Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8224 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. I, 11/04/2011, (ud. 07/03/2011, dep. 11/04/2011), n.8224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E.T.P. S.N.C. DI LA ROSA GIOMBATTISTA E SALVATORE (P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARANTO 44, presso l’avvocato

CORSO MICAELA, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOSIA GIUSEPPE,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 793/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 11/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12.12.2001, la ditta E.P.T. s.n.c., conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Catania il Fallimento di C.G. e proponeva gravame avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Ragusa, in data 18.7.2001 con la quale era stato dichiarato inefficace nei confronti del fallimento l’atto con il quale il C. aveva venduto alla E.P.T. di La Rosa Giambattista e Salvatore s.n.c, la sua quota indivisa, pari alla metà dell’intero, del capannone di mq 415 con retrostante ed antistante terreno di pertinenza sito in (OMISSIS) ed era stata condannata la società convenuta a rilasciare alla curatela attrice detta quota dell’immobile, nonchè a rimborsare alla stessa le spese del giudizio.

A sostegno dell’impugnazione parte appellante deduceva: a) che erroneamente il giudice di primo grado aveva ravvisato una notevole sproporzione tra le prestazioni dei contraenti sottovalutando le prove esperite dalla ditta E.T.P. e facendo affidamento su una perizia di parte, disposta dal giudice delegato, basata su presunzioni e approssimazioni e per questo contestata sin nei primi atti processuali, contrariamente a quanto asserito dal primo giudice;

b) che era inesistente l’elemento soggettivo della scientia decoctionis; c) che era errata la condanna alle spese del giudizio.

L’appellante chiedeva,quindi,la riforma della sentenza impugnata.

Costituitasi in giudizio, parte appellata chiedeva il rigetto del gravame.

La Corte d’appello di Catania, con sentenza 793/04 rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la EPT snc sulla base di quattro motivi cui non resiste il fallimento di C. G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La società ricorrente deduce con il primo motivo la mancanza di prova relativamente alla sproporzione tra il prezzo pagato ed il valore dell’immobile.

Con il secondo motivo deduce la mancanza o insufficienza della motivazione in ordine alle censure mosse da essa ricorrente alle risultanze della consulenza tecnica.

Con il terzo motivo contesta l’insufficienza di motivazione in ordine alla conoscenza dello stato d’insolvenza.

Con il quarto motivo ribadisce sotto il profilo del vizio motivazionale e della violazione di legge l’insussistenza della sproporzione delle prestazioni.

Il primo motivo è infondato.

Invero il fatto che non sia stata espletata consulenza tecnica d’ufficio non necessariamente sta a significare che la sproporzione del prezzo non sia stata provata, dovendosi in primo luogo rammentare che la CTU non è, in quanto tale, un mezzo di prova ma soltanto uno strumento che fornisca al giudice valutazioni di carattere tecnico in grado di metterlo in condizioni di adeguatamente decidere su questioni che normalmente non rientrano nel suo quadro di conoscenze.

Nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto di fondare la propria valutazione sulla base di una consulenza disposta dal giudice delegato nell’ambito della procedura fallimentare, stante anche la mancanza di opposizione da parte dei ricorrenti e la loro opposizione all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio.

In altri termini, la Corte d’appello ha ritenuto che le due predette circostanze potevano far ritenere pacifiche tra le parti le conclusioni della consulenza di parte del fallimento e che fosse pertanto superflua la effettuazione di una CTU. Aggiungasi che il giudice in quanto peritus peritorum è in condizione di svolgere autonomamente qualsiasi tipo di valutazione peritale, per cui se sia il tribunale che la Corte d’appello hanno ritenuto che le risultanze della consulenza prodotta dal fallimento erano corrette hanno di fatto effettuato una propria autonoma valutazione in proposito tenuto anche conto del fatto che la perizia del fallimento includeva una documentazione fotografica dell’immobile, come tale costituente fonte autonoma di conoscenza, oggetto di attenzione da parte dei giudici di merito.

Quanto alla mancanza di allegazione probatoria della sproporzione del prezzo, tale assunto non trova riscontro nel caso in esame visto che il fallimento, cui tale onere incombeva, ha prodotto la consulenza tecnica di parte a sostegno del proprio assunto, comprendente anche la citata allegazione fotografica ed ha chiesto l’espletamento di una CTU, domanda a cui si è opposta la ricorrente.

Il secondo motivo, con cui si contesta la inadeguatezza della motivazione della Corte d’appello relativa alla esattezza e congruenza delle risultanze della consulenza prodotta dal fallimento, è inammissibile.

Invero, la Corte d’appello ha osservato: che la consulenza aveva tenuto conto della natura abusiva dell’immobile che non risultava ancora sanata;che le asserite migliorie non erano state provate dai ricorrenti ed anzi le stesse erano da escludere alla luce della documentazione fotografica in atti; che la consulenza aveva determinato il valore dell’immobile alla data dell’atto di compravendita, come risulta dalla specifica indicazione della data del 3 ottobre 1994.

Tale motivazione appare adeguatamente sviluppata e logicamente coerente, onde la stessa non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità.

Il terzo motivo con cui si contesta la conoscenza dello stato d’insolvenza è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che la dimostrata assenza di protesti cambiari e procedure esecutive immobiliari non fosse circostanza sufficiente a fornire la prova della non conoscenza dello stato d’insolvenza e che, anzi, la presunzione di conoscenza era rafforzata dal fatto che alla EPT era nota la qualità di imprenditore del C., che il bene oggetto della compravendita era proprio l’opificio ove veniva esercitata l’impresa e che,esercitando le due imprese attività commerciale nell’ambito della stessa contrada di una piccola cittadina, l’EPT non poteva non essersi resa conto delle difficioltà economiche di un impresa che dismetteva uno degli strumenti essenziali per lo svolgimento della propria attività.

Questa motivazione appare del tutto corretta alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte ribadito che al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza, posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, (nel testo “ratione temporis” vigente), grava sul convenuto l’onere della prova contraria, la quale non ha contenuto meramente negativo, e non può quindi essere assolta con la sola dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa. Ne consegue che, ai fini della prova positiva della “inscientia decoctionis”, la mancanza di protesti cambiari e di procedure esecutive immobiliari a carico della società fallita può in concreto non assurgere a decisiva rilevanza, pur trattandosi di indizi rivelatori di insolvenza. (Cass. 17998/09; Cass. 10629/07.).

Quanto al resto, le ulteriori considerazioni svolte dalla Corte d’appello costituiscono delle valutazioni di merito debitamente argomentate e, come tali, non suscettibili di sindacato in sede di legittimità.

Il quarto motivo è inammissibile.

I ricorrenti sostengono di avere pagato in realtà il prezzo di lire 148 milioni anzichè 120 milioni e di avere provato tale circostanza che farebbe escludere la sproporzione del prezzo, ma che di essa la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto.

Era onere dei ricorrenti, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, dedurre specificatamente in quale data.

A avevano depositato i documenti in questione ed in quale degli scritti difensivi della fase di merito essi avevano fatto valere l’assunto maggior pagamento.

La mancanza di tali allegazioni rende il ricorso privo di autosufficienza e quindi non scrutinabile in questa sede.

Il ricorso va in conclusione respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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