Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8245 del 26/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8245 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 8601-2013 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA C.F. 80185250588, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12
ape legis;
– ricorrente-

2016
645

contro

ADORANTE MANRICO C.F. DRNMRC56E17R243B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO, 10/A, presso lo
studio dell’avvocato MARINA MESSINA, rappresentato e

Data pubblicazione: 26/04/2016

difeso dagli avvocati ANNAMARIA NARDONE, DOMENICO
BARBONI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1947/2012 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 10/02/2013 R.G.N. 1701/12;

udienza del 17/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato DOMENICO BARBONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 18.2.13 la Corte d’appello di Milano, in riforma
della sentenza di rigetto emessa in prime cure dal Tribunale della stessa sede,
dichiarava la nullità del licenziamento disciplinare intimato il 16.5.11 dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei confronti di Manrico

condannando l’amministrazione a pagargli il risarcimento del danno
commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del recesso
all’effettiva reintegra, con i conseguenti versamenti contributivi e con rigetto,
invece, delle ulteriori pretese risarcitorie avanzate dal lavoratore.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca affidandosi ad un solo motivo.
Manrico Adorante resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con
memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con unico motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55
bis d.lgs. n. 165/01 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per
avere la sentenza impugnata dichiarato nullo il licenziamento in quanto adottato
all’esito d’un procedimento disciplinare viziato dal fatto che l’Ufficio per esso
competente ha provveduto all’audizione del lavoratore solo con due dei tre
componenti dell’ufficio medesimo, ritenendo la Corte territoriale trattarsi di
collegio perfetto; obietta invece il ricorrente che l’ufficio in questione non è un
collegio perfetto (non essendo previsto nulla del genere dal cit. art. 55 bis, che
si limita a disporre che ciascuna amministrazione individui l’ufficio competente
per i procedimenti disciplinari), sicché ben può operare anche senza la
contemporanea presenza di tutti i suoi componenti e senza che la mancanza di
uno di essi importi – contrariamente a quanto supposto dai giudici d’appello una lesione del diritto di difesa del lavoratore incolpato (che, nel caso di specie,
ha ammesso gli addebiti rivoltigli, pur ascrivendoli a mere distrazioni, così ad
ogni modo sanando anche ogni ipotetico vizio procedimentale); pertanto prosegue il ricorso – il diritto di difesa del dipendente è stato rispettato anche in
concreto; inoltre l’audizione personale dell’interessato costituisce un mero atto
endoprocedimentale sprovvisto di efficacia decisoria, in quanto tale inidoneo ad
incidere negativamente sulle prerogative difensive del lavoratore (che, infatti,
può anche rinunciare all’audizione personale); infine – conclude il ricorso – un
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Adorante, per l’effetto ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro e

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eventuale vizio di composizione del collegio competente in materia disciplinare
non sarebbe bastato a provocare l’annullabilità del provvedimento finale e ciò in
virtù dell’art. 21 octies co. 2°, secondo periodo, della legge n. 241/90, secondo
il quale deve sempre essere effettuata la prova di resistenza al fine di stabilire
se e in quale misura la violazione delle garanzie procedimentali abbia privato

diversa.

2- Il ricorso è fondato.
Si premetta che la questione se sia sempre necessaria la partecipazione di
tutti i componenti d’un organo collegiale per la validità delle relative
deliberazioni va risolto caso per caso in base al diritto positivo, non potendosi al
riguardo trarre dall’ordinamento un principio generale né richiamare
semplicemente l’antico brocardo secondo cui

duo non faciunt collegium,

principio (generale) che può invece essere riconosciuto solo per la fase relativa
alla costituzione dell’organo collegiale, non essendo dubitabile che esso non
possa legittimamente operare se non si sia costituito mediante la nomina di
tutti i suoi componenti (cfr. Cass. n. 1421/2000, richiamata, in seguito, da
Cass. n. 8969/2000 e da Cass. n. 15056/2000).
Anche la giurisprudenza amministrativa è consolidata nello statuire che il
collegio perfetto non è un modello indispensabile per gli organi collegiali
amministrativi, dovendosi avere riguardo alle peculiarità della relativa disciplina
(Cons. Stato n. 2500/14; Cons. Stato n. 3363/11).
Né questa Corte Suprema (cfr. Cass. S.U. n. 603/99; Cass. S.U. n. 39/99) ha
mai ritenuto necessario, a fini di rispetto dell’art. 6 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che organi
con attribuzioni disciplinari – come quello di cui si discute nella presente
controversia – siano collegi perfetti.
Neppure rileva il richiamo – operato dalla difesa del controricorrente – a Corte
cost. n. 128/95 avente ad oggetto lo scrutinio di legittimità costituzionale
dell’art. 61 co. 4 0 d.P.R. n. 3/57, sentenza che, anzi, in motivazione afferma
che la configurazione di una commissione disciplinare come collegio perfetto
non costituisce un principio generale, comune a tutti i rapporti di pubblico
impiego.
Ad esempio – prosegue il giudice delle leggi – per alcune categorie nell’ambito
del pubblico impiego sono previste commissioni di disciplina che deliberano con
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l’amministrazione di elementi istruttori in grado di far ipotizzare una decisione

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la partecipazione della maggioranza qualificata e non della totalità dei
componenti (si vedano, ad esempio, l’art. 21 della legge 3 aprile 1979, n. 103 e
l’art. 12 della legge 27 aprile 1982, n. 186), anche in casi nei quali il
procedimento disciplinare si svolge in forme giurisdizionali (art. 1 della legge 30
dicembre 1988, n. 561).

configurazione delle commissioni di disciplina come collegi perfetti non è
neppure coessenziale alla funzione di valutazione e di giudizio propria di questi
organi, tanto più che la variabilità numerica dei componenti è prevista talvolta
anche per i collegi giurisdizionali (cfr. Corte cost. n. 284/86).
Quanto al diritto di difesa dell’incolpato (art. 24 Cost.), esso non si estende
oltre la sfera della giurisdizione sino a coprire ogni procedimento contenzioso di
natura amministrativa, ma rispecchia un valore inerente ai diritti inviolabili della
persona e contribuisce a dare concreto spessore anche all’imparzialità
dell’amministrazione (art. 97 Cost.), che nell’esercizio della potestà
sanzionatoria deve porre l’incolpato in grado di far ascoltare e far valutare le
proprie ragioni da chi è chiamato a decidere (il che è avvenuto nel caso di
specie).
Ciò premesso, nella vicenda in discorso non si rinvengono precetti da cui
ricavare che l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari abbia la natura
di collegio perfetto.
L’art. 55 bis co. 4 0 d.lgs. n. 165/01 si limita a stabilire che ciascuna
amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individui l’ufficio competente
per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il
predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il
contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo
quanto previsto nel comma 2.
Sia le parti che la gravata pronuncia danno per pacifico che l’Ufficio per i
procedimenti disciplinari costituito presso l’amministrazione ricorrente ha una
composizione collegiale di tre membri e che soltanto l’audizione dell’odierno
controricorrente è avvenuta da parte di due soli componenti dell’Ufficio
medesimo, mentre l’atto terminale del procedimento (vale a dire l’irrogazione
della sanzione espulsiva) è stata adottata dal collegio composto nella sua
interezza.
Ritiene la gravata pronuncia trattarsi di collegio perfetto perché il
provvedimento n. 27 del 25.1.11 dell’Ufficio scolastico regionale per la
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Continua la citata sentenza n. 128/95 con il puntualizzare che la

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Lombardia, nel riorganizzare l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari,
aveva previsto che esso operasse

“nella composizione sotto indicata”

(seguivano i nomi dei tre componenti); pertanto – sempre secondo la Corte
territoriale – visto il tenore letterale del citato provvedimento, l’incompletezza
del collegio anche soltanto in sede di audizione del lavoratore incolpato,
menomandone le possibilità di difesa, importerebbe nullità dell’atto terminale
(vale a dire del licenziamento disciplinare per cui è causa).
L’assunto non può condividersi, a tal fine apparendo neutro il dato letterale
del citato provvedimento n. 27 del 25.1.11 dell’Ufficio scolastico regionale per la
Lombardia valorizzato dalla gravata pronuncia.
Infatti, stabilire che l’ufficio “opererà nella composizione sotto indicata” non
vuol dire che esso debba

necessariamente

farlo, ma solo che la sua

composizione è normalmente collegiale e che i nominativi dei suoi componenti
sono specificamente individuati, il che lascia impregiudicata la questione del suo
carattere perfetto o imperfetto.
Uno dei criteri più sicuri per individuare il carattere perfetto d’un collegio
operante presso una pubblica amministrazione è dato dalla previsione di
componenti supplenti accanto a quelli effettivi, essendo lo scopo della
supplenza quello di garantire la continuità e la tempestività di funzionamento
del collegio medesimo, senza che il suo agire sia impedito o ritardato
dall’impedimento di taluno dei suoi componenti.
Significativa in proposito è la costanza della giurisprudenza amministrativa
(cfr. Cons. Stato n. 324/06; Cons. Stato n. 543/06; Cons. Stato n. 5359/05).
Altro criterio identificativo d’un collegio perfetto si ricava dal riflettere la sua
composizione professionalità complementari tra loro, sicché ogni componente è
infungibile rispetto agli altri (cfr. Cons. Stato n. 524/07; Cons. Stato n. 400/07;
Cons. Stato n. 543/06; Cons. Stato n. 5139/02).
Nulla di tutto ciò emerge dalla sentenza impugnata.
Neppure qualificare l’Ufficio

de quo

come collegio perfetto gioverebbe

all’odierno controricorrente.
Infatti, il principio del collegio perfetto – e, dunque, della necessaria presenza
di tutti i membri della commissione – concerne solo le attività valutative e
deliberative vere e proprie (rispetto alle quali sussiste l’esigenza che tutti i suoi
componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della
volontà collegiale) e non anche quelle preparatorie, istruttorie o strumentali,

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R.G. p. 8601/13

erificabili

a posteriori

dall’intero consesso (cfr., nella giurisprudenza

rnministrativa, Cons. Stato n. 5187/15; Cons. Stato n. 40/15).
E nel caso in esame è indubbio che l’audizione dell’incolpato è attività
istruttoria che ben può essere, poi, oggetto di verifica a posteriori da parte del
plenum del collegio, non applicandosi nella specie un principio analogo a quello

inteso con le precisazioni che ne circoscrivono i .limiti anche all’interno del
processo penale: cfr. Cass. pen. n. 19074/11).
Non diversa è la giurisprudenza (di questa Corte Suprema) là dove statuisce
che anche un organo collegiale composto da tre persone, una volta che sia
stato regolarmente costituito, può legittimamente deliberare purché il numero
dei componenti non scenda al di sotto del quorum, con la conseguenza che esso
può funzionare anche con la sola presenza di due, sempre che la legge che ne
disciplina il funzionamento non preveda diversamente (conf. Cass. n.
15129/04; Cass. n. 12107/04).
Infine, se è vero che il funzionamento d’un organo collegiale deve
necessariamente essere pluripersonale, non potendosi trasformare in organo
monocratico in quanto la monocraticità elude le ragioni stesse di efficienza
amministrativa e imparzialità che hanno suggerito la composizione collegiale
(cfr., in motivazione, Cass. n. 24157/15), nondimeno nel caso in oggetto il
carattere pluripersonale dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari è
stato rispettato (all’audizione del lavoratore incolpato erano presenti due dei tre
componenti l’ufficio).
Né vi è stata violazione alcuna del diritto di difesa dell’odierno
controricorrente, che si riferisce alle possibilità di esplicitare ogni ragione a
discolpa e di provare l’infondatezza dell’addebito disponendo di termini adeguati
per farlo (non è questa la censura accolta dalla Corte territoriale) e, quindi, non
presenta connessione alcuna con il numero di persone che in concreto ascoltino
e verbalizzino le giustificazioni offerte.
Cosa diversa è, invece, la necessità o meno che l’atto terminale del
procedimento venga adottato dall’ufficio nella sua completa composizione, ma è
questione che non viene in rilievo nella presente sede, pacifico essendo che il
licenziamento è stato deliberato dall’ufficio composto da tutti e tre i suoi
membri.

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previsto – in differente contesto – dall’art. 525 co. 2° c.p.p. (che, per altro, va

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:3- In conclusione, il ricorso è da accogliersi, con conseguente cassazione della
Aentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano

in diversa composizione, che dovrà attenersi ai seguenti principi:
a) tranne che in caso di organi giurisdizionali un collegio deve intendersi come
perfetto solo quando la legge, esplicitamente o implicitamente, lo disponga;

soltanto per le attività decisorie e non anche per quelle preparatorie, istruttorie
o strumentali verificabili a posteriori dall’intero consesso;
c) in nessun caso un collegio può operare in composizione monopersonale.
Sempre il giudice di rinvio dovrà verificare nel merito la fondatezza o meno
degli addebiti disciplinari mossi all’odierno controricorrente e, in caso di esito
affermativo, accertare se risulti ad essi proporzionata la sanzione espulsiva.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 17.2.16.

6) in un collegio perfetto la presenza di tutti i suoi componenti è necessaria

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