Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8223 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 24/03/2021), n.8223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17208/2019 R.G. proposto da:

N.M. e R.A., rappresentati e difesi dall’Avv.

Amerigo Penta e Giuseppe Pesci;

– ricorrenti –

contro

UnipolReC S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Sarti, con

domicilio eletto in Roma, Via Dante dè Blasi, n. 5, presso lo

studio dell’Avv. Marco Paolo Ferrari;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Bologna, n. 20235/2018,

depositata il 2 marzo 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio

2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. In accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria promossa da Unipol Banca S.p.A. (ora UnipolReC S.p.A.) nei confronti di N.M. e R.A. il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 20235/2018 del 2 marzo 2018, ha dichiarato inopponibile nei confronti della banca l’atto con il quale, in data (OMISSIS), il N. aveva venduto alla Ravaglia, la piena proprietà di un immobile, così sottraendolo alla garanzia patrimoniale dell’obbligazione fedeiussoria anteriormente contratta dal predetto.

2. Con ordinanza del 26/3/2019, comunicata in data (OMISSIS), la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., l’appello interposto dai soccombenti.

3. Questi propongono quindi ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., affidato a tre motivi.

L’intimata resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato avviato alla camera di consiglio non partecipata della sesta sezione civile a seguito di proposta d’inammissibilità del relatore, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso si espone a un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non indica nell’esposizione del fatto il motivo o i motivi dell’appello.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 4, ha natura di ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 c.p.c., quanto ai requisiti di contenuto-forma, e deve contenere, in relazione di detta norma, n. 3, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello; ne consegue che nel ricorso la parte è tenuta ad esporre, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e ai motivi su cui esso era fondato, le domande e le eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte, o rimaste assorbite, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., le previsioni di cui al medesimo codice, artt. 329 e 346, nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello” (Cass. 17/04/2014, n. 8940 e n. 8943; cui adde conff. e pluribus Cass. Sez. U. 27/05/2015, n. 10876; 23/12/2016, Cass. n. 26936; Cass. n. 18623 del 2016; Cass. n. 2784 del 2015; Cass. n. 26928 del 2018).

In sostanza, la necessità di una compiuta identificazione dell’ambito del giudicato interno derivante dai limiti dell’impugnativa mediante l’appello continua ad esigere, stando alla giurisprudenza su richiamata ed avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte, la puntuale indicazione dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell’ordinanza di secondo grado, quale contenuto essenziale del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado (al quale non possono considerarsi equipollenti la mera allegazione dell’atto di appello nel fascicolo di parte e il suo richiamo in ricorso tra i documenti allegati – allegazione e richiamo, peraltro, nella specie nemmeno presenti).

L’esigenza di una tale riproduzione non è un inutile formalismo, tale da inficiare il diritto di difesa delle parti, o quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, art. 6 (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata – in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con L. 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 24 settembre 1955, n. 221, ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).

Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno (Cass. 23/12/2016, n. 26936; 21/11/2017, n. 27550).

Mette conto altresì ancora una volta rammentare che la Corte Europea, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa Trevisanato c/Italia, ha riaffermato – perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. “filtro a quesiti” per l’accesso in Cassazione – il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso in Cassazione e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola la Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo, art. 6, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benchè non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; e, solo, dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016, cit.).

Nel caso di specie i ricorrenti omettono del tutto di indicare i motivi di gravame.

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, rendendosi ultroneo l’esame dei motivi che ne sono dedotti a fondamento.

Se ne può comunque incidentalmente rilevare, ad abundantiam, l’inammissibilità, ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, in quanto impingenti questioni la cui soluzione, nella sentenza impugnata, risulta conforme a indirizzi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Appare peraltro evidente la natura meramente fattuale delle doglianze svolte, non riconducibile ad alcuno dei vizi cassatori.

3. Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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