Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 822 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. I, 14/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 14/01/2011), n.822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5613-2008 proposto da:

C.C. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati RESTUCCIA PATRIZIA,

CARROZZA PAOLO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO depositato il

24/07/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che C.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Torino, depositato il 24.7.06, con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato, ex lege n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 2000,00 per l’eccessivo protrarsi di un procedimento fallimentare svoltosi innanzi al Tribunale di La Spezia;

che il Ministero non ha resistito con controricorso.

Diritto

OSSERVA

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura il decreto impugnato per avere rapportato la liquidazione del danno al solo periodo di irragionevole durata del processo anzichè all’intera durata di quest’ultimo.

Il motivo è manifestamente infondato avendo questa Corte ripetutamene affermato che la liquidazione del danno deve rapportarsi esclusivamente al periodo di irragionevole durata del processo in ragione della espressa disposizione normativa di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2.

Il secondo motivo, con cui si contesta l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale, è infondato.

La Corte d’appello, accertata un durata irragionevole di tredici anni, ha liquidato un equo indennizzo pari ad Euro 2000,00 motivando che il credito di cui il C. attendeva il riconoscimento nel giudizio presupposto ammontava ad Euro 465,79, dal momento che gran parte del credito insinuato al passivo fallimentare era stato liquidato entro sei mesi dalla insinuazione, e che la scarsissima entità della detta somma comportava una modestissima sofferenza psicologica onde il danno non patrimoniale poteva essere riconosciuto solo in misura alquanto ristretta i verificandosi in caso contrario una ingiustificata locupletazione del ricorrente.

Tale motivazione appare corretta.

E’ appena il caso di ricordare che i parametri di liquidazione del danno stabiliti dalla Cedu oscillano tra i mille ed i millecinquecento Euro per anno di ritardo, dovendosi però precisare che tali criteri non risultano stabiliti in termini espressi ed argomentati dalla Corte di Strasburgo, ma sono desunti sulla base di un calcolo medio delle liquidazioni che di volta in volta vengono effettuate dalla predetta Corte nei singoli casi. In ragione di ciò, non è raro riscontrare liquidazioni da parte del giudice internazionale di somme che a volte sono maggiori dei parametri di cui sopra ed a volte anche consistentemente inferiori.

Tutto ciò serve per affermare che i parametri Cedu non sono rigidi, ma consentono margini di flessibilità e di adattamento alle singole fattispecie concrete.

Questa Corte, invero, ha ripetutamente affermato il principio che la esiguità della posta in gioco, così come la mancata presentazione dell’istanza di prelievo, non valgono ad escludere la sussistenza del danno non patrimoniale ma possono giustificare una liquidazione del danno non patrimoniale al di sotto dei parametri stabiliti dalla CEDU, a condizione, peraltro, che tale liquidazione non scenda al di sotto di certi limiti fino a divenire puramente simbolica non apparendo in tal caso più conforme ai parametri Cedu, (ex plurimis Cass. 1338/05).

La misura entro cui è possibile discostarsi verso il basso dai criteri stabiliti dalla Cedu va, peraltro, determinata di caso in caso a seconda delle peculiarità delle singole fattispecie.

In linea di principio è del tutto ragionevole sostenere che tanto più bassa è l’entità della posta in gioco, tanto minore è la sofferenza psicologica per la eccessiva durata del processo; non potendo quest’ultima indurre gravi preoccupazioni di carattere economico sulle parti in causa che sono necessariamente consapevoli del fatto che, qualunque per esse sia l’esito della controversia, le conseguenze saranno comunque di modesto se non modestissimo impatto.

Da ciò discende che, quando la posta in gioco è di entità molto modesta, è ben possibile discostarsi anche in misura rilevante dai parametri minimi della Cedu purchè la liquidazione del danno non patrimoniale, in tal modo determinata, risulti proporzionata alla modestissima sofferenza psicologica della parte e, quindi, conforme a principi di logica e di equità.

Se così non fosse e si volesse ancorare a parametri rigidi il possibile discostamento dai parametri Cedu in fattispecie come quella in esame, ove la posta in gioco rasenta livelli minimali, si verrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’arti della Costituzione perchè si consentirebbe alla parte una ingiustificato arricchimento privo di alcun rapporto con la sofferenza ed il danno effettivamente subito.

A ciò deve aggiungersi che è entrato in vigore il 1 giugno 2010 il protocollo numero 14 alla Convenzione dei diritti dell’uomo del 13.5.2004 ove è stabilito, a modifica dell’art. 35 par. 3 della Convenzione, che la Corte dei diritti dell’uomo “dichiara irricevibili tutti i ricorsi individuali introdotti in applicazione dell’art. 34 allorchè ritiene: a) omissis … ; b) che il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli esiga un esame del ricorso nel merito ed a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sìa stato debitamente esaminato da un tribunale interno”.

Premesso che non spetta a questa Corte procedere ad una interpretazione dell’art. 35 par 3 della Convenzione diritti dell’uomo, così come modificato dal protocollo 14, può tuttavia affermarsi, ai fini che qui rilevano, che detta norma, di carattere processuale, consente di affermare il principio che un ricorso individuale, con cui si proponga una censura avverso la liquidazione di un indennizzo per un accertato modesto pregiudizio effettuata dal giudice nazionale, non costituendo la detta liquidazione un aspetto di per sè rilevante ai fini del rispetto dei diritti dell’uomo, non può trovare ingresso innanzi alla Corte di Strasburgo, con impossibilità di ulteriore esame della questione a livello della giurisdizione internazionale. La norma in esame quindi, in caso di pregiudizio non importante subito dalla parte, lascia alla valutazione discrezionale dei giudici nazionali determinare l’ammontare dell’indennizzo escludendo sul punto la possibilità di un proprio sindacato giurisdizionale e confermando indirettamente la flessibilità con cui i giudici nazionali possono in siffatti frangenti dare applicazione ai criteri CEDU di liquidazione dell’indennizzo.

Il terzo motivo è inammissibile.

Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 nn. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Il terzo motivo in esame, che risulta proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, manca di ogni sintesi del fatto controverso e delle ragioni per cui la motivazione sarebbe contraddittoria onde lo stesso non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Il ricorso va in conclusione rigettato. Nulla per le spese non avendo l’Amministrazione svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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