Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 822 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 822 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: BURSESE GAETANO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 16570-2011 proposto da:
VUOLO

LICIA

VLULCI15L50H703D,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 84, presso
lo studio dell’avvocato GALLI’ CLAUDIO, rappresentata
e difesa dagli avvocati MINOLITI

piEfflp,

GIANPIERO

MINOLITI;
ricorrente –

2013

contro

2533

OLIVIERI RAFFAELLA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 59/2011 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 16/01/2014

di SALERNO, depositata il 21/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. GAETANO
ANTONIO BURSESE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il

Vuolo-Vuolo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 1°.7.99 Licia Vuolo conveniva avanti al
Tribunale di Salerno il germano Paolo Vuolo deducendo che, a seguito di

attribuite ad essa attrice ed al fratello convenuto specifiche parti del fabbricato
appartenuto in vita al de cuius, conformato a terrazze, situato in Cetara tra le
vie Corso Umberto e San Giacomo, composto di 3 piani e varie aree di
pertinenza e spiazzi; più precisamente, essa attrice era divenuta proprietaria
di due unità immobiliari poste al 1° ed al 2° piano partendo dalla sottostante via
San Giacomo, mentre la porzione di fabbricato del germano Paolo era
costituita dal terzo piano, partendo da via San Giacomo, a livello della strada
Corso Umberto. Precisava ancora l’attrice che i due immobili facevano parte dell’
originario più ampio complesso immobiliare appartenuto al de cuius, che aveva
un unico accesso da Corso Umberto, con scalinata scoperta a lato del portone,
che dunque doveva ritenersi d’ uso comune ai sensi dell’art.1117 c.c.,
essa attrice sempre utilizzati ; tutto ciò premesso, esponeva
Paolo nel giugno del 1997 le aveva vietato

da

che il fratello

l’ingresso da tale accesso,

cambiando a sua insaputa la serratura del cancello, per cui essa Vuolo, dopo la
proposizione di una prima azione di reintegra rigettata per decadenza del
termine annuale ex art. 1168 c.c. , formulava azione petitoria ( confessoria
servitutis) per sentirsi dichiarare contitolare della proprietà della zona d’accesso

Corte Suprema di Cassazione — II s

r. G. A. Bursese-

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divisione ereditaria del loro genitore e cessioni di quote tra coeredi, erano state

principale della Villa

al Corso Umberto I, n. 13, oltre che della successiva

scalinata scoperta, con piccolo giardino intermedio; ovvero in subordine instava

per il riconoscimento di una servitù di passaggio attraverso le rispettive unità
immobiliari, in virtù del titolo della destinazione del padre di famiglia o per

una servitù di passaggio coattivo.
Si costituiva il convenuto a mezzo del procuratore speciale Raffaella Olivieri,
contestando la domanda dell’attrice, negando che essa avesse diritto al
passaggio nella sua proprietà, sottolineando che alle unità immobiliari di
proprietà della medesima era possibile accedervi anche da/ basso, da Piazza
San Giacomo, dove vi era un autonomo ingresso. Istruita la causa tramite CTU
ed escussione dei testi, l’adito Tribunale, con sentenza n. 1712/06 in
accoglimento della domanda, dichiarava che la scala in questione era in
proprietà comune tra le parti ai sensi dell’art. 1117, n. 1 c.c., per cui ordinava al
convenuto di consegnare all’attrice copia delle chiavi delle serrature di entrambi
i cancelli di accesso alla proprietà, sia quello posto su via Corso Umberto, sia
quello sito al termine della seconda rampa del percorso che chiudeva l’accesso
allo spiazzo scoperto di proprietà dell’attrice.
La sentenza veniva appellata dal convenuto che ne chiedeva l’integrale riforma,
contestando l’affermazione circa la comproprietà delle parti ritenute comuni,
sottolineando come il titolo, costituito dall’atto di divisione del 1972, prevedeva
accessi autonomi di proprietà esclusiva ai distinti piani e che non aveva

Corte Suprema di Cassaz e — II

iv. – est. dr. G. A. Bursese-

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avvenuta usucapione ; ancora in ulteriore subordine, chiedeva la costituzione di

particolare rilevo qualificante l’uso della scala che era stato da lui consentito
all’attrice.
L’adita Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 1713/06 accoglieva il
gravame, negando la comproprietà dei beni in questione e rigettando quindi la

delle emergenze istruttorie e

della documentazione allegata ( CTU, schede

catastali, grafici ecc.), nonché del titolo ( atto di divisione) , che il bene preteso
in comproprietà da Licia Vuolo, non rientrasse tra quelli ritenuti comuni dall’art.
1117 c.c. ma fosse destinato esclusivamente al servizio della proprietà di Paolo
Vuolo.
Per la cassazione

la suddetta decisione ricorre Licia Vuolo sulla base di

4 mezzi; l’intimato non ha svolto difese.
MOTIVI DELLE DECISIONE
1 – Con il primo

motivo il ricorrente

denunzia

la violazione e falsa

applicazione degli artt. 1117 c.c., nonché il vizio di motivazione ,
denunciando altresì un preteso contrasto di giurisprudenza, in ragione del quale
chiede che la causa venga rimessa alle S.U. Sottolinea che la corte territoriale
ha riformato la sentenza di primo grado che riteneva beni comuni l’ accesso ad
una villa e le successive rampe di scale, fondando tale decisione su di una
sentenza di questa S.C. ( S.U. n. 7449/93), secondo la quale” …l’individuazione
delle parti comuni …. risultante dall’art. 1117 c.c. … può essere superata
soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con

Corte Suprema di Cassazione — II sez. civ. – . dr. G.

ursese-

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domanda proposta da Licia Vuolo. La corte territoriale riteneva, sulla base

riguardo a cose che , per le loro caratteristiche strutturali , risultino destinate
oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari”.
Secondo altro e diverso orientamento, se un bene è incluso tra quelli elencati
dall’art. 1117 c.c. ( come nel caso in esame, le scale) ” assistiti non da una mera

solo in forza di un titolo specifico in forma scritta , trattandosi di un bene
immobile” ( Cass. n. 6005/08; Cass. n. 5891/08). Secondo la ricorrente , ” pur
ritenendo …che l’interpretazione più corretta ed aderente alla normativa
codicistica dovrebbe far prevalere la c.d. presunzione di condominialità, sarebbe
forse opportuno che il problema fosse sottoposto nuovamente… .al vaglio delle
….S.U., che dovranno statuire se un bene esistente in un complesso edilizio
condominiale gode della c.d. presunzione di comunione, salvo il contrario non
risulti dal titolo, o se prevalga la sua funzionalità e destinazione ad una
proprietà esclusiva, indipendentemente dall’esistenza di un titolo che la legittirtii”.
Il motivo è infondato atteso cte non esiste il denunciato contrasto.
La giurisprudenza ha affermato principi che non sono in conflitto tra loro, che
anzi si integrano gli uni con gli altri; ed infatti: 1) nel caso di parti astrattamente
comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. destinate per le loro caratteristiche a servire
tutte le unità immobiliari presenti nel condominio, la condominialità può esser
esclusa solo in base a titolo contrario ( Cass. n. 27145/2007); 2) nel caso di
parti rientranti tra quelle elencate all’art. 1117 c.c., ma funzionalmente destinate

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presunzione ma da una precisa disposizione , ” la sua natura può essere vinta

a servire solo alcune unità immobiliari, la condominialità non è mai sorta e
quindi va esclusa senza bisogno di titolo contrario ( Cass. n. 17993/2010).
2 – Passando all’esame del 2° motivo, gli esponenti denunciano la violazione
o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. –

od omessa considerazione delle prove in atti ( grafici e foto)

non si condivide

il ragionamento delle Corte d’ Appello che cioè il bene in questione fosse
destinato esclusivamente a servizio della proprietà di Paolo Vuolo; in realtà
essa Vuolo e la sua famiglia sono sempre transitati animo domini ed ad libitum
attraverso il cancello e la scala su C.so Umberto ( sulla s.s. 163) e le
successive due rampe scoperte , a lato del portone dell’appartamento di Paolo,
per raggiungere i propri appartamenti posti in successione a quello, ed a livello
inferiore. E poiché nel titolo ( atto di divisione) non era rinvenibile” un espressa
dichiarazione di attribuzione e di appartenenza esclusiva di tali beni al
convenuto, essi dovevano reputarsi in comunione tra le parti. “A riguardo viene
richiamato quale dato testuale la postilla n. 2 del rogito notarile di divisione, da
cui si ricaverebbe la natura comune dell’accesso alla statale 163.
3- Con il 3° motivo si denunzia la violazione delle norme di legge di cui sopra;
“l’erronea od omessa lettura di atti rilevanti ai fini della decisione ; esame del
titolo- prova contraria — inesistenza.”
Non v’è dubbio che il convenuto non ha fornito- come doveva – la prova
contraria circa la non comunione dei beni in parola, trattandosi di soggetto che

Corte Suprema di Cassazione — 11 sez. civ. – es

A. Bursese-

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Travisamento dei fatti — erronea individuazione dello stato dei luoghi ed erronea

ne rivendicava la proprietà esclusiva, che in questo caso è costituita da un titolo,
da cui si possano desumere elementi tali da escludere in maniera inequivocabile
la comunione del bene. Il contenuto del rogito ( art. 8) non contraddice il

espressioni adoperate dall’art. 8.
(AL v•
4 – Con il 4 motivo mit
112—Cpc i erronea individr—
wiOne dell’oggetto del
giudizio. Ritiene che la decisione impugnata appare contraddittoria e confusa,”
quando l’oggetto della domanda viene individuato solo nella scalinata scoperta
a lato del portone e del giardino.., mentre in realtà è l’intera zona dell’accesso
principale,( dalla strada statale), costituita dal cancello d’ingresso in ferro,

piccolo vialetto seguito da quattro gradini e ballatoio
scoperto, antistante il portone in legno dell’appartamento attribuito a Vuolo
Paolo, oltre la scalinata scoperta con piccolo giardino intermedio”.
Le doglianze — congiuntamente esaminate in ragione della loro stretta
connessione – sono fondate.
Invero la Corte d’Appello, in presenza di una scala, la quale nella sua parte
iniziale era destinata a consentire l’accesso alla proprietà di Paolo Vuoto e a
due rampe di scale destinate a consentire l’accesso nell’unità immobiliare della
sorella Licia, non ha adeguatamente motivato perché andava esclusa la
condominialità. Non ha chiarito perché non fosse titolo confermativo la postilla
apposta all’atto di divisione, come sottolineato dalla ricorrente ( v. pag. 23
ricorso).

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principio generale sancito dall’art. 1117 c.c. , anzi lo riafferma proprio con le

in effetti la postilla n. 2 di cui pag. 11 del rogito notarile ( che costituisce l’unico
titolo che ha dato luogo al frazionamento dell’immobile) così recita :
“A tale appartamentino si accede pure dallo spiazzo comunale attraverso
ballatoio comune agli eredi Galano”, ossia dal basso, da quella nel grafico di

non può avere altro significato che quello d’individuare e richiamare l’accesso
dalla statale 163 come un accesso comune.”
D’altra parte — come osservato dalla ricorrente- notevole rilievo assume ai fini
della problematica in esame l’art. 8 dell’atto di divisione , il quale prevede : ” le
porzioni d’immobile con questo atto attribuite in divisione si trasferiscono in
proprietà di ciascun condividente con ogni accessione, dipendenza e pertinenza
inerente, servitù attive e passive, nulla escluso ed eccettuato in uno ai
proporzionali diritti di condominio su tutte le parti ritenute di uso comune per
legge o per destinazione”.

Erano dunque previste con l’atto divisionale che nel

vecchio complesso immobiliare, dopo la sua divisione rimanessero anche ”
parti di uso comune per legge o per destinazione”
La corte ha poi ha trascurato che non c’era alcun

titolo contrario alla

condominialità dell’ingresso e della scala, atteso che trattavasi di un unico
complesso immobiliare poi diviso tra i due fratelli.
Orbene per costante giurisprudenza di questa S.C.

la presunzione di

condominialità di siffatti beni ex art. 1117 c.c. deriva sia dall’attitudine oggettiva
del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio

Corte Suprema di Cassazione — II sez. civ. – est. dr.3. A. Bursese-

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p.16 è indicata come Piazzetta “Grotta”. “Il — sottolinea la ricorrente-

comune; ne consegue che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne
rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova rigorosa di
tale diritto in modo da escludere in maniera inequivocabile la comunione del
bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002). ” Per tutelare la

necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la
reivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per
presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al
servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente,
materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva
dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre
spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova(
Cass.2, Sentenza n. 15372 del 01/12/2000; Sentenza n. 6175 del 13/03/2009; 2,
Sentenza n. 17993 del 02/08/2010 )
In conclusione dev’essere accolto il ricorso; dev’essere cassata la sentenza
impugnata e rinviata la causa anche per le spese di questo giudizio alla Corte
d’Appello di Salerno in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa
anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa
composizione. In Roma li 4 dicembre 2013

proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ. non è

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