Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8226 del 30/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 30/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.30/03/2017),  n. 8226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26175-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO AMATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1259/30/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 22/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di F.M. dell’avviso di accertamento relativo ad Irpef ed Irap dell’anno di imposta 2007, la Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dall’ Agenzia delle Entrate e in riforma della decisione di primo grado, annullava l’atto impositivo ritenendo che, nella specie, si fosse verificata la decadenza dal potere impositivo, non potendosi applicare l’istituto del raddoppio dei termini (alla luce di Cass. n. 9974/2015), in quanto la denuncia penale non era circostanziata e riguardava, non il contribuente, ma l’impresa che aveva emesso le fatture. Nel merito, il Giudice di appello riteneva che l’ufficio non avesse provato la fittizietà dell’operazione.

Avverso la sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate affidandosi a quattro motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi si denunzia la sentenza impugnata di omesso esame di un fatto decisivo e di motivazione apparente laddove la C.T.R. aveva omesso di considerare il fatto, risultante da documentazione offerta nel corso del giudizio, che era stata proposta denunzia penale nei confronti del contribuente.

Le censure vanno rigettate. La prima perchè il documento è stato prodotto tardivamente (udienza di discussione innanzi alla C.T.R. la quale ne ha ritenuto implicitamente l’inammissibilità), la seconda perchè la sentenza impugnata è sufficientemente motivata argomentando in fatto ed in diritto le ragioni che hanno condotto alla decisione.

Con il terzo motivo si deduce violazione di legge laddove la C.T.R. aveva ancorato l’applicabilità del raddoppio dei termini all’effettiva presentazione della denuncia.

La censura è fondata. Ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, comma 3 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (nè tanto meno la produzione di questa in giudizio). Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” ed “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.

Nel caso in esame, il Giudice di appello ha omesso di compiere l’accertamento, nel concreto richiestogli, delle condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza dall’azione accertatrice.

Nè trova applicazione il nuovo disposto normativo come chiarito da questa Corte con sentenza n. 16728 del 09/08/2016 (la quale ha avuto modo di affermare che “in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati”) e con la successiva sentenza n. 26037 del 16/12/2016 (la quale ha statuito che “in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015).

E’ fondato anche il quarto motivo alla luce dei principi espressi da Cass. n. 16437/2015 secondo cui: “nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228 del 2001, 12802 del 2011); in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno) (Cass. 24426/2013)”.

In conclusione, quindi, rigettati i primi due motivi, in accoglimento del terzo e del quarto la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione regionale la quale provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, ed al regolamento delle spese di questo giudizio.

PQM

In accoglimento del terzo e del quarto motivo, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017

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