Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8217 del 30/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 30/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.30/03/2017), n. 8217
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 64-2016 proposto da:
B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCO SACCHI
XII 125, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA STILLITANI, che
la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2698/28/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di ROMA del 27/04/2015, depositata il 13/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 18/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO
MANZON;
disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del
Presidente e del Relatore.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
Con sentenza in data 13 maggio 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 4605/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso di Bella Elvira contro la cartella di pagamento IRPEF ed altro 2006.
La CTR osservava in particolare che la contribuente non aveva adeguatamente comprovato di avere subito – quale sostituito di imposta – la parte delle ritenute d’acconto disconosciute dall’ Ente impositore.
avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, – la ricorrente si duole di falsa applicazione di diverse disposizioni legislative e di vizio motivazionale in ordine alla questione della mancata produzione delle certificazioni dei sostituti relativamente alle ritenute d’imposta in questione.
Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5, – la ricorrente lamenta falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, e vizio motivazionale in ordine alla affermata sua solidarietà passiva nell’obbligazione d’imposta.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.
Anzitutto va rilevato che la ratio decidendi della sentenza impugnata non involge la questione della tipicità della prova di cui è onerata la contribuente, giacchè anzi al contrario afferma l’atipicità della stessa, nel senso che la circostanza di aver subito ritenute a titolo acconto può essere data oltre che con la produzione delle certificazioni dei sostituti, anche con altri mezzi.
Ciò posto, la prima censura sottopone dunque a questa Corte un giudizio – che le è evidentemente inibito – sul merito della valutazione probatoria data dal giudice di appello, il quale ha appunto negato l’assolvimento dell’onere probatorio della contribuente sulla circostanza di fatto, contestata dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, di aver subito le ritenute d’acconto di cui alla cartella esattoriale impugnata.
Quanto alla seconda censura, anch’essa non pertinente a detta ratio decidendi della sentenza impugnata, va comunque rilevato che è consolidato orientamento di questa Corte che il rapporto che si costituisce tra il sostituto d’imposta e il sostituito è quello dell’obbligazione solidale passiva con il fisco (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 19034 del 10/09/2014; Sez. 6-5, Ordinanza n. 12706 del 13/06/2016). Tuttavia va osservato che la diversa ratio decidendi del giudice di appello non consiste nella affermazione del vincolo giuridico dell’obbligazione solidale tra sostituto e sostituito in caso di ritenuta a titolo di acconto), quanto nella considerazione, meramente di fatto, che la contribuente non ha assolto il proprio onere di provare di aver subito le ritenute oggetto della contestazione erariale, con la conseguente sussistenza del debito d’imposta corrispondente esclusivamente a carico della contribuente stessa quale “possessore” del reddito tassabile.
Il ricorso va dunque rigettato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2017