Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8228 del 28/04/2020

Cassazione civile sez. I, 28/04/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 28/04/2020), n.8228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5039/2019 proposto da:

S.M.U., rappresentato e difeso dall’avv. Antonino Novello

del Foro di Catania giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato

ed elettivamente domiciliato presso i suoi uffici in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 366/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da S.M.U., nato a (OMISSIS), volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. La Corte territoriale riferiva che il cittadino pakistano aveva dichiarato innanzi alla Commissione territoriale di essere di religione musulmana sunnita e di avere lasciato il paese temendo per la propria sicurezza ed incolumità in ragione di una vicenda che aveva riguardato il padre, membro del partito Pakistan Tehrek-e-insaf, che era stato ucciso per avere rifiutato di commettere brogli in favore di un partito avversario in occasione delle competizioni elettorali, mentre il fratello era stato rapito. Egli aveva allora denunciato il fatto alla Polizia, proseguiva il racconto, ed aveva riconosciuto i responsabili dell’uccisione del padre. Riteneva che la versione del richiedente fosse viziata da notevoli profili di contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, soprattutto con riferimento ai dati oggettivi agevolmente riscontrabili, quale quello della data della competizione elettorale. Riteneva comunque che quanto riferito esulasse dalle situazioni che possono giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto il richiedente non rientrava nella categoria dei soggetti esposti al rischio di persecuzione per motivi politici o religiosi perchè la sua percezione del rischio scaturiva dall’aver assunto la veste di un testimone di giustizia e dalle possibili conseguenze della sua collaborazione con le autorità. Sulla base del rapporto sulla sicurezza in Pakistan EASO 2017 neppure poteva ritenersi ad avviso della Corte che colui che aveva collaborato con le autorità di polizia per assicurare alla giustizia i responsabili dell’omicidio del padre non avesse la possibilità di chiedere e ottenere una tutela effettiva dallo Stato di cittadinanza ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6. Negava infine che la zona di provenienza, e specificamente la città di (OMISSIS), fosse esposta al pericolo di condanna a morte, tortura, minaccia grave individuale alla vita della persona derivante da violenza indiscriminata. Infine, negava la protezione umanitaria ritenendo che la vicenda personale riferita non denunciasse una condizione di particolare vulnerabilità.

3. Per la cassazione della sentenza S.M.O. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo il ricorrente deduce

la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’appello applicato il principio dell’onere probatorio attenuato così come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri forniti dal D.Lgs. n. 251, artt. 3 e 5.

5. Sostiene che, contrariamente a quanto assunto dal giudice di merito, le dichiarazioni fossero precise e che in Pakistan vi è un clima di grave corruzione soprattutto, ma non solo, durante le competizioni elettorali.

6. Il motivo non è fondato.

7. Questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

8. Il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

9. Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279).

10. Nel caso, la Corte di merito ha compiuto il dovuto vaglio delle dichiarazioni del richiedente, vagliandole alla luce delle informazioni relative al paese di provenienza, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè la doglianza relativa alla necessità di procedere ad ulteriore cooperazione istruttoria officiosa costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

11. Con il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino derivante da una situazione di violenza indiscriminata.

12. Il motivo è inammissibile.

13. Va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’ essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi fa:, cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della Direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105).

14. Nel caso, la Corte di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine della richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’articolata valutazione desunta da siti internazionali accreditati (report EASO 2017), con riferimento in particolare alla città di provenienza, Islamamabad, che ha rilevato essere caratterizzata da maggiore stabilità rispetto ad altre zone del Paese.

15. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

16. Come terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per non avere la Corte d’appello valutato la gravità dell’attuale situazione del Pakistan correlata alla situazione personale del richiedente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

17. Anche tale motivo è inammissibile.

18. Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

19. La Corte territoriale si è attenuta a tali principi, ritenendo che non risulti una situazione di effettiva vulnerabilità nel Paese di provenienza, mentre neppure viene allegata in questo giudizio un’effettiva integrazione in Italia. Anche a tale proposito, il motivo censura dunque la valutazione di merito operata dal giudice territoriale con argomentazioni meramente contrappositive.

20. Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato.

21. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

22. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020

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