Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8238 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 24/03/2021), n.8238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7176/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.G., elett.te domiciliato in Termoli, alla via Cannarsa

n. 21 presso il Dott. Giovanni Monti;

– intimato –

Nonchè

S.M., elett.te domiciliato in Termoli, alla via Cannarsa n.

21 presso il Dott. Giovanni Monti;

– intimata –

avverso la sentenza n. 168/1/16 della Commissione Tributaria del

Molise, depositata il 31/3/2016, non notificata;

udita la relazione della causa svoltai nella camera di consiglio del

20 novembre 2020 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. con sentenza n. 168/1/16, depositata il 31 marzo 2016, non notificata, la Commissione Tributaria del Molise rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 65/2/10 della Commissione Tributaria di Campobasso, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto alla variazione della rendita catastale da Euro 2.100,00 ad Euro 3.000,00 di un immobile di proprietà di M.G. e S.M., proposto dagli stessi in categoria D/5 con procedura DOCFA a seguito di variazione per fusione e diversa distribuzione interna;

3. la CTP aveva accolto il ricorso con il quale i contribuenti avevano lamentato di aver commesso un errore nell’indicare la collocazione in categoria D/5;

4. la CTR aveva confermato la decisione di primo grado ritenendo che la categoria D/5 non fosse consona alla destinazione dell’unità immobiliare, anche alla luce della circolare dell’Agenzia del Territorio 30 novembre 2012, n. 6, che prevedeva la suddetta classificazione solo per i fabbricati, o parti autonome di essi, destinati alle sedi centrali degli Istituti di credito ma non anche per le comuni agenzie bancarie, che andavano invece collocate nelle categorie ordinarie;

5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica al solo M.G. in data 17 marzo 2017, affidato a due motivi; l’intimato non si costituiva in giudizio;

6. a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte, depositata il 30 dicembre 2019, l’Agenzia ricorrente procedeva all’integrazione del contraddittorio, ex art. 331 c.p.c., nei confronti di S.M. con notifica a mezzo PEC del 24-2-2020; l’intimata non si costituiva in giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 514 del 1948, del R.D.L. n. 652 del 1939 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la sentenza impugnata per non aver applicato all’immobile, utilizzato come filiale di banca, la categoria D/5, prevista dalla normativa in materia di catasto, e per essersi pronunciata sulla categoria benchè l’avviso avesse solo modificato la rendita e non la categoria proposta;

2. con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando l’impugnata sentenza per aver omesso di motivare sulla esatta quantificazione della rendita attribuita.

Osserva che:

1. Il primo motivo risulta fondato con assorbimento del secondo.

1.1 Gli immobili destinati ad Istituti di credito vanno collocati nella categoria D/5 secondo la categoria catastale fissata con regio D.L. 13 aprile 1939, n. 652.

I criteri per la determinazione del classamento sono fissati al D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 61, 62 e 63, secondo cui va verificata per ogni singola unità immobiliare la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito.

Ai sensi dell’art. 62 la destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare, mentre l’art. 63 prevede che ad una unità immobiliare, costituita da parti aventi destinazioni ordinarie proprie di categorie diverse, deve attribuirsi la categoria che ha destinazione conforme alla parte che è prevalente nella formazione del reddito.

Ne consegue che, ferma la classificazione in D/5 degli immobili destinati ad ospitare istituti di credito, in caso di contestazione da parte del contribuente, resta la possibilità di accertare e provare in concreto che tale destinazione non sia ordinaria o prevalente ma solo occasionale, momentanea, immediatamente modificabile senza richiedere trasformazioni delle caratteristiche costruttive dell’immobile, come potrebbe astrattamente avvenire per locali utilizzati solo temporaneamente per allocarvi agenzie bancarie o assicurative di contenute dimensioni, ma che mantengono caratteristiche tipiche di una destinazione abitativa o commerciale.

1.2 In fattispecie analoga questa Corte ha già affermato che: “In tema di classamento, la mera proprietà di un immobile in capo ad un istituto di assicurazione non è sufficiente a ricondurlo come specie ad uno dei generi del gruppo D (immobili a destinazione speciale), se non siano previamente verificate le loro “condizioni estrinseche ed estrinseche”, ai sensi del R.D.L. 1 13 aprile 1939, n. 652, art. 8, comma 1, nel testo sostituito dalla L. 30 dicembre 1989, n. 427, art. 2 e se non si sia verificata la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 61-63, che impongono come criteri di classamento la destinazione ordinaria e le caratteristiche, anche costruttive, influenti sul reddito e, nel caso di unità immobiliare costituita da parti aventi destinazioni ordinarie proprie di categorie diverse, il criterio della prevalenza della parte ai fini della formazione del reddito. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, sul rilievo dell’insufficiente motivazione del giudice di appello circa il classamento di un immobile di proprietà di un soggetto operante nel settore assicurativo ed utilizzato prima in parte come sede dei suoi uffici e, poi, dato in locazione a terzi per essere utilizzato come sede di un ufficio pubblico)”. (Vedi Cass. n. 14374 del 2007).

2. Nella specie, risulta pacifico che l’immobile era destinato ad essere occupato da un Istituto di credito, tanto da essere inizialmente proposto dagli stessi contribuenti per la collocazione in categoria D/5.

La CTR non ha pertanto fatto corretta applicazione del suindicato principio in quanto ne ha escluso in astratto la collocazione in D/5, senza alcuna verifica circa la sua effettiva destinazione ordinaria o prevalente da effettuarsi sulla base delle caratteristiche costruttive e funzionali del cespite.

2.1 Del resto è la stessa Circolare 30 novembre 2012, n. 6, dell’Agenzia del Territorio, richiamata dalla CTR, a deporre nel senso della necessità di procedere ad una verifica dell’ordinarietà prevalente e non occasionale di destinazione dell’immobile al fine di individuare la rendita catastale degli edifici utilizzati per l’attività bancaria, distinguendo all’uopo le sedi centrali degli istituti di credito dalle comuni agenzie; verifica in concreto indispensabile anche per individuarne la diversa collocazione in categoria A o C.

In ogni caso le indicazioni della circolare non rivestono natura cogente; si ricorda che per orientamento pacifico: “Le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è esonerato dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, essendo esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.” (Vedi Cass. n. 18618 del 2019 e n. 10195 del 2016).

3. Per le suesposte considerazioni, rilevato che la CTR non ha fatto corretta applicazione dei principi innanzi indicati, ritenuto fondato il primo motivo, ed assorbito il secondo, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata con rinvio, per un nuovo esame alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame, anche per le spese, alla CTR del Molise, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, da remoto, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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