Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8237 del 26/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8237 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 24296-2014 proposto da:
MONT.AR .

METAL DI LEZOCHE G & C.

S.A.S.

P.I.

03651480729, in persona del legale rappresentante pro
tempore domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO PAGANO,
2016

giusta delega in atti;
– ricorrente –

102
contro

GADALETA MAURO C.F. GDLMRA72C08F284I, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

Data pubblicazione: 26/04/2016

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
n’avvocato PANTALEO D’AMATO, giusta delega in
tti;
– controricorrente nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 278/2014 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 10/04/2014 R.G.N. 4274/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/01/2316 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. P.I. 009576770151

Svolgimento del processo
Con sentenza dei 27/1 – 10/4/2014 la Corte d’appello di Bari, in parziale accoglimento
dell’impugnazione principale proposta da Gadaleta Mauro avverso la sentenza di primo
grado del giudice del lavoro del Tribunale di Trani, ha riformato tale decisione ed ha
condannato la società Mont. Ar. Metal s.a.s di Lezoche Gaetano & C. s.a.s, della quale
l’appellante era dipendente, al pagamento in favore di quest’ultimo della somma di C

dall’incidente sul lavoro occorsogli il 15/10/1996, mentre ha

morale derivatogli
respinto l’appello

incidentale col quale la predetta società aveva chiesto di essere manlevata, in caso di
condanna, dalla società assicuratrice Milano Assicurazioni s.p.a.
Ha osservato la Corte che non poteva escludersi una responsabilità della datrice di
lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. nella verificazione dell’incidente occorso al Gadaleta,
il quale era caduto da un’impalcatura autoreggente di due piani in occasione di una
scossa tellurica, in quanto dagli atti di causa si potevano ricavare elementi tali da far
ritenere sussistente una latenza del controllo datoriale sul comportamento del
lavoratore ed un difetto di vigilanza nell’aver consentito lo svolgimento di attività
lavorativa senza aver predisposto un opportuno riparo al rischio di caduta.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso società Mont. Ar. Metal di Lezoche
Gaetano & C. s.a.s con un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378
c.p.c..
Resiste con controricorso Gadaleta Mauro.
Rimane solo intimata la società Milano Assicurazioni s.p.a.
Motivi della decisione
Con un solo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e
per erronea interpretazione ed applicazione di legge in riferimento all’art. 2087 cod.
civ., nonché per vizio di motivazione, la ricorrente deduce che la Corte d’appello non
ha considerato che il lavoratore non aveva fornito la prova della pericolosità del posto
di lavoro e del nesso causale tra la stessa e l’evento dannoso patito, limitandosi ad
evidenziare che la datrice di lavoro non aveva dimostrato di aver posto in essere tutto
quanto era possibile per evitare l’evento.
Il ricorso è infondato.
Invero, occorre partire dalla considerazione che “in tema di responsabilità del datore di
lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cod. civ., la parte che subisce
l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi
dell’art. 1218 cod. civ. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che
l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque íl
pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile – ma è

1
Atk,

79.117,00 a titolo di risarcimento del danno biologico e

comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed
anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito
debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali
che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di
correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere
adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

Va, altresì, aggiunto che “ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di
lavoro, ex art. 2087 cod. civ. – la quale non configura un’ipotesi di responsabilità
oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa
svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la
nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando
invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette
circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad
impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli
strumenti di cautela forniti al dipendente non potendo il datore medesimo essere
totalmente esonerato da responsabilità in forza dell’eventuale concorso di colpa del
lavoratore, se non quando la condotta di quest’ultimo, in quanto del tutto
imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute,
rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento.” (Cass. Sez. Lav. n. 3786 del
17/2/2009)
Tanto premesso, si osserva che nel caso di specie la Corte territoriale ha posto bene in
evidenza che il Gadaleta aveva richiamato nel ricorso di primo grado la violazione, da
parte della datrice di lavoro, della norma di cui all’art. 2087 c.c. in combinato disposto
con l’art. 10 della legge n. 164/1956 in ordine alla necessità dell’utilizzazione di
cintura di sicurezza debitamente agganciata, qualora non sia possibile disporre di
impalcati di protezione o parapetti, nonché la violazione della norma di cui all’art. 17
dello stesso d.p.r. n. 164/56, in base alla quale il montaggio e lo smontaggio delle
opere provvisionali devono essere eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto
ai lavori. Inoltre, la Corte di merito ha rilevato che dall’istruttoria era emerso che il
danno alla salute era derivato dalla caduta del Gadaleta dalla struttura autoreggente
approntata dalla datrice di lavoro e che il richiamo del lavoratore alla responsabilità
datoriale per la violazione delle suddette norme era significativo della mancanza di
operatività del sistema frenante della cintura di sicurezza, la qual cosa presupponeva
una latenza del controllo datoriale sul comportamento del medesimo dipendente.
Quindi, tali essendo i presupposti di fatto emersi dall’istruttoria e gli addebiti di
omessa adozione e di omesso controllo delle misure di sicurezza imputati alla datrice

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(Cass. Sez. Lav. n. 8855 dell’11/4/2013)

di lavoro, spettava a quest’ultima fornire la relativa prova liberatoria. Invece, una tale
prova non è stata fornita, avendo la Corte d’appello accertato, al contrario, con
giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, un difetto di vigilanza e di controllo
datoriale in occasione dell’infortunio. Inoltre, la Corte di merito ha osservato, che
l’imprevedibilità della scossa tellurica non aveva reciso ogni nesso di adeguata
causalità tra l’evento dannoso e l’omessa predisposizione della tutela antinfortunistica,

cedimento a causa del sisma e che gli altri operai interessati alla sua costruzione
erano riusciti a guadagnare utilmente la fuga. Quindi, secondo i giudici d’appello,
anche nell’ipotesi in cui il lavoratore avesse omesso di agganciare la cintura di
sicurezza o se ne fosse incautamente liberato, residuava un difetto di vigilanza della
datrice di lavoro nell’aver consentito lo svolgimento dell’attività lavorativa del
dipendente senza aver preventivamente rimediato la difficoltà o disposto la provvisoria
sospensione del lavoro in attesa di porre riparo al rischio di caduta in base al principio
generale di cui al richiamato art. 2087 cod. civ.
Un profilo di inammissibilità della domanda discende, invece, dal modo in cui è stato
prospettato il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Infatti, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è
precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti
e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un
esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc.
civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando”
tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”,
fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio
di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta
un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del
controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile
2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al

tanto che in fase di realizzazione la struttura non aveva fatto registrare alcun

minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità,
per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della
motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto
con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del
difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e

inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Ma è evidente che nella specie la valutazione della sussistenza della responsabilità
at

datoriale in ordine alla verificazione dell’infortunio sul lavoro occorso d Gadaleta non è
affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in
modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla
riconducibilità dell’evento alla mancata adozione da parte della datrice di lavoro delle
opportune misure di sicurezza atte a prevenire l’incidente.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese nei confronti della società
Milano Assicurazioni s.p.a. che è rimasta solo intimata.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio nella misura di C 3000,00 per compensi professionali e di C 100,00
per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla spese nei
confronti della società assicuratrice.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 13 gennaio 2016

,

grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni

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