Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8233 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. II, 22/03/2019, (ud. 03/10/2018, dep. 22/03/2019), n.8233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17860-2014 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 167,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO NARCISI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO MAGRINI;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI S. ANGELA

MERICI 16, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BRUSCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO MORO;

– controricorrente –

e contro

DE.RE.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 501/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2018 dal Consigliere ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza depositata il 22 maggio 2013, ha rigettato l’appello proposto da D.A. avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 1826 del 2011, e nei confronti di D.M. e di De.Re..

1.1. Il giudizio di primo grado era stato introdotto da D.M. nei confronti della germana A. per lo scioglimento della comunione avente ad oggetto l’immobile sito in Comune di (OMISSIS). Il bene – caduto in successione alla morte di De.Al. (nel (OMISSIS)) che aveva lasciato eredi per 1/2 ciascuno i figli Fa. e Re. e legataria per 1/3 la coniuge D.A. – era stato acquistato da D.M. in virtù di sentenza ex art. 2932 c.c. esecutiva del preliminare con il quale De.Re., già acquirente dei diritti del fratello Fa. sull’immobile, aveva promesso di vendere a D.M. i 4/6 della proprietà e i 2/6 della nuda proprietà dell’immobile.

1.2. La sig.ra D. aveva resistito alla domanda instando, in via riconvenzionale, per l’accertamento della simulazione assoluta del contratto preliminare.

1.3. Il Tribunale di Udine, con sentenza non definitiva n. 1612 del 2009, aveva rigettato la domanda riconvenzionale di D.A. e accolto la domanda attorea di scioglimento della comunione di godimento gravante sull’immobile, che era stata poi dichiarata con la successiva sentenza definitiva, che aveva assegnar’ & il bene per intero a D.M. dietro pagamento della somma di Euro 6.162,50 in favore di D.A..

2. La Corte d’appello ha rigettato il gravame proposto dalla sig.ra D. sui seguenti rilievi: a) non trovava applicazione l’istituto della commutazione, previsto dall’art. 547 c.c. previgente alla riforma attuata con la L. n. 151 del 1975; b) che l’istanza di assegnazione del bene poteva essere proposta anche in grado di appello; c) che il bene, non comodamente divisibile, correttamente era stato assegnato al titolare della quota maggioritaria.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.A. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso D.M.. Non ha svolto difese De.Re..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività che il controricorrente ha formulato sul presupposto dell’avvenuta notificazione della sentenza d’appello ad D.A. nella cancelleria della Corte d’appello di Trieste, non avendo i procuratori della D. eletto domicilio in Trieste.

L’eccezione è infondata in quanto dall’esame dell’atto di appello risulta che i procuratori di D.A. avevano indicato l’indirizzo pec per le comunicazioni e notificazioni, e pertanto la notifica della sentenza presso la cancelleria della Corte d’appello non era idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione (ex plurimis, Cass. 08/08/2018, n. 20698).

1.1. Il ricorso è dunque ammissibile in quanto notificato entro il termine lungo ex art. 327 c.p.c., ma è infondato.

2. Con il primo motivo è denunciata violazione art. 547 c.c. vigente all’epoca dell’apertura della successione di De.Al. ((OMISSIS)) – abrogato dalla L. n. 151 del 1975 – in forza del quale, “E’ in facoltà degli eredi di soddisfare le ragioni del coniuge mediante l’assicurazione di una rendita vitalizia o mediante l’assegno di frutti di beni immobili o capitali ereditari, da determinarsi di comune accordo o, in mancanza, dall’autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze del caso. Fino a che non sia soddisfatto delle sue ragioni, il coniuge conserva i propri diritti di usufrutto su tutti i beni ereditari”.

2.1. La doglianza è infondata.

La fattispecie in esame non rientra nell’ambito di applicazione della norma invocata, che è quello della comunione incidentale impropria o di godimento tra eredi e coniuge titolare del diritto di usufrutto uxorio pro quota, nel quale il coniuge superstite può chiedere la concentrazione del suo usufrutto su una porzione concreta di beni, salvo il limite costituito dal diritto potestativo di commutazione dell’usufrutto in rendita vitalizia concesso agli eredi dall’art. 547 c.c.nella presente causa, la domanda di scioglimento della comunione di godimento è stata proposta da D.M., soggetto estraneo alla comunione ereditaria, e correttamente i giudici di merito hanno fatto applicazione della disciplina generale di cui agli artt. 1116 c.c. e ss., e non della norma eccezionale prevista dall’art. 547 c.c., non applicabile in via analogica (ex plurimis, Cass. 16/04/1981, n. 2309).

3. Con il secondo motivo è denunciata omessa motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla difesa della D., costituito dalla mancata formulazione della richiesta di assegnazione dell’immobile da parte di D.M. e dalla incompatibilità tra la domanda di vendita e quella di assegnazione.

3.1. La doglianza è inammissibile in quanto deduce il vizio di motivazione al di fuori del paradigma configurato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo vigente, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al presente ricorso ai sensi della disposizione transitoria di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 3, (la data di pubblicazione della sentenza d’appello è successiva al giorno 11 settembre 2012).

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, ormai assurta a diritto vivente (a partire da Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), l’omesso esame denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico, come invece prospettato dalla ricorrente.

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, nonchè vizio di motivazione, in assunto insufficiente e/o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, e si lamenta che la Corte d’appello, nel confermare l’assegnazione dell’immobile a D.M., avrebbe omesso di considerare gli elementi fattuali dedotti nell’atto di appello e non contestati dalla controparte, riguardanti la situazione della sig.ra D., ottantenne pensionata, che aveva vissuto nell’immobile oggetto di comunione per almeno cinquant’anni, e che non aveva mezzi sufficienti per procurarsi un’altra abitazione.

4.1. La doglianza è infondata.

La “non contestazione” riguarda i fatti costitutivi della pretesa azionata e, nell’ambito del giudizio divisorio, non rientra tra i fatti costitutivi l’impossibilità di reperire altro alloggio, ovvero altra situazione soggettiva che la parte quotista di minoranza abbia allegato per ottenere l’assegnazione a sè dell’immobile non comodamente divisibile.

La situazione fattuale indicata può incidere esclusivamente sulla modalità di attuazione della divisione – se ed in quanto il giudice l’apprezzi in termini di “interesse prevalente”, tale cioè da giustificare l’assegnazione del bene all’uno piuttosto che all’altro quotista (ex plurimis, Cass. 13/05/2010, n. 11641) – e quindi non è configurabile un onere di contestazione a carico della controparte.

5. Con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art. 720 c.c. nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo, e si contesta l’assegnazione del bene a D.M., in quanto quotista di maggioranza, senza considerare la contrapposta pretesa della ricorrente, nè istituire una comparazione tra i sottostanti interessi.

5.1. La doglianza è inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di motivazione al di fuori del paradigma configurato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, per le ragioni già esposte nell’esame del secondo motivo alle quali si può rinviare, ed è infondato nella parte in cui deduce il vizio di violazione di legge.

La Corte d’appello, nel confermare l’assegnazione del bene non comodamente divisibile al quotista di maggioranza, ha affermato che ciò corrisponde al criterio preferenziale dettato dall’art. 720 c.c., precisando poi che la contrapposta richiesta della quotista di minoranza era priva di supporto, non avendo la sig.ra D. dimostrato di non poter accedere ad altre soluzioni abitative. Nel richiamato contesto, il tema della comparazione tra le rispettive istanze neppure si è posto, in assenza di prova dell’interesse che avrebbe potuto supportare l’istanza di assegnazione della sig.ra D., e di conseguenza la conferma dell’assegnazione del bene all’altro condividente, quotista di maggioranza, non richiedeva specifica motivazione.

E’ vero, quindi, che l’art. 720 c.c. non obbliga il giudice ad attenersi necessariamente al criterio della quota maggiore, nel caso in cui uno o più immobili non siano comodamente divisibili, riconoscendogli la legge il potere discrezionale di derogare al criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della maggior quota (da ultimo, Cass. 22/08/2018, n. 20961), ma è vero altresì che, ai fini della divisione dell’immobile non comodamente divisibile, il giudice è tenuto a procedere all’assegnazione per scongiurare la vendita, che costituisce extrema ratio adottabile solo in caso di indisponibilità di tutti i condividenti (ex plurimis, Cass. 22/03/2004, n. 5679).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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