Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 824 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. I, 14/01/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 14/01/2011), n.824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16917-2005 proposto da:

C.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso l’avvocato SABBATUCCI

LUCIANA, rappresentato e difeso dall’avvocato MATRONE GIACOMO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DAMIANO S.P.A., in persona del Curatore Dott.ssa L.

M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FERRI RICCARDO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2081/2004 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI,

depositata il 22/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Carestia Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 15.5.97 C.F., già alle dipendenze della Damiano spa, dal 15.12.83 al 31.12.94, con mansioni di manovale addetto al carico e scarico, propose opposizione dinnanzi al Tribunale di Torre Annunziata avverso l’esclusione, motivata dal difetto di prova documentale, dallo stato passivo dal Fallimento della predetta società (dichiarato il 15.5.96) del suo credito, richiesto in privilegio, per complessive L. 386.405.529, di cui 43.047.864 per TFR e 11.942.980 per tre mensilità non corrisposte, oltre interessi e rivalutazione, lamentando retribuzioni inferiori a quelle previste dal CCNL di categoria, in violazione dell’art. 36 Cost. e art. 2099 c.c, e di non aver percepito la 14.ma mensilità e gli assegni familiari, nè goduto di ferie.

Si costituiva la Curatela, resistendo all’opposizione, in difetto di prova documentale del rapporto di lavoro.

Con sentenza n. 2388 del 20.12.01, il giudice adito rigettava l’opposizione, con compensazione delle spese di lite, ritenendo le testimonianze acquisite inattendibili, con riferimento alle dichiarazioni rese dai deponenti G.D. e R., o non determinanti (la deposizione di A.G.), in difetto di ulteriori certi e credibili elementi di prova.

Contro tale sentenza, proponeva appello il soccombente.

A sostegno, deduceva che la decisione adottata aveva sviluppato una disamina atomistica della prova orale, svalutandola senza tener conto della documentazione prodotta.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 2081/04; rigettava il gravame.

Avverso detta decisione ricorre per cassazione il C. sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso il fallimento Damiano spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente contesta l’omessa e, comunque, erronea e carente valutazione degli elementi probatori e, in particolare, della prova testimoniale effettuata dal giudice di merito.

La Corte d’appello, nel confermare la correttezza della valutazione effettuata dal giudice di prime cure, ha ritenuto la inattendibilità delle dichiarazioni di due testi relative all’orario di lavoro svolto dal ricorrente, in quanto il primo teste svolgeva le mansioni di guardiano notturno e non era credibile avesse conoscenza delle protrazioni del lavoro effettuate dal C. durante la giornata, mentre il secondo era rimasto per breve tempo alle dipendenze della società.

Inoltre,ha osservato che correttamente il giudice di prime cure aveva escluso l’attendibilità delle dichiarazioni del teste A., essendo questi parte in una causa del tutto analoga.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce, infatti,al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., da ultimo v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 20/10/2005, n. 20322; v. Cass., 27/4/2005, n. 8718;Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 21/3/2001, n. 4025; Cass., 8/8/2000, n. 10417; Cass., 8/8/2000, n. 10414; Cass., Sez. Un., 11/6/1998, n. 5802; Cass., 22/12/1997, n. 12960).

Nella specie, il ricorrente si limita invero, a riproporre le censure avanzate con l’atto di appello in relazione alle quali si duole del mancato esame globale degli elementi probatori acquisiti al processo e dell’inadeguato esame di alcune censure svolte nei confronti della sentenza di primo grado relative, in particolare, alla ritenuta inattendibilità dei testi G. ed A..

Sul punto è appena il caso di rammentare, quanto al contenuto dell’onere motivazionale che grava sul giudice di appello, che la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass. Sez. un. n. 10892 del 2001), ma l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte, nè che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da questa svolte. E’, infatti, sufficiente che il giudice dell’impugnazione esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della decisione e le ragioni del suo convincimento, così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni incompatibili con esse e disattesi, per implicito, i rilievi e le tesi i quali, se pure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la conclusione affermata e con l’iter argomentativo svolto per affermarla (Cass., n. 696 del 2002;

n. 10569 del 2001; n. 13342 del 1999); è, cioè sufficiente il riferimento alle ragioni in fatto ed in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata, tenuto conto dei motivi esposti con l’atto di appello (Cass. n. 9670 del 2003; n. 2078 del 1998).

Nel caso di specie) pertanto, la Corte d’appello ha correttamente selezionato gli elementi ritenuti rilevanti ai fini del decidere ed in base ad essi ha argomentato la propria decisione.

Le censure che il ricorrente propone a tale motivazione tendono in realtà a sollecitare, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo rado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. n, 12984 del 2006; Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Quanto poi al mancato esame di tre testimonianze ed alla mancata valutazione di alcuni documenti, va ulteriormente osservato che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non riporta nel ricorso il testo di tali testimonianze nè il contenuto testuale dei documenti, impedendo in tal modo a questa Corte,cui è inibito prendere visione degli atti processuali, di disporre degli elementi per poter valutare il fondamento della doglianza.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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