Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 824 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 824 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 2107 — 2010 R.G. proposto da:
ALEO GIUSEPPE — LAEGPP49B08C351K, rappresentato e difeso, in virtù di procura
speciale a margine del ricorso, dall’avvocato Emilio Monfrini ed elettivamente domiciliato in
Roma, alla via dei Gracchi n. 187, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Magnano di San
Lio.
RICORRENTE
contro
ALEO MARIA LUDOVICA — LAEMLD52P52C351W, rappresentata e difesa, in virtù di
procura speciale a margine del controricorso, dall’avvocato Claudio Fiume ed elettivamente
domiciliata in Roma, alla via Ennio Quirino Visconti n. 90, presso lo studio dell’avvocato
Francesco Maria Samperi.
CONTRORICORRENTE
E
ALEO CONCETTA — LAECCT48A42C351C, elettivamente domiciliata in Roma, alla via
Boezio n. 14, presso lo studio dell’avvocato prof. Mario Libertini, che, unitamente

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1

Data pubblicazione: 16/01/2014

all’avvocato Giuseppe Girlando, la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a
margine del controricorso con ricorso incidentale.
CONTRORICORRENTE — RICORRENTE INCIDENTALE
avverso la sentenza n. 896 dei 10/24.6.2009 della corte d’appello di Catania,
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5 dicembre 2013 dal consigliere
dott. Luigi Abete,

udito l’avvocato Michele Licata, delegato dall’avvocato Claudio Fiume, per la
controricorrente, Maria Ludovica Aleo,
udito l’avvocato Carlo Azzomi, delegato dall’avvocato prof. Mario Libertini e dall’avvocato
Giuseppe Girlando, per la controricorrente, ricorrente incidentale, Concetta Aleo,
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Sergio Del
Core, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale, sia del ricorso incidentale,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 22.3.2000 Giuseppe e Concetta Aleo chiamavano a comparire
innanzi al tribunale di Catania la sorella Maria Ludovica Aleo.
All’uopo deducevano che in data 21.1.2000 era deceduta in Catania la madre, Rosaria
Papale, che in data 7.3.2000 su richiesta della convenuta era stato pubblicato a ministero notar
Luca di Catania il testamento olografo redatto in data 16.9.1996 dalla comune genitrice,
testamento integrato da scheda datata 20.10.1997, che nondimeno la volontà della testatrice
era stata viziata dal dolo esercitato dalla sorella Maria Ludovica, unica chiamata a beneficiare
dell’ingente patrimonio immobiliare e mobiliare della madre e da costei, per giunta, già
beneficiata in vita con le donazioni di cui agli atti parimenti a rogito notar Luca del 20.7.1993
e dell’11.5.1995, che segnatamente la convenuta aveva approfittato delle precarie condizioni
di salute della de cuius, con cui conviveva, condizioni di salute che l’avevano resa
particolarmente suggestionabile.
Chiedevano pertanto che l’adito giudice pronunciasse l’annullamento del testamento
datato 16.9.1996, altresì che pronunciasse ai sensi dell’art. 463, n. 4, c.c. l’indegnità a
succedere di Maria Ludovica Aleo, quale autrice del dolo, in subordine che dichiarasse la
grave lesione dei diritti ad essi attori spettanti in qualità di legittimari e, conseguentemente,

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udito l’avvocato Emilio Monfrini, per il ricorrente, Giuseppe Aleo,

che riducesse le disposizioni testamentarie, ricostituendo l’asse ereditario, all’uopo tenendo
conto dei redditi dei beni assegnati alla sorella dal dì della domanda, e procedendo nei modi e
termini di cui agli artt. 553 e 555 c.c..
Si costituiva Maria Ludovica Aleo.
All’uopo chiedeva il rigetto delle avverse istanze ed in subordine, qualora fosse stata
accolta l’avversa domanda di annullamento, che si disponesse la devoluzione secundum legem

che in sede di determinazione del valore dell’asse non si tenesse conto delle donazioni in suo
favore disposte, giacché effettuate con dispensa da collazione ed imputazione; chiedeva,
inoltre, in via riconvenzionale, che si accertasse che, nel periodo in cui aveva atteso
all’amministrazione del patrimonio materno, l’attore Giuseppe Aleo si era indebitamente
appropriato di ingentissime somme, da quantificarsi in corso di lite, di importo, in ogni caso,
non inferiore a lire 5.000.000.000, e, conseguentemente, che si dichiarasse il medesimo attore
obbligato ad integrare l’asse ereditario in misura corrispondente o, comunque, che si
disponesse la compensazione dell’obbligazione a lui facente carico con il valore della quota di
legittima ad egli eventualmente spettante.
Con sentenza dei 5.6/15.7.2003 il tribunale di Catania rigettava le domande tutte di
parte attrice eccezion fatta per la domanda di riduzione spiegata da Giuseppe Aleo, all’uopo
dichiarando il diritto di quest’ultimo ad una quota di riserva pari ad un terzo della massa
formata dai beni ereditari relitti da Rosaria Papale e dai beni da costei donati in vita;
segnatamente il tribunale respingeva la domanda con cui Concetta Aleo aveva invocato
l’accertamento della lesione dei propri diritti di legittimaria e, per l’effetto, la riduzione delle
disposizioni lesive, opinando ex officio per la decadenza dell’attrice dall’impugnazione ex artt.
553 e ss. c.c., non avendo costei rinunciato ad un legato qualificato in sostituzione di
legittima.
Interponeva appello Giuseppe Aleo, instando per la riforma della gravata sentenza,
limitatamente al capo con cui era stata respinta la sua domanda di annullamento del
testamento e di declaratoria di indegnità a succedere di Maria Ludovica Aleo.
Interponeva, altresì, separato appello Concetta Aleo, instando per la riforma della
statuizione gravata, in via principale, perché si dichiarasse che la successione seguisse

secundum legem, in subordine, perché si dichiarasse la sua qualità di legittimaria, acclarando

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dell’asse ereditario ed, ancora, qualora fosse stata riconosciuta agli attori la quota di legittima,

la natura di legato in conto di legittima delle disposizioni contenute nel testamento olografo in
data 16.9.1996.
Si costituiva e resisteva Maria Ludovica Aleo, instando per la conferma dell’appellata
statuizione.
Riuniti i gravami separatamente proposti, con sentenza dei 10/24.6.2009 la corte
d’appello di Catania ne disponeva il rigetto, confermando in toto l’impugnata pronuncia e

grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Giuseppe Aleo, chiedendo di “annullare il
solo capo della sentenza della Corte di Appello di Catania…, che ha rigettato la domanda di
nullità del testamento, rinviando ad altra Corte di merito, formulando i principi ai quali dovrà
attenersi per pervenire ad una corretta pronuncia di accoglimento dei motivi d’appello…
ovvero decidere la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.
In accoglimento del motivo relativo alle spese del giudizio, porre a carico dell’appellata Maria
Ludovica, le spese del giudizio di merito, che vanno liquidate in favore degli appellanti.
Condannare la resistente Maria Ludovica Aleo alle spese del presente grado del giudizio in
favore del ricorrente” (così ricorso principale, pagg. 34 e 35).
Maria Ludovica Aleo ha depositato controricorso, chiedendo il rigetto dell’avversa
istanza e, per l’effetto, la conferma della sentenza della corte d’appello di Catania, con il
favore delle spese del presente grado.
Concetta Aleo, a sua volta, ha depositato controricorso, con ricorso incidentale,
chiedendo la cassazione della sentenza della corte d’appello di Catania, con ogni
consequenziale statuizione in ordine alle spese e competenze dei gradi tutti di giudizio.
Il ricorrente, Giuseppe Aleo, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Parimenti la controriconente, ricorrente incidentale, Concetta Aleo, ha depositato
memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo il ricorrente principale deduce, ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3),
c.p.c., la violazione degli artt. 624 e 2697 c.c. ed, ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c., il
vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

condannando Giuseppe e Concetta Aleo a rifondere alla sorella Maria Ludovica le spese del

All’uopo adduce che il giudice dell’appello, benché abbia dato atto in premessa dei
costanti insegnamenti di questa Corte di legittimità, ha omesso “di analizzare le prove offerte
e tra loro collegarle ai fini di un esatto convincimento sulla fondatezza, o meno, delle
domande proposte dagli attori (appellanti)” (così ricorso, pag. 13); che, in particolare, la corte
catanese si è limitata ad affermare che “risulti coerente a tali linee guida il giudizio di
irrilevanza espresso dalla sentenza impugnata su gran parte delle circostanze indicate dagli
appellanti, nonché quello di insufficiente rilevanza probatoria dato a quelle, tra dette

dimostrare la denunciata captatio” (così sentenza d’appello); che, viceversa, alla stregua delle
“prove offerte dall’appellante (o meglio dagli appellanti), prove ampiamente articolate anche
nella comparsa conclusionale e successiva replica depositate nel giudizio d’appello… il
Giudice del merito avrebbe dovuto accogliere le domande degli appellanti” (così ricorso, pag.

14); che, in particolare, “nell’impugnata sentenza… le testimonianze rese dai testi Russo
Maristella e Zappalà Carmela, non vengono ritenute attendibili, stante la parentela e affinità
con gli appellanti. Si spostano volutamente i termini dell’inizio delle manovre della figlia
Maria Ludovica per impossessarsi da sola del patrimonio materno” (così ricorso, pag. 24)
Il motivo, che si specifica e si qualifica essenzialmente — se non esclusivamente – in
relazione alla previsione del n. 5) del 10 co. dell’art. 360 c.p.c., è a doppio titolo
inammissibile; in ogni caso è destituito di fondamento.
Ai fini invero della testé compiuta qualificazione occorre tener conto, da un lato, che
Giuseppe Aleo censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso

(“tutto il materiale probatorio sopra ricordato non è stato preso in alcuna considerazione dai
Giudici di merito ai fini di valutare l’affermata della volontà testamentaria”:
così ricorso principale, pag. 24), dall’altro, che il vizio di motivazione denunciabile come
motivo di ricorso ex art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. può concernere esclusivamente
l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non
anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008,

n. 28054, ove si soggiunge che, qualora il giudice del merito abbia correttamente deciso le
questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o
fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria, la Corte di Cassazione,
nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384, 20 co., c.p.c., deve limitarsi a
sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata; cfr. Cass.

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circostanze, che maggiormente, secondo la prospettazione di essi, sarebbero state idonee a

26.9.2005, n. 18782, secondo cui le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di
cui all’art. 360, 10 co., n. 3), c.p.c., descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola
il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma
ritenuta regolatrice del caso concreto ed il secondo l’applicazione della norma stessa al caso
concreto una volta correttamente individuata ed interpretata).
Nel solco dell’operata qualificazione dell’unico motivo fondante l’impugnazione

parte, c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso di specie) per il motivo di cui al n. 5) del 1°
co. dell’art. 360 c.p.c. (cioè la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”) deve
consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente
destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura
della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione
svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del
requisito dell’art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto
controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la
motivazione (cfr. Cass. ord. 18.7.2007 n. 16002; cfr. Cass. 8.3.2013, n. 5858, secondo cui in
tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza
impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto,
ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c.,
deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche
formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un
quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare
immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il
requisito di specificità del motivo ex art. 366, 1° co., n. 4) c.p.c., ma assume l’autonoma
funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza
logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della
decisione favorevole al ricorrente).
In tal guisa si svela la prima ragione di inammissibilità del ricorso principale.
Propriamente è in via esclusiva la disamina della complessiva enunciazione dell’unico
motivo su cui fonda l’impugnazione principale, che induce a reputare che Giuseppe Aleo

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principale si evidenzia, in primo luogo, che il requisito prescritto all’art. 366 bis, seconda

assume – sostanzialmente — che la corte d’appello, in spregio alle risultanze istruttorie,
avrebbe immotivatamente disconosciuto l’acquisito riscontro probatorio della supposta
captazione della volontà testamentaria.
Nel segno dell’operata qualificazione dell’unico motivo suffragante il ricorso principale
si evidenzia, in secondo luogo, che il ricorrente principale si è limitato alla mera
riproposizione del materiale probatorio già vagliato dal giudice del merito.

Propriamente è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la
sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, 1° co., n.
5) c.p.c., qualora esso prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati
acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione
degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del
giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi
della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una
inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito,
e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla
natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass.
sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).
In ogni caso si rimarca che la corte distrettuale ha dato ragione del suo dictum con
ampia, articolata, esaustiva, congrua e coerente motivazione.
Previamente va posto in risalto, per un verso, che questo giudice del diritto ha ribadito
che in tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo,
per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine
psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni,
ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali – avuto riguardo all’età, allo stato di
salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in
lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe
spontaneamente indirizzata; altresì, che la relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve
fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la
conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (cfr.
Cass. 28.5.2008, n. 14011 e Cass. 22.4.2003, n. 6396, precedenti debitamente richiamati del
giudice d’appello).
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In tal guisa si svela la seconda ragione di inammissibilità del ricorso principale.

Per altro verso, che nella ricerca e nella valutazione degli elementi sia indiziari che
presuntivi del proprio convincimento il giudice del merito è investito del più ampio potere
discrezionale, nel senso che è libero di scegliere gli elementi che ritiene maggiormente
attendibili e meglio rispondenti all’accertamento del fatto ignoto, nonché di valutarne come
crede la gravità e la concludenza, purché il suo ragionamento non risulti viziato da illogicità o
da errori giuridici, quale l’esame isolato dei singoli elementi presuntivi senza alcuna organica
e complessiva valutazione di essi nel quadro unitario della indagine di fatto (cfr. Cass.

precisione, gravità e concordanza imposti dall’art. 2729 c. c. devono essere ricercati in
relazione al complesso degli indizi, sottoposti a valutazione globale, e non con riferimento
singolo a ciascuno di essi, pur senza omettere un siffatto apprezzamento preventivo, al solo
fine di vagliare la rilevanza di ciascun indizio e di individuare quelli ritenuti significativi e
perciò da ricomprendere nella suddetta valutazione globale).
Per altro verso ancora, che, se è vero che nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt.
2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di
assoluta necessità causale (cfr. Cass. 5.7.1990, n. 7084), è altrettanto vero, tuttavia, che gli
elementi presuntivi devono essere senz’altro idonei a consentire illazioni che ne discendano
secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit (cfr. Cass. 27.8.1999, n. 9015).
Su tale scorta si rileva che la corte catanese, a fronte della ricostruzione dei fatti cui le
parti appellanti avevano atteso, ha precisato che “non possano condividersi né la sussistenza
di un isolamento della de cuius quale conseguenza del comportamento della figlia Maria
Ludovica (si assume anche spalleggiata dal marito) né le altre considerazioni svolte dagli
appellanti per la dimostrazione indiziaria della captazione imprecisamente definita in diritto”

(così sentenza d’appello).
Più esattamente, ha puntualizzato che “non soltanto l’insieme degli accadimenti è tale
che non può sostenersi, o comunque non può farsi con la necessaria certezza, che l’isolamento
(fattore che si assume essere induttivamente dimostrativo della captazione) sia stato effetto di
callido comportamento dell’appellata (spalleggiata dal marito) ma, addirittura vi è ragione di
ritenere tutt’altro, posto che all’inizio di tale atteggiamento di distacco si rinvengono una serie
di circostanze… che assumono evidente valenza di ragioni immediate ed autonome di grave
risentimento della madre nei confronti dei figli Giuseppe e Concetta”

(così sentenza

d’appello).

41 PAAL

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27.11.1982, n. 6460; cfr. anche Cass. 27.8.1999, n. 9015, secondo cui i requisiti della

Segnatamente a tale postulato la corte distrettuale è pervenuta innanzitutto all’esito della
puntuale valutazione dell’elemento indiziario principe, ovvero dell’asserito stato di
isolamento di Rosaria Papale rispetto ai figli Giuseppe e Concetta, elemento indiziario
vagliato in sé (“senza trascurare che il fatto che poco prima del di lei [nde: di Maria

Ludovica] matrimonio la madre ebbe sicuri colloqui telefonici con la figlia Concetta
(settembre 1996) appare addirittura poco collimare con la tesi del suo artato mantenimento
in uno stato di isolamento iniziato ben tre/quattro anni prima”: così sentenza d’appello) ed in
l’inizio della manovra fraudolenta sono successivi al burrascoso incontro del 5/10/1993 in
cui la defunta Papale ed il figlio Giuseppe litigarono in ordine alle modalità gestorie di
quest’ultimo dell’ingente patrimonio materno”: così sentenza d’appello; “Giuseppe e
Concetta iniziarono nel dicembre 1993 (e quindi in epoca temporalmente contigua) il giudizio
di interdizione della madre — conclusosi con il rigetto dell’istanza.. “: così sentenza d’appello;
“Concetta nel giugno del 1995… coevamente all’appello per l’interdizione aveva proposto …
domanda contro la madre per far dichiarare che aveva usucapito la di lei casa di via Etnea
dove abitava.. “: così sentenza d’appello).
In pari tempo, la corte di merito ha provveduto a scrutinare la prioritaria circostanza
indiziaria nel complessivo quadro delle ulteriori circostanze offerte alla sua attenzione.
In particolare, nel solco dell’imprescindibile globale disamina, ha soggiunto che
“l’addotta fragilità mentale della testatrice… è affermazione apodittica visto che… il giudizio
di interdizione.., si è concluso col rigetto, in entrambi i gradi, della domanda svolta da Aleo
Giuseppe e Concetta in base a valutazioni.., che sono incompatibili anche col mero dubbio
sulla capacità di intendere e di volere della Papale la quale… all’epoca del testamento (1996)
aveva settantacinque anni, età che non è certo così avanzata da lasciare di per sé sola
presumere tangibile fragilità e confusione mentali” (così sentenza d’appello). Ed ha chiarito,
in ordine alla prospettazione di parte appellante, alla cui stregua le manovre di Maria
Ludovica Aleo volte a trarre in inganno la madre avrebbero avuto inizio già nel corso
dell’anno 1992, che “anche tale assunto… è addirittura smentito se, come deducono gli stessi
appellanti, ancora nell’agosto 1993 la Papale aveva dato incarico ad un geometra di valutare il
prestigioso immobile donato poco prima a Maria Ludovica e ciò… perché evidentemente fino
a quel momento la Papale aveva sentimenti coerenti con le disposizioni (eque nei confronti
dei tre figli) di cui ad un precedente testamento del 1983” (così sentenza d’appello).

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rapporto al suo momento genetico (“i fatti descritti dalle testi e che dovrebbero individuare

Al cospetto della analitica, organica e coerente ricostruzione operata dalla corte
siciliana, pur ad ammettere – siccome adduce il ricorrente principale (cfr. pagg. 14, 15, 16) e
ciò ben vero nonostante la prospettazione di segno antitetico della controricorrente Maria
Ludovica Aleo (cfr. pag. 16 del controricorso di costei) – che la gestione del cospicuo
patrimonio materno da parte di Giuseppe Aleo sia stata improntata a criteri di assoluta
correttezza, sicché Rosaria Papale abbia al riguardo nutrito erronei convincimenti, è fuor di
dubbio che la sola circostanza per cui Maria Ludovica Aleo abbia convissuto con la madre e

giustificare l’illazione per cui “sia stata Maria Ludovica figlia convivente ad indurre la madre
ad aggredire il figlio amministratore con accuse assurde ed infamanti”

(così ricorso

principale, pag. 16) ovvero l’illazione per cui “l’unica possibilità è quella di aver avuto le
errate notizie dalla sola figlia M. Ludovica, che aveva interesse ad allontanare i fratelli
dall’affetto materno per pervenire, com’è, poi, avvenuto, ad essere l’unica a beneficiare
dell’ingente patrimonio” (così ricorso principale, pag. 26).
Si è anticipato che il giudice del gravame ha puntualmente dato atto che, nonostante le
incomprensioni insorte con i figli Giuseppe e Concetta, Rosaria Papale ancora nel mese di
settembre del 1996, aveva ampia possibilità di colloquio telefonico.
In ogni caso è da escludere senz’altro che, alla stregua del!’ id quod plerumque accidit,
possa desumersi il corollario per cui la controricorrente, in quanto convivente con la madre e
sostanziale esclusiva beneficiaria mortis causa del suo patrimonio, sia stata artefice ai danni
della genitrice di attività captatoria, sì da condizionarne e da orientarne in suo favore la
volontà testamentaria.
Con il primo motivo la ricorrente incidentale, Concetta Aleo, censura la statuizione di
secondo grado, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c., per violazione e falsa applicazione
degli artt. 551, 552, 558 e 1362 c.c..
In particolare deduce che la statuizione del giudice del gravame è inficiata dall’ “errata
interpretazione delle disposizioni contenute nel testamento del 1996 e nella successiva e
connessa scheda integrativa del 1997” (così ricorso incidentale, pag. 6); che, “in seno a detto
testamento, infatti, non viene mai formulata dalla testatrice la volontà espressa di non
considerare erede la figlia Concetta, ovvero di lasciare alla stessa beni a titolo di legato in
sostituzione della legittima” (così ricorso incidentale, pag. 6); che, “spendendo, al contrario,
il termine , la testatrice ha adoperato un’espressione che, sul piano letterale,

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sia stata sostanzialmente l’esclusiva beneficiaria dell’eredità materna, non può, di per sé,

suona chiaramente come riconoscimento, in capo alla figlia Concetta, della sussistenza e
permanenza della posizione di erede legittima” (così ricorso incidentale, pag. 7) ; che, “se la
sig.ra Papale avesse davvero voluto escludere che la figlia ricevesse a titolo di erede i cespiti
attribuitile, avrebbe invero disposto che tale lascito avrebbe avuto luogo a titolo di legato, non
già certo (così come ammesso nel testamento, nel quale, anzi, il
riferimento de quo è doppiato dall’ulteriore formula )” (così

che… la testatrice intese soddisfare, nel limite minimo, ma con una quantità di beni ritenuta
idonea a rispettare la riserva di legge, i diritti della figlia legittimaria… che anche il criterio
ermeneutico logico — sistematico conduce a corroborare tale assunto. Se si esamina, infatti, il
tenore della scheda integrativa del 1997…” (così ricorso incidentale, pag. 7) ; che “resta
quindi l’assoluta oscurità del percorso ermeneutico seguito dai giudici di prima e seconda
istanza, che sono giunti a qualificare alla stregua di legato, piuttosto che di istituzione di
erede, la delazione in favore dell’Aleo Concetta” (così ricorso incidentale, pag. 8); che,
“affinché il legato a favore di un legittimario possa essere considerato in sostituzione di
legittima è necessario che il testatore lo manifesti in modo non equivoco. Diversamente quel
legato deve presumersi in conto di legittima” (così ricorso incidentale, pag. 10); che erronea è
altresì la statuizione di secondo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di reintegra
della quota indisponibile di ella ricorrente incidentale, assumendo che non vi fosse stata
tempestiva rinunzia alla delazione a titolo particolare; che invero il requisito della forma
scritta destinato a configurarsi per il negozio unilaterale di rinunzia al legato avente ad
oggetto diritti reali immobiliari, deve nella fattispecie reputarsi efficacemente soddisfatto alla
stregua del contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio in grado d’appello e della
sottoscrizione della procura stesa a margine; che, anzi – siccome ha puntualizzato questa Corte
di legittimità — la rinuncia al legato, per un verso, va acclarata con riferimento al momento
della decisione e non della presentazione della domanda e, per altro verso, può risultare
implicitamente pur dal tenore di un atto di citazione; che ella ricorrente incidentale “nei propri
scritti, a cominciare da quello introduttivo del giudizio dinanzi al tribunale di Catania ha, in
via gradata, costantemente proposto domanda di riduzione delle disposizioni lesive della
propria quota di riserva, indubitabilmente concretando, così, un’implicita rinuncia al
legato…” (così ricorso incidentale, pag. 13).

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ricorso incidentale, pag. 7) ; che “il criterio di interpretazione letterale… conduce a ritenere

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale censura la statuizione del giudice del
gravame ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. per insufficiente e contraddittoria
motivazione.
In particolare deduce che “a fronte di una giurisprudenza.., che investe un lascito
testamentario della qualifica di soltanto in presenza di
chiare ed univoche manifestazioni di volontà del testatore di disporre un legato tacitativo e

titolo particolare, richiede un’attenta e motivata indagine.., i giudici di seconde cure, anche in
assenza di quegli indici di inequivocabilità e omettendo di motivare congruamente i propri
assunti, hanno creduto fermamente di aver colto la volontà della testatrice…” (così ricorso

incidentale, pag. 15).
Ambedue i motivi appaiono strettamente connessi; il che ne suggerisce la contestuale
disamina.
Entrambi i motivi, in ogni caso, sono destituiti di fondamento.
Si premette che, ai fini della ricostruzione del mens testantis e, segnatamente, ai fini di
una esatta identificazione del legato in sostituzione di legittima, si deve sempre partire
dall’analisi della scheda testamentaria ed è lecito prendere in considerazione elementi
estrinseci solo quando nella scheda a questi si faccia riferimento (cfr. Cass. 16.5.1977, n.

1991). Inoltre, che, ai fini della configurabilità del legato in sostituzione di legittima non
occorre il riscontro dell’uso di formule sacramentali, giacché è sufficiente che risulti
l’intenzione del testatore di soddisfare integralmente il legittimario con l’attribuzione di beni
determinati senza chiamarlo all’eredità (cfr. Cass. 10.6.2011, n. 12854; cfr. Cass. 26.5.1998,

n. 5232, secondo cui per ammettersi che un legato sia in sostituzione anziché in conto di
legittima, è necessario che risulti una manifestazione certa ed univoca del testatore nel senso
che determinati beni debbano essere attribuiti al legittimario e che tale attribuzione se
accettata esaurisca le ragioni ereditarie del medesimo); e tale intenzione deve emergere in
maniera inequivoca, sia da una espressa proposizione sia dal complesso delle proposizioni in
cui si articola la scheda testamentaria (cfr. Cass. 29.7.2005, n. 16083; Cass. 26.1.1990, n.

459). Ancora, che l’accertamento che la qualificazione del legato in sostituzione di legittima
postula, risolvendosi in un’indagine e in un apprezzamento dei fatti, è, per sua natura,
demandato al giudice del merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità, se

12

che al fine di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale e disposizioni a

coerentemente motivato senza errori di diritto o logici (cfr. Cass. 9.9.2011, n. 18583; Cass.

6.5.1977, n. 1991).
Alla luce dei principi tutti testé ribaditi non può che darsi atto in questa sede che,
contrariamente a quanto ha assunto la ricorrente incidentale, la corte catanese ha dato conto,
del pari con ampia, articolata, esaustiva, congrua e coerente motivazione, dell’operata
qualificazione del legato de quo agitur in guisa di legato in sostituzione e non in conto di

Invero ha debitamente posto in risalto i passaggi delle disposizioni di cui al testamento
olografo di Rosaria Papale che depongono per l’univoca volontà della testatrice di chiamare
all’eredità esclusivamente la figlia Maria Ludovica (“lascio la mia proprietà denominata., e

tutte intere le altre mie che deve avere lei sola”) ed, altresì, di soddisfare integralmente le
ragioni di legittimaria della figlia Concetta mercé l’attribuzione dei cespiti a costei
espressamente attribuiti (“do la sola casa…; quale sua stretta legittima…; a titolo di legittima

che neanche merita”).
La corte distrettuale, al contempo, ha puntualmente esplicitato le ragioni per le quali la
scheda integrativa dell’anno 1997 non solo non vale a smentire, ma vale per giunta a
corroborare il corollario ermeneutico cui è pervenuta.
In tal guisa è da escludere recisamente e che la corte di merito non abbia ancorato
l’operata ricostruzione della volontà della testatrice ad indici univoci e precisi e che non abbia
indicato gli elementi su cui ha fondato il proprio convincimento e che ne abbia offerto una
disamina disarticolata sul piano sia logico che giuridico (siccome, viceversa, assume la

ricorrente incidentale: cfr. pag. 15. Si tenga conto, in ogni caso, che il vizio di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360, 1 0 co., n. 5), c.p.c. si configura
solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta
dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della
controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra
le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico
giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformità dell’apprezzamento
dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito. La
sua deduzione con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere
di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale bensì la mera facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle

4i,,

13

legittima.

argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse
sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro
dei mezzi di prova acquisiti: cfr. Cass. 16.1.2007, n. 828).

art. 551 c.c. che la ricorrente incidentale ha dedotto di aver operato con il medesimo atto di
gravame, ha specificato, in aderenza all’insegnamento di questa Corte, che, “avendo in primo
grado l’appellante richiesto l’integrazione di quanto dovutole per diritto di legittima senza
minimamente dismettere il legato, che tuttora ritiene costituire mera anticipazione del suo
diritto, implicitamente ha confermato la volontà di mantenere il legato con la conseguenza,
più volte evidenziata dalla giurisprudenza, che non solo… l’appellante ha inteso confermare
la già realizzata acquisizione patrimoniale dei beni legati ma, per quanto qui rileva, con tale
conferma ha ormai ope legis perso il diritto di chiedere la legittima a norma dell’art. 551 c.c.
(cfr. Cass. n. 4883/96), sicché non è più possibile una rinuncia formulata soltanto in sede di
gravame” (così sentenza d’appello, pag. 23).
Va debitamente soggiunto che l’insegnamento cui è, in parte qua, ancorato il dictum del
giudice di seconde cure, è stato da questa Corte puntualmente reiterato (cfr. Cass. 16.5.2007,

n. 11288, secondo cui, in tema di diritti riservati ai legittimari, il comportamento dal quale
sia dato desumere la volontà, espressa o tacita, del beneficiano di conservare il legato in
sostituzione di legittima, se, per un verso, assume valenza confermativa, seppure superflua,
della già realizzata acquisizione patrimoniale, per altro verso, comporta, ope legis, la
contemporanea caducazione del diritto di chiedere la legittima. A tale effetto non può porsi
rimedio neppure con eventuali atti successivi di resipiscenza, giacché, in considerazione della
deflnitività e della irretrattabilità degli effetti acquisitivi del lascito testamentario correlati a
detta manifestazione di volontà, non è possibile la reviviscenza del diritto di scelta tra il
legato sostitutivo e la richiesta della legittima, rimasto caducato al momento stesso in cui sia
stata manifestata la volontà di conservare il legato (nella fattispecie, sulla base di tale
principio, è stato escluso che potesse attribuirsi valore all’atto di rinuncia al legato in
sostituzione di legittima compiuto dal beneficiano in epoca successiva all’immissione nel
possesso dei beni oggetto del lascito); Cass. 22.7.2004, n. 13785).

14

Per altro verso va rimarcato che il giudice d’appello, in ordine alla rinuncia al legato ex

Nei termini testé esposti il primo motivo fondante il ricorso incidentale, con precipuo
riferimento ai profili sulla cui scorta la medesima Concetta Aleo censura la statuizione di
secondo grado ove si afferma che ella ricorrente incidentale non ha rinunciato
tempestivamente alla delazione a titolo particolare, è non solo destituito di fondamento, ma,
ancor prima, è inammissibile, giacché propriamente non si correla alla ratio decidendi.
Invero, pur ad ammettere — siccome pretende la ricorrente incidentale – che la citazione

dichiarazione di rinunzia al legato avente ad oggetto beni immobili, è innegabile, tuttavia, che
in nessun modo risulta che Concetta Aleo abbia dismesso il legato, allorché in primo grado ha
sollecitato l’integrazione di quanto dovutole per diritto di legittima, recte è innegabile,
tuttavia, che per nulla Concetta Aleo ha censurato — con l’impugnazione esperita in questa
sede – la statuizione di secondo grado, nella parte in cui si afferma che, non avendo dismesso
il legato, ha implicitamente confermato la volontà di conservarlo, in tal guisa perdendo il
diritto di chiedere la legittima ed, in pari tempo, rendendo sterile e vana la rinuncia formulata
soltanto in sede di gravame.
Giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione delle spese del giudizio di
legittimità.
Milita in tal senso l’esigenza di evitare che nei rapporti tra parti, comunque legate da
stretti vincoli di parentela, si innestino ulteriori ragioni di contrapposizione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa
integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

in appello, corredata di procura a margine, integri gli estremi di una valida ed efficace

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