Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8236 del 28/04/2020

Cassazione civile sez. un., 28/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 28/04/2020), n.8236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15374/2017 proposto da:

COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso

lo studio dell’avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARCO MAPPILLERO;

– ricorrente –

contro

D.C. COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PADOVA 82,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO AGUGLIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARINELLI;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione, in relazione al giudizio pendente

n. 4935/2016 del TRIBUNALE di UDINE.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIANFRANCO SERVELLO, il quale chiede che la Corte di Cassazione, a

Sezioni Unite, accolga il ricorso, dichiarando il difetto di

giurisdizione del giudice ordinario.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione notificata il 18.10.2016 la società D.C. Costruzioni s.r.l. conveniva il Comune di Lignano SabiDiadoro davanti al Tribunale di Udine esponendo che:

– nel giugno 2012 essa società aveva presentato un progetto preliminare di massima per la realizzazione di un grande complesso alberghiero su un terreno di sua proprietà in (OMISSIS) (mappali (OMISSIS) del foglio di mappa n. (OMISSIS));

– sul detto progetto preliminare veniva sviluppata una intensa interlocuzione tra la società proponente, assistita dai professionisti all’uopo incaricati, e gli uffici comunali;

– in particolare, nell’ottobre del 2012 essa società presentava, a richiesta dello stesso Comune, un PAC (piano attuativo comunale) di iniziativa privata, poi successivamente modificato ed integrato secondo le indicazioni degli uffici comunali;

– nel giugno 2014 il Comune informava la società che la Commissione urbanistica comunale aveva espresso parere favorevole, con segnalazione di alcuni chiarimenti e richieste di miglioramenti e con l’invito a presentare richiesta di permesso di costruire in deroga;

– nell’ottobre 2014, all’esito di ulteriori contatti, la società, d’intesa con l’Amministrazione municipale, chiedeva l’archiviazione del PAC e contestualmente presentava richiesta di rilascio del permesso di costruire e domanda di deroga alle norme urbanistiche comunali;

il 27.11.2014 il Comune chiedeva il deposito di documentazione integrativa, conseguentemente interrompendo la decorrenza dei termini del procedimento di cui alla L.R. n. 19 del 2009, art. 24;

nel corso del 2015 si succedevano ulteriori contatti, integrazioni documentali e variazioni progettuali;

nell’ottobre 2015 il Comune chiedeva un parere alla regione Friuli Venezia Giulia sulla compatibilità del progetto in esame con il PAIR (Progetto di Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico dei bacini idrografici dei tributari della Laguna di Marano – Grado, ivi compresa la laguna medesima, del Torrente Stizza e del Levante) deliberato dalla giunta regionale 28.11.2014, alla cui stregua non era consentita la realizzazione di locali interrati o semi interrati nella zona (B2) oggetto del progettato intervento;

dopo ulteriori contatti il Comune, con Delib. Consiliare 26 aprile 2016, adottava la variante urbanistica n. 48, che modificava significativamente, in senso restrittivo, il regime edilizio ed urbanistico dell’area in questione, trasformandola da zona “B2” a zona omogenea “BO/b – città giardino e caratterizzata da corridoi verdi”;

solo nel settembre 2016, dopo numerosi contatti e solleciti, l’Amministrazione comunale rappresentava, dapprima, con messaggio di posta elettronica del 16.9.2016 del dirigente dei servizi tecnici, la non applicabilità delle deroghe alla erigenda costruzione alberghiera (conseguentemente prospettando l’opportunità di presentare nuovamente un PAC e segnalando di aver richiesto un parere alla Regione sulla possibilità di derogare al PAIR) e poi, con messaggio di posta elettronica del 20.9.2016 dell’assessore all’urbanistica, l’opportunità di attendere il parere regionale.

2. Sulla scorta della suddetta narrativa di fatto la società D.C. Costruzioni lamentava come il Comune si fosse comportato in modo ondivago (vedi p. 55 della citazione introduttiva: “dopo aver chiesto all’attrice di presentare direttamente la domanda relativa al permesso di costruire in deroga, con conseguente rinuncia al PAC già depositato, dopo quattro anni è venuto ipotizzando la necessità di presentare il PAC”) e avesse leso le aspettative ingenerate “procrastinando all’infinito la dovuta decisione in ordine alla domanda presentata, chiedendo sempre ulteriore documentazione, e così di fatto non decidendo e/o rimanendo inerte, con aggravio di tempo e denaro per la società D.C. Costruzioni s.r.l.” (vedi p. 52 della citazione introduttiva); l’attrice quindi, denunciando altresì la violazione dei termini procedimentali fissati dalla L.R. Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2009, art. 24, comma 2, chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dei danni da liquidare a mezzo c.t.u. ovvero in via equitativa.

3. Il Comune di Lignano Sabbiadoro si costituiva in giudizio e resisteva alla domanda, preliminarmente sollevando eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

4. Dopo l’introduzione del giudizio la Regione Friuli Venezia Giulia rilasciava i pareri richiesti dal Comune, il quale ultimo, conseguentemente, trasmetteva alla società D.C. Costruzioni atto di preavviso di diniego del permesso di costruire in deroga.

5. In data 3.4.2017 il Tribunale in composizione monocratica assegnava alle parti i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, con rinvio al 3 luglio 2017.

6. Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, datata 26.4.2017, la società attrice, replicando all’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dal Comune evidenziava che: “l’esigenza di tutela – risarcitoria – trova il proprio fondamento nell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole ovvero dalle rassicurazioni fornite dal Comune di Lignano al momento dell’acquisto di fondi e successivamente nei pareri nel corso degli anni rilasciati in ordine alle possibilità edificatorie siccome specificate nella variante 40 all’epoca vigente”.

7. Con ricorso notificato l’8 giugno 2017 il Comune di Lignano Sabbiadoro ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c., chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo.

8. La D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato controricorso, chiedendo dichiararsi la giurisdizione dell’a.g.o..

9. La causa è stata discussa una prima volta nella Camera di consiglio del 3 luglio 2018, per la quale la D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato una memoria ed il Procuratore Generale ha trasmesso requisitoria scritta, concludendo per la declaratoria della giurisdizione del giudice amministrativo. In quella sede il Collegio ha chiesto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Suprema Corte una relazione di approfondimento sulle questioni di diritto sottese al ricorso e, dopo il deposito della stessa, la causa è stata nuovamente discussa nella Camera di consiglio del 5 novembre 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. L’Amministrazione comunale deduce che, ai sensi degli artt. 30 e 133 c.p.a., anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 2-bis, la controversia rientrerebbe nella giurisdizione del giudice amministrativo per essere riconducibile alla giurisdizione esclusiva del medesimo sotto due autonomi profili.

11. Sotto un primo profilo, si argomenta che, mancando un provvedimento positivo dell’Amministrazione comunale idoneo a giustificare un qualsiasi legittimo affidamento della società attrice, la doglianza di quest’ultima sarebbe in definitiva riconducibile alla mera violazione dei termini procedimentali. Donde la qualificazione della domanda come domanda di risarcimento del danno da ritardo, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che, appunto, attribuisce a tale giurisdizione esclusiva “le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo”.

11.1. Sotto un secondo profilo il Comune argomenta che la controversia rientrerebbe nella materia di edilizia ed urbanistica, attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 1, comma 1, lett. f), c.p.a.

11.2. Il Comune poi nega la riconducibilità della fattispecie ai principi enunciati da questa Sezione Unite nell’ordinanza 6594/2011, sottolineando come, nella specie, nessun titolo abilitativo fosse mai stato rilasciato alla società attrice e, quindi, nessun affidamento potesse essere sorto in capo alla medesima.

11.3. In particolare il Comune evidenzia che:

– il parere favorevole della Commissione urbanistica prot. n. 19715/2014 era subordinato al superamento di specifici profili di inadeguatezza del progetto;

– ai sensi della L.R. n. 19 del 2009, art. 35, la deroga agli strumenti urbanistici poteva essere autorizzata solo dal Consiglio comunale; – la comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale costituiva atto di natura meramente endoprocedimentale (il ricorrente richiama, al riguardo, Cons. Stato n. 3594/2005);

– la richiesta di un parere alla Regione, dopo la rielaborazione del progetto fornito dalla società per uniformare il medesimo al PAIR, era legittima e doverosa;

– la variante n. 48 non aveva eliminato l’edificabilità dell’area e, d’altra parte lo strumento che dettava il previgente assetto urbanistico – la variante n. 40 – non aveva generato alcun legittimo affidamento, non essendo giuridicamente protetto l’interesse del privato all’immutabilità della classificazione urbanistica dell’area di sua proprietà.

12. La D.C. Costruzioni s.r.l. contesta le argomentazioni dell’Amministrazione ricorrente e sostiene che la giurisdizione sulla presente controversia apparterrebbe al giudice ordinario perchè l’oggetto della domanda da lei proposta è costituito dal risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dai provvedimenti favorevoli e dalle rassicurazioni fornite dall’Amministrazione municipale. Ad avviso della controricorrente la presente fattispecie sarebbe riconducibile nell’ambito dei principi espressi nella ordinanza di queste Sezioni Unite n. 6594/2011.

13. Il Procuratore Generale ha concluso per l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo, negando che i principi espressi nella menzionata ordinanza n. 6594/2011 (e nelle coeve ordinanze nn. 6595/2011 e 6596/2011) siano applicabili nella fattispecie. Tali principi, argomenta il Procuratore Generale, postulano l’esistenza di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, sulla cui legittimità il medesimo privato abbia fatto affidamento e che successivamente sia stato caducato, in via di autotutela o in sede giurisdizionale; detto provvedimento ampliativo, nella specie, non sarebbe mai stato emesso, non avendo il Comune mai rilasciato alcun permesso di costruire alla società D.C. Costruzioni.

14. Il Collegio preliminarmente rileva che tutti gli argomenti spiegati dal Comune per escludere che la società ricorrente potesse vantare un legittimo affidamento nell’approvazione del suo progetto edilizio, sopra riportati nel paragrafo 11.3, sono irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di giurisdizione. Tali argomenti, infatti, tendono a dimostrare che in capo alla società D.C. Costruzioni non poteva essere sorto alcun affidamento sull’esito positivo del procedimento concessorio, cosicchè la situazione soggettiva di cui la società attrice lamenta la lesione sarebbe in radice insussistente. Si tratta di argomenti che attengono al merito della controversia, mentre, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione “è determinata dall’oggetto della domanda” e, va sottolineato, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto.

15. Infondato va poi giudicato l’assunto della difesa del Comune secondo cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo. Infatti la domanda della società D.C. Costruzioni, sebbene nella citazione introduttiva venga colorata anche con riferimento alla dedotta violazione della disciplina dei termini procedimentali, in effetti non si fonda sul fatto che il Comune avrebbe tardato nel provvedere (negativamente o positivamente) sulla istanza di permesso di costruire. Tale domanda – precisata dall’attrice nella sua prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 – risulta fondata, in sostanza, sul fatto che il Comune ha provveduto negativamente sulla suddetta istanza dopo avere tenuto per lungo tempo comportamenti che, nella prospettazione dell’attrice, avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento in un esito positivo del procedimento concessorio (si veda lo stralcio della prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, della società attrice che viene riportato dal Comune a pag. 18 del proprio ricorso per regolamento di giurisdizione: “il Comune di Lignano dopo aver a più riprese espresso parere favorevole al progetto, riconoscendone oltre tutto anche la valenza di opera pubblica…. è venuto successivamente, dopo cinque anni, facendo dietro front, modificando completamente il proprio orientamento”). La causa petendi della domanda della società D.C. Costruzioni non è, quindi, l’inosservanza di un termine procedimentale, bensì la violazione dell’affidamento ingenerato dall’amministrazione comunale in un determinato esito, favorevole alla società attrice, del procedimento.

16. Più articolato è il discorso da svolgere riguardo all’assunto del Comune secondo cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. f), che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio. E’ indubbio, infatti, che una controversia relativa all’esercizio del potere di rilasciare o non rilasciare un permesso di costruire rientri nella materia urbanistica ed edilizia ed è, quindi, attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche quando la situazione soggettiva dedotta in giudizio abbia consistenza di diritto soggettivo (come si verifica, ad esempio, quando l’oggetto della domanda abbia ad oggetto il risarcimento del danno causato da un atto illegittimo di esercizio di tale potere). La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla società D.C. Costruzioni, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione della società attrice, non è stato causato da “atti” o “provvedimenti” dell’amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità). Un danno, cioè, da comportamento e non da provvedimento.

17. Inquadrato il tema nei termini di cui al paragrafo che precede, il Collegio osserva che con le tre coeve ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 queste Sezioni Unite hanno ritenuto rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario:

– la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela (sent. n. 6594/2011);

– la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento riposto nell’attendibilità della attestazione rilasciata dalla pubblica amministrazione (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un’area (chiesta da un privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (sent. n. 6595/11);

– la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo (sent. n. 6596/11).

18. Alla base delle suddette pronunce vi era, in sostanza, la considerazione che i privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non mettevano in discussione l’illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis, ma lamentavano la lesione del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all’annullamento di tali atti, nella relativa legittimità.

19. La giurisprudenza successiva alle tre suddette ordinanze ha peraltro evidenziato la coesistenza, all’interno di queste Sezioni Unite, di linee di interpretative non perfettamente collimanti.

19.1. Da un lato, infatti, i principi espressi nelle tre ordinanze del 2011 risultano ripresi e confermati nelle pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l’affermazione che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perchè ha ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo; diritto generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio”, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato (su tale qualificazione si vedano, tra le altre, le sentenze nn. 12799/2017, 1654/2018 e 6885/2019).

19.2. D’altro lato, tuttavia, non sono mancate pronunce che, discostandosi da tale orientamento, hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva l’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del giudice amministrativo; si veda, in questo senso, SSUU n. 8057/2016 (ove si afferma che “l’azione amministrativa illegittima composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi – non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”) e SSUU n. 13454/2017 (ove si afferma che “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione d’interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la mancata stipula del contratto”). Da ultimo, in SSUU n. 13194/2018 si è ritenuto che i principi fissati nelle ordinanze del 2011 non siano applicabili qualora difetti il presupposto della sussistenza di un “provvedimento ampliativo” della sfera giuridica del privato.

19.3. Secondo le pronunce menzionate nel paragrafo che precede, in sostanza, quello che viene in discussione nelle vicende processuali in esame è l’agire provvedimentale nel suo complesso; la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l’esercizio del potere.

20. Il caso oggi all’esame del Collegio si caratterizza, al pari di quello oggetto di SSUU n. 13194/2018, per l’assenza di un provvedimento ampliativo della sfera del privato; la società D.C. Costruzioni, infatti, deduce di aver riposto il proprio affidamento non in un provvedimento concessorio (pacificamente mai emesso) ma nel comportamento dell’amministrazione municipale, la quale avrebbe protratto per anni l’esame della pratica edilizia, in vario modo inducendo (con la comunicazione di atti endoprocedimentali, con la formulazione di apprezzamenti positivi sul piano dell’opera, con la divulgazione sui giornali del progetto di intervento edilizio) a confidare ragionevolmente nel positivo esito della stessa”.

21. Ai fini del giudizio sul regolamento di giurisdizione si tratta quindi, in definitiva, di stabilire se la giurisdizione del giudice ordinario, affermata dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 in relazione a domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo (nelle quali, come icasticamente sottolineato nella citata ordinanza n. 17586/2015, “l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole di un atto apparentemente legittimo”) debba essere affermata anche, e con maggior forza, quando nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero un comportamento dell’amministrazione; o se, al contrario, nel caso in cui nessun provvedimento ampliativo sia mai venuto ad esistenza, l’affidamento riposto dal privato nella futura emanazione di un provvedimento a lui favorevole non costituisca altro che un mero riflesso, ininfluente sulla giurisdizione, di un’azione amministrativa – intesa come sequela di atti intrinsecamente connessi la cui legittimità/illegittimità costituisce, in definitiva, l’oggetto della controversia; con conseguente affermazione della giurisdizione del giudice aimministrativo tutte le volte che si versi in una materia di giurisdizione esclusiva del medesimo.

22. Per affrontare la questione delineata nel paragrafo che precede è preliminarmente necessario tornare sulle ragioni che stanno alla base dell’orientamento inaugurato dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011.

23. Dette ordinanze, come è noto, hanno marcato una discontinuità nella giurisprudenza di legittimità, superando il precedente orientamento – ben rappresentato dalla sentenza n. 8511/2009 – che riteneva sufficiente, al fine del radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, in tal modo, risolveva l’operazione di riparto della giurisdizione nella mera definizione dell’area coperta dalle materie delineate dal legislatore.

24. Le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 hanno invece affermato che:

– la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela (cautelare, cognitoria ed esecutiva) contro l’agire pubblicistico della pubblica amministrazione;

– l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno conseguente al modo in cui essa ha esercitato il potere tende a rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo non solo la fase del controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche quella del risarcimento del danno; tale attribuzione, tuttavia, non individua una nuova materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo (quest’ultima affermazione risale, peraltro, a C. Cost. n. 204/2005 p. 3.4.1);

– l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisce, quindi, uno strumento ulteriore, complementare rispetto alla tradizionale tutela demolitoria, per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione;

– il presupposto perchè si possa predicare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, tuttavia, è che il danno di cui si chiede il risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione sia causalmente collegato alla illegittimità del provvedimento amministrativo; in altri termini, che la causa petendi dell’azione di danno sia la illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione;

– esula, pertanto, dalla giurisdizione amministrativa la domanda con cui il destinatario di un provvedimento illegittimo ampliativo della sua sfera giuridica chieda il risarcimento del danno subito a causa della emanazione e del successivo annullamento (ad opera del giudice o della stessa pubblica amministrazione, in via di autotutela) di tale provvedimento; la causa petendi di detta domanda, infatti, non è la illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì la lesione dell’affidamento dell’attore nella legittimità del medesimo.

25. Alle suddette affermazioni è stato obiettato in dottrina che l’interesse legittimo è una posizione tipicamente relazionale, che, cioè, esprime il rapporto tra il cittadino e l’amministrazione nell’esercizio di un potere, cosicchè l’interesse legittimo del destinatario dell’azione amministrativa dovrebbe ritenersi leso non solo quando l’amministrazione gli neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche quando tale provvedimento gli venga illegittimamente rilasciato; salvo che, in questo secondo caso, la lesione dell’interesse legittimo non sarebbe produttiva di danno.

26. L’obiezione illustrata nel paragrafo che precede non può ritenersi dirimente. Il rilievo, pur di per sè certamente condivisibile, che l’interesse legittimo consiste nella pretesa ad un provvedimento favorevole che derivi dall’attività legittima dell’amministrazione non significa, tuttavia, che il danno lamentato dal privato che abbia ottenuto un determinato bene della vita mediante un provvedimento amministrativo illegittimo, successivamente annullato, sia stato causato dall’atto favorevole illegittimo; quest’ultimo, in quanto favorevole, non ha prodotto alcun danno al suo destinatario, ancorchè illegittimo. La fattispecie causativa del danno non consiste, pertanto, nella lesione dell’interesse legittimo del destinatario del provvedimento, bensì nella lesione dell’affidamento che costui ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita. Ciò perchè, come questa Corte si è fatta carico di chiarire con la già menzionata ordinanza n. 17586/2015, la scaturigine del danno costituente l’oggetto della pretesa risarcitoria del privato non consiste nella mera illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì nella lesione dell’affidamento del privato sulla legittimità di tale atto; si tratta, cioè, di una fattispecie complessa, che richiede il concorso, con tale illegittimità, anche di ulteriori circostanze, la cui attitudine a fondare la fiducia incolpevole deve essere valutata caso per caso (vedi pag. 26, penultimo capoverso, di detta ordinanza: “L’adozione del provvedimento non viene in rilievo, dunque, nel suo mero risultato sul piano dell’azione amministrativa e, quindi, dell’esercizio in concreto del potere, bensì come elemento che deve avere avuto efficacia causativa del danno-evento rappresentato dalla determinazione dell’affidamento incolpevole e tale efficacia causativa, lungi dall’essere automaticamente ricollegabile di per sè al modo in cui il potere è stato esercitato e, dunque, al suo risultato, il provvedimento illegittimo, postula l’allegazione di ulteriori elementi in concorso con i quali l’adozione del provvedimento riveli quell’efficacia causale”).

26.1. Non appare dunque persuasivo l’argomento, sostenuto da una parte della dottrina, che – poichè il provvedimento favorevole giustamente annullato è comunque espressione del potere pubblico – la lesione che esso arreca dovrebbe essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del giudice amministrativo; tale argomento, infatti, trascura la considerazione, già svolta nel paragrafo precedente, che la lesione di cui si discute non è causata dal provvedimento favorevole (illegittimo – e, perciò, giustamente annullato – ma non dannoso per il suo destinatario), bensì dalla fattispecie complessa costituita dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento del beneficiario nella sua legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell’atto stesso. La lesione, cioè, discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; come perspicuamente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 5 del 2018 (p. 34), “non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)”.

27. Il Collegio ritiene altresì di confermare il rilievo, anch’esso svolto nella menzionata ordinanza n. 17586/2015 – e, in precedenza, nell’ordinanza n. 1162/2015 – che i principi fissati nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs., n. 80 del 1998, non hanno perso attualità a causa dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010. Non incidono sulla tenuta di detti principi, infatti, nè dell’art. 7 c.p.a., comma 1, là dove devolve “alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”; nè dell’art. 30 c.p.a., comma 2, là dove stabilisce che al giudice amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, “può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi”.

27.1. Quanto al disposto dell’art. 7, comma 1, c.p.a., va considerato che, anche secondo tale disposizione, la giurisdizione amministrativa – pure quella su diritti, ove si versi in materia di giurisdizione esclusiva – postula che sia in questione “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo” e che, anche quando la controversia riguardi meri comportamenti, deve pur sempre trattarsi, secondo una formulazione normativa ricalcata sul dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 191/2006, di comportamenti “riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere”. Nel caso in cui – secondo la domanda dell’attore (al cui oggetto, come già evidenziato nel p. 14, l’art. 386 c.p.c., ancora la decisione sulla giurisdizione) – il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l’affidamento del privato, perchè non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento dell’amministrazione e l’esercizio del potere. Il comportamento dell’amministrazione rilevante ai fini dell’affidamento del privato, infatti, si pone – e va valutato – su un piano diverso rispetto da quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo. Detto comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o, addirittura, essere legittimo, così da risultare “un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativi dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico” (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata, p. 33).

27.2. Quanto al disposto dell’art. 30, comma 2, c.p.a., va sottolineato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce per concentrare la tutela davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in particolari materie, indicate dalla legge, caratterizzate per lo stretto intreccio che si determina, a fronte dei provvedimenti autoritativi della pubblica amministrazione, tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Se, dunque, come ha sottolineato la Corte costituzionale, il sistema della giustizia amministrativa si è complessivamente evoluto nel senso che esso “da giurisdizione sull’atto, sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul rapporto amministrativo” (Corte Cost. n. 179/2016, p. 3.1), va tuttavia ribadito che, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti nell’esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento. Ciò è stato chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, p. 3.4.2, là dove, con riferimento alla materia dei pubblici servizi, si giudica costituzionalmente illegittimo il riferimento a “tutte le controversie”, sul rilievo che la “materia” così individuata “prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicchè, inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi”; per poi concludere che tale materia “può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: della L. n. 241 del 1990, art. 11)”. In continuità con tale affermazione la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 191/2006, ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, definendo tali comportamenti come quelli che “costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi… e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione”. Perchè sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, in definitiva, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione. E’ necessario, cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo. Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, come già accennato nel paragrafo precedente, in un comportamento (nel cui ambito l’atto di esercizio del potere amministrativo – provvedimentale o adottato secondo moduli convenzionali – rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato Deve quindi concludersi, riprendendo ancora una volta l’insegnamento della Corte costituzionale, che per radicare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice amministrativo “è richiesto che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti (le “particolare materie” devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, n.d.r.), come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purchè questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario” (così C.Cost. n. 35/2010 p. 2.2).

28. Prima di concludere l’esame dei principi espressi nelle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 va svolta ancora una precisazione sulla esatta identificazione della situazione soggettiva, l’affidamento, la cui lesione ha dato origine alle controversie che dette ordinanze hanno attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario.

28.1 Come sottolineato da avvertita dottrina, la nozione di affidamento che rileva nella prospettiva delle suddette pronunce non è quella, generalmente definita come “affidamento legittimo”, la cui forma tipizzata di tutela si rinviene nella disciplina dell’annullamento di ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo dettata dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies. Quest’ultimo modello di tutela prescinde da considerazioni legate all’elemento soggettivo della condotta dell’amministrazione e delle parti private (colpa, diligenza, buona fede etc.) e si risolve nella verifica della legittimità degli atti formali attraverso cui si esprime il potere discrezionale dell’amministrazione di ponderare l’interesse pubblico alla rimozione di un atto illegittimo con gli interessi privati del beneficiario di tale atto e degli eventuali controinteressati.

28.2. L’affidamento a cui si fa riferimento nelle tre ripetute ordinanze del 2011, e nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate, per contro, è una situazione autonoma, tutelata in sè, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buone fede. E’ propriamente in questa prospettiva che, come sopra sottolineato nel p. 26, il provvedimento favorevole, unito alle specifiche circostanze che abbiano dato fondamento alla fiducia nella legittimità e nella stabilità del medesimo, viene in considerazione quale elemento di una situazione che chiede protezione contro le conseguenze dannose della fiducia mal riposta.

28.3. La precisazione svolta nel paragrafo precedente impone, peraltro, una ulteriore puntualizzazione. Ritiene, infatti, il Collegio di non poter dare seguito all’affermazione, che si rinviene in molti dei precedenti citati nel paragrafo 19.1, che individua la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della pubblica amministrazione nel “diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio”. Il patrimonio di un soggetto, infatti, è l’insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo fanno capo. La conservazione dell’integrità del patrimonio, pertanto, altro non è che la conservazione di ciascuno dei diritti, e delle altre situazioni soggettive attive, che lo compongono. La nozione di “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio” risulta dunque, in definitiva, priva di consistenza autonoma, risolvendosi in una formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive attive che fanno capo ad un soggetto. Va invece ribadito che la situazione soggettiva lesa a cui si riferiscono i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi – a cui queste Sezioni Unite intendono dare conferma e seguito – si identifica nell’affidamento della parte privata nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione.

29. La tutela dell’affidamento rientra tra i principi dell’ordinamento comunitario (ai quali l’attività amministrativa deve uniformarsi ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 1), come la Corte di giustizia ha dichiarato fin dalla sentenza CGUE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer, dove si affermò che “il principio della tutela del legittimo affidamento…. fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza costituirebbe, ai sensi del predetto articolo, “una violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione”” (p.p. 18 e 19). Secondo la Corte di Lussemburgo tale principio costituisce un corollario del principio della certezza del diritto (CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet, p. 46). Osserva al riguardo il Collegio che, se è innegabile che tra il principio di affidamento e quello della certezza del diritto esistano ampi margini di sovrapposizione, la distinzione tra tali principi può essere tuttavia tracciata in relazione ai loro rispettivi contenuti, giacchè, come sottolineato da attenta dottrina, nella tutela dell’affidamento appare centrale la dimensione soggettiva, che è rappresentata dalla pretesa di un soggetto qualificata dalla previsione di una regola (generale o speciale) precedente, mentre rispetto alla certezza del diritto si impone una dimensione oggettiva, che attinge alla identità del diritto e coinvolge, in ultima analisi, un valore intrinseco alla giuridicità. Nella stessa giurisprudenza di Lussemburgo, peraltro, non mancano espliciti riferimenti alla dimensione “soggettiva” dell’affidamento; nella sentenza CGUE 14 marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle, per esempio – dopo le affermazioni, corredate dai richiami ai pertinenti precedenti, che “secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo affidamento rientra fra i principi fondamentali dell’Unione” (p. 23) e che “il diritto di avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un’istituzione dell’Unione ha fatto sorgere fondate speranze” (p. 24) si enuncia il principio secondo il quale “costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili” (p. 25). Negli stessi termini, da ultimo, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17, Deza a.s. (p. 70).

30. Nell’ordinamento nazionale, peraltro, il principio della tutela dell’affidamento nei confronti della condotta della pubblica amministrazione risulta specificato, rispetto alle regole civilistiche generali, da numerose disposizioni che disciplinano direttamente l’attività amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell’atte amministrativo: si pensi alla previsione dell’indennizzo nel caso della revoca di un provvedimento che rechi pregiudizio agli interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies); ai limiti cronologici del potere di annullamento di ufficio dei provvedimenti illegittimi e al dovere di tener conto, nell’esercizio di tale potere, degli interessi dei destinatari del provvedimento e dei contro interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies); all’obbligo delle pubbliche amministrazioni (e dei privati preposti all’esercizio di attività amministrative) di risarcire il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 bis, comma 1; disposizione, quest’ultima, che configura un danno da ritardo che prescinde dalla spettanza del bene della vita oggetto del provvedimento adottato in violazione del termine e che, come sottolineato dal Consiglio di Stato, “deriva dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: il ritardo nell’adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione” (ancora sent. n. 5/2018, p. 42).

30.1. Le disposizioni della L. n. 241 del 1990, richiamate nel paragrafo che precede disciplinano direttamente, come sopra sottolineato, l’esercizio del potere amministrativo, cosicchè la relativa violazione determina l’illegittimità dell’atto di esercizio di tale potere, aprendo la strada alla tutela demolitoria e risarcitoria davanti al giudice amministrativo. Esse, pertanto, non rilevano direttamente ai fini del discorso che qui si va conducendo, che, come evidenziato nel paragrafo 26.1, concerne le ipotesi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione si deve uniformare come qualunque altro soggetto.

30.2. Le suddette disposizioni della L. n. 241 del 1990, tuttavia, interessano in questa sede per il loro rilievo di carattere sistematico, in quanto – al pari di altre disposizioni emergenti da settori specifici del diritto pubblico, quale, ad esempio, l’art. 10 dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), introduttivo del “principio della collaborazione e della buona fede” nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria – rappresentano un indice del progressivo orientamento del nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario”, per usare una celebre formula dottrinaria di quasi mezzo secolo fa, coerente con i principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione fissati dall’art. 97 Cost.. Un’idea del diritto amministrativo che postula un modello di pubblica amministrazione permeato dai principi di correttezza e buona amministrazione, consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese (cfr. Cons. Stato n. 1457/2018, p. 9.2) ed orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.

30.3. Al modello di pubblica amministrazione così delineato non possono, evidentemente, non attagliarsi anche quei doveri generali di correttezza e buona fede di matrice civilistica la cui violazione fonda una responsabilità da lesione dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità (ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo.

31. E’ ancora necessario, da ultimo, mettere a fuoco con precisione la natura della responsabilità che sorge in capo alla pubblica amministrazione per effetto della lesione dell’affidamento del privato.

Ritengono le Sezioni Unite che detta responsabilità vada ricondotta al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato.

32. Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta, infatti, una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 Cost. e grava reciprocamente su tutti i membri della collettività. Tale dovere si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta, anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e protettiva. Deve quindi riconoscersi l’esistenza di una proporzionalità diretta tra l’ambito e il contenuto dei doveri di protezione e correttezza, da un lato, e il grado di intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo ingenerato, dall’altro; cosicchè, come persuasivamente affermato dal Consiglio di Stato nella più volte citata sentenza n. 5 del 2018, “da chi esercita, ad esempio, un’attività professionale “protetta” (ancor di più se essa costituisce anche un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità) e, a maggior ragione, da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo” (p. 24). Vi è quindi un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere; non si tratta della generica “responsabilità del passante”, ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con la prima.

33. Sulla scorta dei rilievi sviluppati nel paragrafo che precede le Sezioni Unite ritengono di dover valorizzare – generalizzandone gli esiti oltre il mero ambito dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione l’orientamento che connota la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato dallo status della pubblica amministrazione quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti. Il contatto, o, per meglio dire, il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come il fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.) dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta l’art. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c.(buona fede).

33.1. Del suddetto orientamento si trova traccia nella giurisprudenza di questa Suprema Corte fin dalla sentenza n. 157 del 2003, dove già si affermava (pagg. 31-33) che “con la L. 7 agosto 1990, n. 241, i principi di efficienza e di economicità dell’azione amministrativa e, insieme, di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, sono diventati criteri giuridici positivi. La nuova concezione dell’attività amministrativa non può non avere riflessi sull’impostazione del problema della responsabilità della pubblica amministrazione. Il modello della responsabilità aquiliana appare il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del diritto soggettivo si verifica in presenza di un’attività materiale (comportamento senza potere dell’amministrazione) che abbia leso l’interesse al bene della vita di un qualsiasi soggetto, al di fuori di un rapporto…. Il contatto del cittadino con l’amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e dfferenziato. Dall’inizio del procedimento l’interessato, non più destinatario passivo dell’azione amministrativa, diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza 500/99/SU identifica nelle “regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”. La formula della responsabilità da contatto nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione è stata poi ripresa nella sentenza n. 24382/2010 e, nello specifico settore dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, nella sentenza n. 24438 del 2011, dove si afferma che la responsabilità che deriva dalla lesione dell’affidamento reciproco dei contraenti nella correttezza dei comportamenti della controparte “non è sicuramente contrattuale… nè attiene ad una ipotesi tout court di ingiusta lesione di un diritto da terzi, ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo invece a fondamento il “contatto” tra le parti del futuro contratto” (pag. 16); con la precisazione che detta responsabilità, pur non qualificabile come contrattuale, a quest’ultima “si avvicina, perchè consegue al “contatto” tra le future parti per la stipula del contratto e alle scorrettezze del committente, con rilievo ai fini della disciplina della prova applicabile che è quella dell’art. 1218 c.c.” (pag. 18). Di sicuro rilievo, in questa prospettiva, è anche la sentenza n. 9636/2015, nella quale si valorizza quella giurisprudenza amministrativa che ha talora valutato la colpa della pubblica amministrazione con riferimento al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. (Cons. Stato, n. 1300/2007, Cons. Stato, n. 5500/2004). I principi di cui si tratta sono stati infine portati a compiuta maturazione, pur sempre nello specifico settore dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, nella sentenza n. 14188/2016, nella quale all’esito di un’approfondita disamina del tema della responsabilità di tipo contrattuale in assenza di contratto, si è condivisibilmente affermato (p. 12.1) che “l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi culpa in contrahendo solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti”.

33.2. Alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi anche da Cass. 25644/2017), che queste Sezioni Unite ritengono di confermare, deve quindi conclusivamente affermarsi che la responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione. Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale; con l’avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto.

34. Può quindi ora pervenirsi, in conclusione, a sciogliere il dilemma prospettato nel paragrafo 21. Deve pertanto affermarsi che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione. In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perchè, l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul piano del comportamento (quella “dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato” a cui si è fatto riferimento nell’ultima parte del paragrafo 27.1), nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.

35. In definitiva, poichè il presente giudizio ha ad oggetto una pretesa risarcitoria fondata sulla deduzione di una lesione dell’affidamento della società D.C. Costruzioni nella correttezza del comportamento della pubblica amministrazione, causata da una condotta del Comune di Lignano Sabbiadoro che l’attrice assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, priva di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio (mai attuato) del potere amministrativo, il proposto regolamento di giurisdizione va definito con l’affermazione della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

36. Le spese del presente regolamento saranno regolate in sede di merito.

P.Q.M.

La Corte regola la giurisdizione dichiarando la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Spese al merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020

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