Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8229 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. un., 22/03/2019, (ud. 13/03/2018, dep. 22/03/2019), n.8229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21687-2016 proposto da:

U.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO

NICOLAI 16, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CARBONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati TOMMASO PIO LAMONACA e

GIUSEPPE MAVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 444/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/03/2018 dal Consigliere Dott. GRECO ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Luigi Pedullà per delega degli avvocati Tommaso

Pio Lamonaca e Giuseppe Mavelli e Vittorio Cesaroni per l’Avvocatura

Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

U.D., cittadina bosniaca residente a (OMISSIS), propone ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Roma che, confermando la decisione di primo grado, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano nella controversia introdotta con la domanda di condanna del Ministero della difesa al pagamento di differenze retributive e contributive per complessivi Euro 217.690,19, in relazione al lavoro prestato dalla stessa ricorrente dal 1 ottobre 2001 al 31 ottobre 2010 quale addetta a mansioni varie quale operaia specializzata sarta presso il Contingente Nazionale Carabinieri in Bosnia, colà impegnato in missione per conto della NATO in esecuzione degli accordi di Dayton.

Il giudice d’appello, richiamando la sentenza di queste Sezioni unite 26 luglio 2011, n. 16248, ha rilevato che ai fini della individuazione del giudice provvisto di giurisdizione sulle controversie relative al lavoro prestato in favore degli organi militari e degli uffici civili dei Paesi aderenti alla Nato, trovava applicazione la Convenzione di Londra, ratificata in Italia con L. 30 novembre 1955, n. 1335, e segnatamente l’art. 9, n. 4, secondo cui le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare i salari e gli accessori di salari e le condizioni per la protezione dei lavoratori sono regolamentate in conformità alla legislazione in vigore nello Stato ricevente; i lavoratori civili impiegati da una forza armata o da un elemento civile non sono in alcun caso considerati come membri di tale forza armata o di tale elemento civile, con la conseguenza che essi sono assoggettati alla giurisdizione e al diritto dello Stato ospitante.

Il Ministero della difesa resiste con controricorso illustrato con successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione della Convenzione di Londra, ratificata dall’Italia con L. 20 novembre 1955, n. 1335, ed in particolare dell’art. 9, n. 4, cui la Bosnia ed Erzegovina ha aderito solo nel 2008 Disapplicazione della Convenzione di Londra e di tutti i trattati internazionali, per la loro manifesta contrarietà ai principi di ordine pubblico internazionale ed interno”; con il secondo, “insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia”; col terzo motivo si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1-bis del T.U. sulle spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002), così come modificato dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 37, comma 5, convertito in L. 16 luglio 2011, n. 11”.

Osserva anzitutto il Collegio che nel territorio della Bosnia Herzegovina, a seguito degli accordi di pace di Dayton del 21.11.1995, ai sensi della risoluzione n. 1088 del 12 dicembre 1996 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha operato la forza multinazionale di stabilizzazione della NATO, denominata SFOR – Stabilization Force – succeduta ad IFOR – Implementation Force -, cui è subentrata, ai sensi delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza n. 1551 del 9 luglio 2004 e n. 1575 del 22 novembre 2004, EUFOR con la missione denominata Althea; la Repubblica Italiana, nella qualità di aderente all’ONU, all’UE ed alla NATO, ai sensi dell’art. 11 Cost., ha contribuito allo sforzo multinazionale e ha inviato proprio personale militare: per quel che riguarda il presente giudizio, un Contingente di Carabinieri.

Queste Sezioni unite hanno da tempo chiarito (da ultimo Cass. 26 luglio 2011, n. 16248) che, ai fini della decisione delle controversie relative al lavoro prestato in favore degli organi militari e degli uffici civili dei Paesi aderenti alla NATO, occorre fare riferimento all’art. 9, n. 4, della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, resa esecutiva in Italia con L. 30 novembre 1955, n. 1355, secondo cui “le esigenze locali in materia di manodopera civile di una forza armata o di un elemento civile sono soddisfatte allo stesso modo di quelle dei servizi analoghi dello Stato ricevente, con la loro assistenza e per il tramite dei servizi della manodopera. Le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare i salari e gli accessori di salari e le condizioni per la protezione dei lavoratori (cd. personale a statuto locale) sono regolamentate in conformità alla legislazione in vigore dello Stato ricevente. Tali lavoratori civili impiegati da una forza armata o da un elemento civile non sono in alcun caso considerati come membri di detta forza armata o di detto elemento civile”.

Ne consegue che la domanda relativa al rapporto di lavoro proposta da un cittadino dello Stato di soggiorno, che sia colà residente come nella specie è la ricorrente, cittadina bosniaca residente a (OMISSIS), e la cui assunzione sia avvenuta per il soddisfacimento delle esigenze locali della Forza italiana, appartiene alla giurisdizione del giudice dello Stato di soggiorno.

La Bosnia Erzegovina, infatti, in data 1 febbraio 2008 ha ratificato la Convenzione tra gli Stati parte del Trattato Atlantico del Nord e gli altri stati partecipanti al Partenariato per la pace, relativa allo statuto delle loro forze, conclusa a Bruxelles il 19 giugno 1955, in forza della quale gli Stati aderenti si impegnano (art. 1) all’applicazione delle disposizioni contenute, appunto, nella Convenzione di Londra del 19 giugno 1951.

Il primo motivo va pertanto rigettato, con la conferma della giurisdizione della Bosnia Erzegovina sulle domande proposte da U.D., attenendo al merito ogni questione circa la fondatezza delle stesse.

Si palesano inammissibili per difetto di specificità le residue censure formulate col primo motivo ed inammissibili le denunce di vizi di motivazione della sentenza impugnata, concretandosi tutte in violazioni di legge.

Il terzo motivo, concernente il temperamento del raddoppio del contributo unificato di iscrizione a ruolo, nel giudizio di merito, per le controversie individuali di lavoro, è del pari inammissibile per difetto di specificità e di localizzazione delle allegazioni relative alle prescritte condizioni reddituali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso, quanto ai primi due motivi.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 5.000 oltre alle spese prenotate a debito.

Dichiara inammissibile il terzo motivo concernente il doppio contributo in appello.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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