Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8242 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2010, (ud. 02/02/2010, dep. 07/04/2010), n.8242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to S.

G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati SGROI

ANTONINO, CORRERA FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

FRATELLI THALER S.N.C., CASSA DI RISPARMIO DI BOLZANO S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 34/2006 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

BOLZANO, depositata il 17/08/2006 R.G.N. 9/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’INPS chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Trento, pubblicata il 17 agosto 2006, che accogliendo in parte l’appello del contribuente Fratelli Thaler snc ed in parziale riforma della decisione di primo grado, ha revocato le due cartelle esattoriali opposte ed ha dichiarato che il debito della snc opponente è solo quello di cui al capo 1 (contributi e sanzioni relativi alle posizioni dei lavoratori T.K. e W. M.) e al capo 6 (indebito beneficio della Cig) del verbale ispettivo del 15 aprile 1999.

Il ricorso dell’INPS investe la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha dato ragione all’opponente con riferimento alle omissioni contributive contraddistinte dai numeri 3, 4 e 5 ed è articolato in quattro motivi, ciascuno sintetizzato da un quesito di diritto.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il primo motivo concerne i contributi per l’indennità di trasferta non pagata. L’INPS, premesso che è pacifico che l’impresa, pur essendovi tenuta, non ha corrisposto ai suoi dipendenti l’indennità di trasferta prevista dalla contrattazione collettiva nazionale e provinciale, censura la sentenza per violazione delle disposizioni dettate dalla L. n. 338 del 1989, art. 1 (sul minimale imponibile) e dalla L. n. 153 del 1969, art. 12 (sull’imponibile previdenziale).

La Corte d’Appello, infatti, ha ritenuto che, pur essendo accertato che i lavoratori non hanno percepito il compenso per le trasferte effettuate, e quindi che su tali importi non sono stati corrisposti i contributi nella misura di legge (50%), fosse onere probatorio dell’INPS dimostrare anche che la retribuzione pagata fosse complessivamente inferiore a quella che l’impresa avrebbe dovuto pagare sulla scorta della retribuzione virtuale.

La soluzione non è condivisibile.

Ai sensi della L. 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) “per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro. Sono escluse dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte al lavoratore a titolo: 1) di diaria o d’indennità di trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare; …”.

Pertanto, il credito contributivo nasce in presenza di un diritto dei lavoratori alla indennità di trasferta e limitatamente all’ammontare del 50% della relativa somma. L’INPS non ha oneri probatori ulteriori rispetto alla dimostrazione di tale credito. Nel caso in esame, tale onere è stato pacificamente assolto e quanto richiesto in aggiunta dalla Corte d’Appello è fuori dal quadro normativo di riferimento.

Il secondo motivo di ricorso, riguarda l’obbligo contributivo in relazione alla indennità di mensa. La tesi dell’INPS è che qualora il datore di lavoro non abbia provveduto a recuperare la somma eccedente le L. 12.000 (importo fissato dalla contrattazione collettiva quale costo massimo per il pasto caldo), sugli importi differenziali è tenuto a versare la contribuzione. Anche questo motivo è fondato perchè quegli importi differenziali non sono altro che una forma di retribuzione e quindi, in base alla normativa su richiamata, sono soggetti a contribuzione.

Il terzo ed il quarto motivo, concernono la fiscalizzazione degli oneri sociali.

L’INPS, ricostruita la relativa normativa, muove due censure alla sentenza. La prima è di aver ritenuto fiscalizzati anche gli oneri contributivi del 1995, mentre la normativa sulla fiscalizzazione non copre tale anno. In effetti, la L. 23 dicembre 1994, n. 724, sancisce, all’art. 45, che con decreto del Ministro del tesoro, bilancio e programmazione economica, … si provvede alla determinazione delle condizioni, dei limiti e delle modalità degli interventi in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali. Il decreto che ha provveduto sulla materia è il D.M. 22 giugno 1995, il cui art. 2, nel disciplinare condizioni e limiti della fiscalizzazione nulla ha previsto per l’anno 1995, regolando la materia per gli anni dal 1996 al 2000.

L’altra censura riguarda gli anni 96 e 97. La tesi dell’INPS è che il diritto alla fiscalizzazione per questi anni è venuto meno a causa del mancato rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro e del contratto integrativo provinciale.

La Corte ripropone la motivazione formulata con riferimento alla indennità di trasferta affermando che l’INPS per negare il diritto alla fiscalizzazione “avrebbe dovuto dimostrare che la base di computo effettivamente tenuta presente dalla odierna appellata è stata complessivamente inferiore rispetto a quella risultante dall’applicazione del minimale retributivo, senza parcellizzare quest’ultimo in una serie di attribuzioni e perciò pretendere che la mera violazione di una posta contrattuale debita integri di per sè violazione dell’anzidetto minimale”.

La tesi non è condivisibile. L’INPS è tenuta a dimostrare che non è stato rispettato il contratto collettivo e non ha l’onere aggiuntivo di dimostrare che la violazione di uno specifico obbligo retributivo sia stata compensata dal pagamento maggiorato di altre voci. Al massimo, ciò potrà essere oggetto di allegazione e prova da parte dell’impresa. Ma certo non costituisce onere dell’Istituto previdenziale.

In conclusione, essendo fondati tutti i motivi, il ricorso deve essere accolto. La controversia può essere decisa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti. La decisione deve essere cassata e l’opposizione alle cartelle esattoriali deve essere respinta. L’impresa ricorrente dovrà rifondere le spese del giudizio di legittimità all’INPS. Sussistono invece congrui motivi, legati oscillazioni delle pronunzie di merito, per la compensazione delle spese dei primi due gradi del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione alle cartelle esattoriali. Condanna la Fratelli Thaler snc al pagamento in favore dell’INPS delle spese del processo di Cassazione, che liquida in Euro 40,00, nonchè Euro 4.000,00 euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali. Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

 

 

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