Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8231 del 07/04/2010

Cassazione civile sez. III, 07/04/2010, (ud. 01/03/2010, dep. 07/04/2010), n.8231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato BERNARDINI

SVEVA, rappresentato e difeso dall’avvocato FAZIO PIETRO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

R.V. (OMISSIS), R.G.S.

(OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 17667-2006 proposto da:

R.V., R.G.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato

RAMPELLI ELISABETTA, rappresentati e difesi dall’avvocato ISGRO’

ANTONINO SALVATORE giusta delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

49, presso lo studio dell’avvocato BERNARDINI SVEVA, rappresentato e

difeso dall’avvocato FAZIO PIETRO giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 300/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

emessa il 26/05/2005, depositata il 10/06/2005 R.G.N. 57/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/03/2010 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso il rigetto del ricorso principale e del

ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 15 ottobre 2002 – 10 marzo 2003 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto condannava R.V. e R. G.S. a corrispondere a R.F. i canoni ancora dovuti per la locazione dell’immobile ad uso commerciale condotto dal loro genitore R.S., di cui costui prima ed essi dopo avevano conservata la detenzione successivamente alla sentenza che aveva dichiarato cessata la locazione.

Con sentenza in data 26 maggio – 10 giugno 2005 la Corte d’Appello di Messina rigettava sia l’appello principale del R., che chiedeva una somma maggiore, sia l’appello incidentale dei R., che sostenevano la tesi opposta.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: il Tribunale aveva ritenuto che i conduttori fossero incorsi in mora nella restituzione dell’immobile, la cui utilizzazione andava considerata illegittima e li aveva condannati al pagamento dell’ultimo canone corrisposto (L. 90.000 mensili) per tutto il periodo di detenzione, previa detrazione della somma da essi corrisposta; è facoltà insita nel diritto di ritenzione attribuito dalla legge (L. n. 392 del 1978, art. 34) al conduttore permanere nella detenzione dell’immobile dopo la scadenza, ma prima della corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento e in tal caso si configura una sorte di proroga della locazione con la corresponsione dell’ultimo canone; la domanda di determinazione del canone non era stata proposta tempestivamente e, inoltre, le varie vicende addotte dalle parti erano sprovviste di idonei supporti probatori.

Avverso la suddetta sentenza il R. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi.

I R. hanno proposto ricorso incidentale articolato in cinque motivi, cui il R. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Il ricorrente principale denuncia, con il primo motivo, violazione o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., artt. 1590 e 1591 c.c., in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 34, ed ai commi 6 e 7, dell’art. 69, come sostituito dal D.L. 9 dicembre 1986, art. 1, conv.

in L. 6 febbraio 1987, n. 15.

Premette la sentenza delle Sezioni Unite n. 1177 del 2000, secondo cui, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali disciplinate dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 34 (e, in regime transitorio, dalla citata legge, artt. 68, 71 e 73), il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è obbligato al solo pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, e non anche al risarcimento del maggior danno e aggiunge che occorre stabilire che cosa si intenda per “corrispettivo convenuto”.

Premesso che sia il significato letterale, sia la ratio della pronuncia citata inducono a ritenere che il “corrispettivo convenuto” vada individuato nel canone corrisposto alla scadenza del contratto, osserva la Corte che la sentenza impugnata ha offerto la medesima interpretazione e che le argomentazioni addotte a sostegno della censura si basano sulle trattative intercorse tra le parti e postulano l’applicabilità del “canone di mercato”.

Quest’ultimo riferimento pone la tesi del ricorrente in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite, che ha escluso la risarcibilità di qualsiasi maggior danno rispetto al canone convenuto, il cui concetto è certamente diverso da quello di canone di mercato.

Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; mora del conduttore.

Nella sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna contraddizione.

Essa ha riferito l’affermazione del Tribunale circa la morosità del conduttore, ma ha poi spiegato che, contrariamente a quanto da esso ritenuto, nel caso di locazione commerciale il conduttore ha diritto alla ritenzione dell’immobile sino alla corresponsione dell’indennità di avviamento, per cui la mancata riconsegna del medesimo non da luogo ad alcun illecito e, quindi, come del resto stabilito dalle Sezioni Unite, non consente alcun risarcimento.

Il terzo motivo adduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 69, commi 6 e 7 e successive modifiche.

La tesi è che l’art. 1591 c.c., attribuisce al corrispettivo convenuto una natura risarcitoria svincolata dalle originarie pattuizioni.

La censura è inammissibile prima che infondata. Inammissibile per aspecificità in quanto prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata; infondata per le ragioni addotte con riferimento al precedente motivo, la cui tesi quello in esame ripropone anche se sotto diverso profilo.

E’ appena il caso di aggiungere che il diritto di ritenzione riconosciuto al conduttore è connesso ad un sostanziale inadempimento del locatore poichè sorge allorchè – e permane fin quando – costui non corrisponda l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.

Con il quarto motivo vengono denunciate omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione o falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 69 e in relazione alle norme sull’aggiornamento del canone.

Il tema trattato è quello dell’aggiornamento del canone indicato dalla Corte territoriale quale corrispettivo convenuto.

L’accertamento del canone corrisposto alla scadenza della locazione è accertamento di fatto e, peraltro, il ricorrente non adduce elementi utili per ritenere che la Corte d’Appello abbia in proposito equivocato.

In realtà il R. mira ad ottenere l’aggiornamento del canone, ma a tal fine si limita a riproporre la tesi già sostenuta in sede d’appello, senza considerare la motivazione con cui la Corte territoriale l’ha disattesa e senza addurre argomentazioni critiche idonee a contrastarla. Ne consegue che la censura difetta di specificità.

Pertanto il ricorso principale va rigettato.

Con il primo motivo del ricorso incidentale i R. denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 69; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Criticano la sentenza di primo grado per avere dichiarato illegittima l’utilizzazione dell’immobile da parte loro, danno atto alla Corte d’Appello di avere in qualche misura rimediato all’errore, ma la stigmatizzano per avere rigettato il loro appello incidentale.

Una tale censura è inammissibile poichè pecca di aspecificità e astrattezza e non da ragione dell’interesse processuale perseguito.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 392 del 1978, artt. 68 e 71; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Anche con questa censura, che riguarda la misura del canone mensile, viene stigmatizzata la sentenza di primo grado e, solo di riflesso e non specificamente, quella d’appello, l’unica oggetto di verifica in sede di legittimità. Le argomentazioni addotte a sostegno implicano verifiche fattuali e, quindi, esulano dal sindacato di legittimità.

Il terzo motivo ipotizza nullità della sentenza; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si assume che “contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale” l’appellante non ha chiesto l’aggiornamento del canone Istat”, ma rivalutazione monetaria quale accessorio della somma richiesta a titolo di risarcimento dei danni oppure gli aumenti previsti dalle norme in vigore.

La censura, intrinsecamente inammissibile per le carenze strutturali rilevate per i precedenti motivi, non soddisfa il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione ed è fuori del tema in discussione.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e vizio di motivazione.

Il tema è il rigetto della censura relativa alla condanna al pagamento delle spese di primo grado.

In primo luogo i ricorrenti, violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non hanno-riferito il relativo motivo d’appello che non risulta dal testo della sentenza impugnata. In secondo luogo, il Tribunale ha applicato il principio della soccombenza.

Con il quinto motivo i ricorrenti incidentali denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e vizio di motivazione con riferimento alla compensazione delle spese del giudizio d’appello.

La censura presuppone l’accoglimento delle precedenti e ne segue le sorti.

Pertanto anche il ricorso incidentale va rigettato.

L’esito della controversia induce a compensare le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2010

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