Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8238 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. II, 22/03/2019, (ud. 20/11/2018, dep. 22/03/2019), n.8238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Helvetia s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante geom. D.G., rappresentata e difesa per

procura alle liti a margine del ricorso dall’Avvocato Dino Selis,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato Antonio

Rappazzo in Roma, via XX Settembre n. 3.

– ricorrente –

contro

V.M., rappresentato e difeso per procura alle liti a margine

del controricorso dagli Avvocati Gabriele Bruyere e Cinzia De

Micheli, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo

in Roma, via Tacito n. 23.

– controricorrenti –

avverso le sentenze della Corte di appello di Torino n. 421,

depositata il 15 marzo 2016, e n. 1419, depositata il 27 giugno

2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20

novembre 2018 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Vittorio, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la Helvetia s.p.a., proprietaria di unità immobiliari site nel condominio di (OMISSIS), convenne in giudizio dinanzi al Tribunale V.M., condomino dello stesso stabile, lamentando che questi parcheggiasse la sua autovettura nel cortile comune in violazione del divieto stabilito dal regolamento condominiale, di natura contrattuale e che tale parcheggio le impedisse di accedere al proprio garage. Chiese pertanto che fosse ordinato al convenuto di non parcheggiare nell’area del cortile e fosse altresì condannato al pagamento di una somma per le eventuali violazioni successive dell’ordine di inibitoria, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.

Costituitosi in giudizio il V. contestò la domanda, rappresentando che il regolamento condominiale non conteneva alcun divieto di parcheggiare le auto nel cortile e che l’assemblea del condominio già con delibera del 28.4.1982 aveva disposto la destinazione a parcheggio di sei autovetture del suddetto cortile e la possibilità di locare i posti auto ai condomini, locazione che il convenuto aveva regolarmente stipulato versando al condominio i canoni pattuiti. Negò inoltre che il parcheggio contestato limitasse l’accesso al box di proprietà della controparte.

Mutato in rito in quello ordinario, all’esito dell’istruttoria il Tribunale di Torino, con sentenza n. 3336 del 2013, respinse la domanda proposta dalla società Helvetia, rilevando che risultava provato in giudizio che con delibera del 29. 4. 1982 l’assemblea di condominio aveva destinato a parcheggio n. 6 posti auto nel cortile e deciso di concederli in locazione ai condomini, che tale delibera, non essendo stata mai oggetto di impugnativa nè di alcuna specifica domanda, era valida ed efficace, e che il V. aveva provato, producendo in giudizio il relativo contratto, di essere titolare del rapporto di locazione del relativo posto auto con il condominio, mentre non era stato invece provato dalla società attrice, che per tale ragione aveva dedotto l’invalidità del contratto di locazione, che il suddetto posto auto fosse in esubero rispetto ai 6 previsti dalla citata delibera.

Per la riforma di tale decisione propose appello la società Helvetia, deducendo che, contrariamente a quanto assunto dalla sentenza, aveva eccepito la nullità della delibera del 1982 per violazione delle norme regolamentari, e che il giudice di primo grado non aveva esaminato la sua doglianza che il parcheggio contestato le impediva l’accesso al suo garage; censurò inoltre la decisione per avere ritenuto la validità del contratto di locazione, nonostante l’istante avesse contestato la sua autenticità materiale e di contenuto e che esso aveva ad oggetto un posto auto in eccesso rispetto ai sei previsti dalla delibera.

Il convenuto resistette al gravame deducendone l’inammissibilità ed infondatezza.

Con sentenza n. 421 del 15. 3. 2016 la Corte di appello di Torino rigettò il gravame, affermando che la deduzione del V. di fruire del parcheggio di uno dei sei posti auto non era stata contestata dalla Helvetia e giudicando non fondata la tesi dalla stessa propugnata che il regolamento di condominio vieterebbe il parcheggio nel cortile. In particolare, con riferimento a questo punto, la Corte territoriale, nell’interpretare le disposizioni regolamentari, ritenne, da un lato, irrilevante la clausola di cui all’art. VII del regolamento di condominio, che vietava di “depositare materiali sui balconi, sulle finestre e sul cortile dovendo essa essere riferita ad oggetti e beni diversi dalle autovetture, e dall’altro che l’art. X del suddetto regolamento, pur disponendo che ” Il cortile deve essere tenuto sgombro”, prevedeva tuttavia il transito delle autovetture, da intendersi sia in senso dinamico che statico, cioè come sosta, e si rivolgeva sempre ai proprietari e non alle unità immobiliari, elementi che, unitamente alla condotta successiva dei condomini, che da quasi trent’anni l’avevano interpretata destinando il cortile a parcheggio, portavano ad avviso del giudicante ad attribuire alle suddette disposizioni il solo fine di regolamentare l’uso delle cose comuni e non quello di limitare i diritti di godimento dei condomini sul bene e fossero quindi prive di quell’efficacia negoziale in presenza della quale le norme regolamentari possono essere modificate solo all’unanimità e non a maggioranza; affermò quindi che la delibera successiva del 1982, che aveva destinato alcuni spazi delimitati del cortile a parcheggio e previsto la loro locazione ai condomini, su cui il convenuto aveva fondato il proprio titolo all’uso del cortile, fosse pienamente legittima e tuttora in vigore.

Avverso tale decisione propose ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la società Helvetia, assumendo che l’affermazione della sentenza secondo cui la società appellante non aveva contestato l’esistenza e validità del contratto di locazione eccepito dal V. era il risultato di una errata rappresentazione della realtà processuale, essendo stato tale contratto contestato sotto tutti gli aspetti, vale a dire sia con riguardo alla sua esistenza che alla sua validità, per difetto del potere di stipula in capo all’amministratore.

Dopo avere disposto, con ordinanza del 19. 7. 2016, la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la decisione impugnata, con sentenza n. 1419 del 27. 6. 2017 la Corte di appello di Torino respinse l’istanza di revocazione, dichiarandola inammissibile in ragione del rilievo che il giudice di appello aveva motivato la propria decisione sulla base di un giudizio e non di un mero fatto, avendo affermato che ” la questione circa l’invocabilitù del contratto di locazione ” doveva ritenersi risolta sulla base del rilievo che la circostanza fattuale dedotta dal V. di fruire di uno dei sei posti auto messi a disposizione dei condomini dalla delibera assembleare del 29. 4. 1982 non era stata contestata dalla Helvetia, che non aveva preso specifica posizione sul punto, ed era stata altresì sostenuta dalla produzione in giudizio di un contratto di locazione; aggiunse inoltre la Corte che la natura revocatoria dell’errore denunziato andava esclusa anche in ragione del rilievo che esso investiva un fatto che non costituiva l’unico presupposto della decisione impugnata.

Per la cassazione di entrambe le sentenze, con atto inviato per la notifica il 20. 9. 2017, ricorre, sulla base di quattro motivi, la società Helvetia.

Resiste con controricorso e successiva memoria V.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata e quindi disattesa l’eccezione sollevata dal resistente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., di sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire in capo alla società ricorrente, per avere essa nel frattempo venduto la propria unità immobiliare sita nel condominio. L’eccezione va respinta per la ragione che il trasferimento del diritto controverso (nella specie la proprietà del bene immobile sito in un condominio, comprensivo del diritto di proprietà sui beni comuni a tutela del quale il proprietario abbia agito in giudizio) costituisce, per espressa previsione della legge processuale, un fatto ininfluente sotto il profilo sia della legittimatio ad causam che dell’interesse ad agire, disponendo l’art. 111 c.p.c. che in tale evenienza ” il processo prosegue tra le parti originarie “, norma da cui discende non solo la non necessità, ma solo la facoltà, di chiamata in causa del terzo acquirente, ma altresì l’indifferenza di tale evento sopravvenuto sotto il profilo della sussistenza delle condizioni dell’azione (Cass. n. 22503 del 2014; Cass. n. 3004 del 2004).

Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, assumendo che nell’interpretare le disposizioni regolamentari che disciplinano l’uso e la destinazione del cortile la Corte territoriale ha fatto malgoverno dei criteri legali di interpretazione dei contratti, in particolare del criterio fondato sull’elemento letterale. L’errore, o meglio gli errori, consistono nel non avere considerato l’incipit dell’art. VII che pone il divieto di ” occupare anche temporaneamente i locali d’uso e di proprietà comune “; nell’avere ritenuto che l’art. VII, che vieta di ” depositare materiali sui balconi, sulle finestre e sul cortile ” non fosse riferibile alle autovetture; nell’avere di fatto disapplicato l’art. X, che prescrive che ” il cortile dovrà essere sgombro “, privandolo di concreto significato laddove ha ritenuto che la parte restante della suddetta disposizione consenta comunque l’occupazione del cortile da parte degli autoveicoli, senza considerare che tali limitazioni sono specifiche e riferite ai soli proprietari dei magazzini ed uffici del pianterreno e dei sotterranei ” e consentono agli stessi il solo transito attraverso il cortile e non anche il parcheggio; nell’avere affermato che la concessione ai suddetti proprietari della facoltà di transitare nel cortile debba essere intesa non solo come possibilità di passare ma anche come di sostare; nell’avere depotenziato il divieto regolamentare per effetto della clausola che prevede che ” i proprietari (dei garages) potranno servirsi del cortile esclusivamente per la pulizia della loro automobile “, che invece integra una ipotesi affatto particolare; nell’avere ritenuto che le clausole suddette attengono alla disciplina del mero uso della cosa comune in forza della considerazione, di per sè irrilevante, che gli usi in su cui dispone la norma sono ” sempre riferiti ai proprietari ” e ” non alle unità immobiliari come pertinenze di esse “, traendo da ciò la conclusione che esse hanno la ” finalità di regolazione dell’utilizzo del bene incontestabilmente comune (il cortile) e non della realità dello stesso”.

Il mezzo censura infine che la Corte di appello abbia fatto ricorso, al fine di giustificare la propria conclusione interpretativa, al criterio ermeneutico fondato sul comportamento complessivo anche successivo dei contraenti, avendo valorizzato a tal fine la delibera del 1982 e la circostanza che essa sia stata attuata senza contestazioni per quasi trent’anni, criterio che, si afferma, non poteva nel concreto essere impiegato in quanto il regolamento di condominio era stato predisposto unilateralmente dall’originario unico proprietario e quindi accettato successivamente dagli acquirenti nei propri atti di acquisto.

Il mezzo è fondato nei termini di seguito indicati.

Va precisato che parte ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riprodotto nel ricorso le disposizioni del regolamento di condominio oggetto di discussione, che così dispongono: E’ vietato occupare anche temporaneamente i locali di uso e di proprietà comune. E’ pure vietato…. depositare materiali su balconi, sulle finestre, nel cortile… ” (art. VII); ” Il cortile dovrà essere tenuto sgombro, potranno tuttavia i proprietari dei magazzini ed uffici del pianterreno e dei sotterranei transitare con carri ed autocarri per quanto strettamente attenga al loro commercio. Qualora parte del pianterreno venga adibito a garage i loro proprietari potranno servirsi del cortile esclusivamente per la pulizia della loro automobile, avendo cura che ciò avvenga senza scapito della pulizia del cortile. Gli autoveicoli dovranno sempre transitare sotto l’androne e nel cortile a scappamento chiuso ” (art. X).

In ordine a quest’ultima disposizione la Corte territoriale, dopo aver premesso che ” L’incipit di tale disposizione, sembrerebbe configurare un vincolo alla proprietà comune del cortile di natura reale – assimilabile ad un onere reale o una servitù reciproca – ” prosegue osservando che ” il testo in esame, tuttavia, non è limitato a tale contenuto e deve essere letto insieme al passo successivo, dal quale si evince che ” potranno tuttavia i proprietari dei magazzini ed uffici del pianterreno e dei sotterranei transitare con carri e autocarri per quanto si attenga strettamente al loro commercio “. Se, infatti, il cortile può essere utilizzato per il ” transito ” dei mezzi a fini commerciali (ed in tale accezione deve essere incluso sia il transito dinamico (accesso e recesso) che quello statico la sosta) esso in realtà non deve affatto essere tenuto sgombro “. La Corte osserva inoltre che ” Gli usi in merito ai quali dispone la norma sono sempre riferiti ai ” proprietari e non alle unità immobiliari, come pertinenze di esse; ne deriva, pertanto, la sottolineatura della finalità della di regolazione dell’utilizzo del bene incontestabilmente comune (il cortile) e non la realità dello stesso “., così sottolineando la finalità di regolazione dell’utilizzo del bene incontestabilmente comune (cortile) e non la realità di esso “, giungendo così alla conclusione che quella in esame sia una norma di mera natura regolamentare, poichè essa regola l’uso del cortile comune da parte dei condomini, ad esclusione di qualsiasi realità della disposizione, in relazione al transito dinamico e statico ” e che, per tale ragione, essa è suscettibile di modifica da parte di una deliberazione assembleare, nella specie indicata nella delibera del 29. 4. 1982, in forza dell’orientamento giurisprudenziale, in precedenza richiamato dalla stessa sentenza, secondo cui le clausole del regolamento di condominio che disciplinano l’uso dei beni comuni, laddove hanno natura regolamentare, possono essere modificate dall’assemblea a maggioranza, diversamente da quelle che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, la cui natura negoziale richiede per la loro modificazione la volontà di tutti i condomini.

Ora, ritiene la Corte che l’interpretazione della clausola X del regolamento di condominio fatta propria dal giudice di appello non si sottragga alle censure che sono state mosse dalla società ricorrente e presenti profili di evidente contrasto tra la lettura della prima parte della disposizione e le conclusioni poi accolte. Da un lato, infatti, si afferma che la parte della clausola che dispone che ” Il cortile dovrà essere tenuto sgombro configurerebbe un vincolo alla proprietà comune di natura reale, assimilabile ad un onere reale o servitù reciproca, cioè, deve intendersi, per restare alla questione controversa, impedirebbe ai condomini di parcheggiare le autovetture; dall’altra si sostiene che tale significato va inteso nel senso che il cortile non sarà sempre tenuto sgombro, dal momento che è concessa la facoltà ai proprietari dei magazzini e degli uffici al pianterreno di transitarvi con carri e autocarri, trascurando però di considerare che tale ultima previsione, in forza del suo senso letterale, riguarda il transito e non il parcheggio nel cortile ed si rivolge altresì non a tutti i condomini ma solo a taluni di essi, cioè ai proprietari dei locali commerciali ed uffici del pianterreno e dei piani sotterranei, sicchè essa assume il valore di una semplice eccezione alla regola di divieto in favore di determinati condomini, giustificata dalla necessità di consentire loro il transito attraverso il cortile al fine di accedere ai loro garages e locali commerciali. La conclusione accolta manca quindi di un collegamento logico testuale circa la rilevanza tra la previsione che concede a determinati condomini la facoltà di transitare nel cortile ed il significato attribuito alla prima parte della disposizione.

Contrario al dato letterale è altresì il significato attribuito alla facoltà di ” transitare ” nel cortile, concessa ai suddetti proprietari, cioè l’affermazione che la nozione di transito includa sia il transito dinamico (acceso e recesso) che quello statico (la sosta)”, atteso che il verbo ” transitare ” ha il significato di ” passare da un luogo ad un altro “, con l’effetto che la facoltà di transitare attraverso uno spazio comune non attribuisce di per sè anche la facoltà di parcheggiarvi. Il criterio ermeneutico secondo cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.), regola che è riconducibile al criterio di interpretazione letterale (Cass. n. 14882 del 2018), avrebbe dovuto anzi portare a ricostruire il significato di tale previsione alla luce del divieto posto dalla prima parte della disposizione regolamentare, cioè, come detto, come mera eccezione allo stesso.

Di difficile comprensione è infine il rilievo svolto dal giudice a quo secondo cui il fatto che la norma regoli gli usi del cortile facendo riferimento sempre ai proprietari e non alle unità immobiliari, significa che essa è volta a regolamentare solo l’utilizzo del bene e non la realità dello stesso. Al riguardo pare sufficiente osservare che le disposizioni che prevedono oneri reali o servitù sono sempre riferite ai titolari dei diritti reali e che il carattere di realità del comportamento dovuto si misura esclusivamente dal suo stretto collegamento con la titolarità del diritto reale su un determinato bene.

Il motivo va pertanto accolto.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sulla contestazione già svolta nel ricorso introduttivo e quindi ribadita nell’atto di appello secondo cui il parcheggio dell’autovettura del convenuto le impediva l’accesso al proprio garage, in tal modo pregiudicando il suo diritto al godimento della sua proprietà esclusiva, con conseguente nullità, anche sotto questo profilo, della delibera del 1982, per la sua incidenza negativa su diritti individuali.

Il motivo si dichiara assorbito, essendo l’esame della questione introdotta, che investe il tema, sotto un profilo ulteriore, della validità della delibera del 1982, dipendente dalla risoluzione delle questioni investite dal motivo accolto, che attiene alla conformità della stessa delibera al regolamento condominiale e che assume nell’ordine logico delle questioni carattere prioritario.

Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla sentenza n. 421 del 2016 e violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. e dell’art. 395 c.p.c. in relazione alla sentenza n. 1419 del 2017.

Con la prima censura parte ricorrente si duole che la sentenza n. 421 del 2016 non si sia pronunciata sull’eccezione svolta dalla società Helvetia fin dall’udienza di trattazione circa la regolarità formale e sostanziale del contratto di locazione opposto dal convenuto, arricchita nella prima memoria istruttoria dal rilievo che il suddetto contratto sarebbe inoltre inefficace in quanto stipulato dall’amministratore di condominio senza potere, stante la nullità della delibera autorizzativa del 1982, e perchè relativo ad un posto auto in eccesso rispetto ai sei previsti dalla suddetta delibera, eccezione poi ribadita con l’atto di appello. Il motivo va dichiarato inammissibile nella sua prima parte ed infondato per il resto.

La parte non illustra infatti in maniera chiara in cosa si sarebbe sostanziata la sua contestazione circa la regolarità formale e sostanziale del contratto di locazione prodotto dal V., limitandosi a dire che ne aveva messo in discussione ” la stessa esistenza (sotto l’aspetto formale) e la rispondenza al vero del suo contenuto (sotto l’aspetto sostanziale) “. La contestazione appare generica e, come tale, inidonea a richiedere una decisione sul punto.

La seconda censura è invece infondata, avendo la Corte risposto alla contestazione circa l’invalidità del contratto per avere locato un posto auto in esubero rispetto ai numero massimo fissato dalla delibera del 1982, sostenendo che ” L’affermazione del V. di fruire del diritto di parcheggio all’interno di uno dei 6 posti assegnati del cortile condominiale… non è stata contestata dalla Helvetia, la quale ha omesso di prendere specifica posizione sul punto “. Tanto basta a ritenere non ravvisabile il vizio denunziato di omessa pronuncia, il quale non sussiste nel caso in cui il giudice si pronunci, rigettandola, sull’eccezione o difesa avanzata dalla parte, sia pure per la ragione che il fatto su cui essa si fonda deve essere escluso perchè il fatto contrario è da ritenersi provato in applicazione del principio di non contestazione (art. 115 c.p.c., comma 1).

Con riferimento alla sentenza n. 1419 del 2017, va invece rilevato che le ragioni della denunziata violazione delle norme indicate in rubrica non risultano compiutamente esposte in sede di illustrazione di questo motivo ma in quello successivo, al quale pertanto si rimanda.

Il quarto motivo di ricorso, denunziando violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. e dell’art. 395 c.p.c., censura la sentenza n. 1419 del 2017 che ha rigettato la propria istanza di revocazione avverso la sentenza n. 421 del 2016 nella parte in cui essa aveva respinto il motivo di appello relativo al mancato esame da parte del giudice di primo grado delle contestazioni e difese svolte dalla parte attrice nei confronti del contratto di locazione del posto auto opposto dal convenuto sulla base del rilievo che ” L’affermazione del V. di fruire del diritto di parcheggio all’interno di uno dei 6 posti assegnati del cortile condominiale… non è stata contestata dalla Helvetia, la quale ha omesso di prendere specifica posizione sul punto “. Premesso di avere proposto domanda di revocazione perchè la considerazione sopra esposta era affetta da un evidente errore di percezione degli atti di causa, da cui risultava invece che tale contestazione era stata sollevata, parte ricorrente lamenta che il giudice della revocazione abbia dichiarato inammissibile la sua istanza ritenendo non sussistente l’errore revocatorio denunziato, atteso che esso investiva non già l’omessa considerazione di un fatto bensì un giudizio, vale a dire l’apprezzamento della condotta processuale tenuta dalla Helvezia con riferimento alla deduzione della controparte dell’esistenza in suo favore di un contratto di locazione.

Il motivo è inammissibile.

Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’istanza di revocazione è stata dichiarata inammissibile per due ragioni, tra loro autonome, avendo il giudice ritenuto che il vizio denunziato non avesse natura di errore revocatorio in quanto investiva un giudizio e non la percezione di un fatto e perchè esso non era risultato decisivo ai fini della conclusione accolta dalla sentenza impugnata. Questa ultima ratio decidendi emerge in particolare dal passo della motivazione in cui la Corte territoriale ha affermato: ” Inoltre, nella fattispecie, per altra ragione, non è ravvisabile un errore revocatorio “, atteso che ” La decisione non si fonda su ciò che la parte ritiene errore revocatorio (contratto di locazione di V.M. inutilizzabile secondo la prospettazione Helvetia), ma sulla pratica risalente del condominio e nata dalla delibera condominiale del 1982 che aveva previsto il diritto al parcheggio di uno dei sei posti auto del cortile ed aveva provveduto senza contestazioni sul punto “, concludendo quindi nel senso che il ritenuto errore revocatorio non costituisce l’unico presupposto per sorreggere la sentenza della Corte “.

Ora, poichè tale considerazione costituisce, in forza del percorso motivazionale della decisione, ragione autonoma della pronuncia che ha dichiarato inammissibile la revocazione ed essa non risulta specificatamente censurata dalla ricorrente, ne discende l’inammissibilità del motivo per difetto di interesse (Cass. n. 9752 del 2017; Cass. n. 2108 del 2012). L’eventuale accoglimento della censura non travolgerebbe infatti la seconda ratio decidendi, la quale, non essendo stata oggetto di critica, è divenuta definitiva e che, attesa la sua autonomia, appare di per sè sufficiente a sorreggere la statuizione impugnata. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il secondo e respinti gli altri motivi. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo e respinge il terzo e quarto; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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