmente previsto e non in misura pari a 10 mensilità, come invece
statuito dai giudici di merito; sempre a tal fine si lamenta altresì violazione o
falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 19 e 22 CCNL dirigenti
industriali del 25.11.09.
Il motivo è improcedibile perché, malgrado il richiamo all’art. 2119 c.c., in
sostanza denuncia una mera violazione del cit. CCNL, ma senza produrne il
testo integrale.
Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex allis, Cass. n. 4350/15; Cass. n.
2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass.
13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e
gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369
co. 2° n. 4 c.p.c. – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del
contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della
Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico
previsto dall’art. 1363 c.c.
Né a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio
di merito in cui tali atti siano stati depositati (peraltro, nella produzione del
ricorrente incidentale vi è soltanto uno stralcio del cit. CCNL)), essendo altresì
necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto
processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14).

4.1 – In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi, il che consiglia
l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,

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convertito in legge 7.8.2012 n. 134.

R.G. n.15080/13

riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa per intero fra le parti le spese del giudizio
di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1
co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore

principale e per quello incidentale, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo
13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 17.2.16.

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

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