Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8217 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/03/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 24/03/2021), n.8217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13785/2019 R.G. proposto da:

D.A. e B.C., rappresentati e difesi

dall’Avv. Enrico Giovine;

– ricorrenti –

contro

Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.a., rappresentata

e difesa dall’Avv. Angelo Pierri;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 282/2019,

depositata il 28 febbraio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio

2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta dalla Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.a., aveva dichiarato inopponibile nei confronti della stessa l’atto con il quale, in data (OMISSIS), D.A. aveva donato alla moglie, B.C., alcuni beni immobili, così sottraendoli alla garanzia patrimoniale del debito anteriormente contratto, quale fideiussore della Meridional Box S.r.l., a garanzia delle obbligazioni da questa assunte nei confronti dell’Isveimer S.p.a. (dante causa dell’attrice), in dipendenza di contratto di mutuo ipotecario stipulato in data (OMISSIS).

2. Avverso tale decisione i coniugi D. B. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste la S.G.A. S.p.a., depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., in relazione al rigetto della reiterata eccezione di prescrizione del credito a tutela del quale era proposta l’azione revocatoria.

1.1. Tale rigetto è motivato in sentenza con il rilievo che, per il soddisfacimento del proprio credito, l’Isveimer aveva incardinato nei confronti della Meridional Box S.r.l., davanti al Tribunale di Salerno, due procedimenti espropriativi immobiliari, il primo dei quali (nei confronti della debitrice principale) ancora pendente alla data del (OMISSIS), il secondo (nei confronti degli eredi di altro fideiussore) conclusosi all’udienza del 18 ottobre 2005 con la declaratoria di esecutività del progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita del compendio pignorato: iniziative giudiziarie, queste, con le quali l’ente creditore aveva pertanto interrotto, con effetti permanenti, la prescrizione del proprio credito anche nei confronti del fideiussore, a norma dell’art. 1310 c.c..

1.2. Tale argomentazione è censurata poichè asseritamente viziata dalla mancata considerazione del “periodo per cui può ritenersi valida l’interruzione”. Secondo i ricorrenti “si tratta di stabilire se nella fattispecie l’atto introduttivo costituito dall’azione iniziata nei confronti dei coobbligati risalente all’anno 1989 poteva interrompere il termine di prescrizione”. Essi affermano che, per costante insegnamento, “gli atti processuali compiuti nel corso del processo estinto non hanno alcuna efficacia interruttiva della prescrizione”. Ne deriva anche, secondo i ricorrenti, l’illogicità della decisione poichè, “pur avendo dato atto che dal 1989 nessun atto era intervenuto nei confronti dei debitori, l’appello è stato rigettato”.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., in relazione al rigetto del secondo motivo d’appello, con il quale era stata reiterata l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo per mancanza di qualsiasi riferimento all’ammontare del credito vantato dall’appellata.

Il rilievo sul punto svolto in sentenza – secondo cui l’eccezione è infondata per essere esattamente individuati in domanda sia la causa petendi che il petitum, nonchè l’ammontare del credito, quest’ultimo in particolare indicato nell’importo di Euro 247.805,08 – è censurato dai ricorrenti siccome, in tesi, apodittico e in contrasto con le norme processuali suindicate, osservandosi di contro che “non può dubitarsi che D.A., a distanza di 17 anni dalla stipula del mutuo concesso dall’Isveimer, aveva il diritto di conoscere l’oggetto e la fondatezza della pretesa”.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 2901 c.c..

Deducono che, pur risultando corrette sul piano teorico le considerazioni svolte nella sentenza impugnata con riferimento ai presupposti dell’azione revocatoria, in concreto la motivazione non poteva essere condivisa dal momento che, mancando la dimostrazione rigorosa dell’ammontare del credito, non era possibile stabilire se il bene oggetto dell’atto revocando sottraesse o meno garanzia al creditore.

4. Il primo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che tra gli atti interruttivi della prescrizione viene in rilievo anche quello con cui si introduce il processo esecutivo (art. 2943c.c., comma 1), e che a questo atto l’art. 2945 c.c., comma 2, ricollega l’effetto interruttivo permanente sino al momento in cui il procedimento coattivo stesso giunga a un risultato che possa considerarsi equipollente a ciò che la medesima norma individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (v. Cass. 07/05/2020, n. 8644; Cass. 09/05/2019, n. 12239; Cass. 13/02/2017, n. 3741; Cass. 06/06/2002, n. 8219; Cass. 25/03/2002, n. 4203; Cass. 07/12/1985, n. 6165).

Ciò si verifica quando il processo di esecuzione abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva, in tutto o in parte, del suo diritto, ovvero, alternativamente, “quando la realizzazione della pretesa esecutiva non sia conseguita per motivi diversi dall’estinzione del processo, quali, ad esempio, la mancanza o l’insufficienza del ricavato delle vendita, la perdita successiva del bene assoggettato ad espropriazione e simili” (Cass. n. 12239 del 2019, cit.; Cass. n. 4203 del 2002, cit., pag. 17).

Come è stato condivisibilmente evidenziato la ratio, nella logica della disciplina della prescrizione, risiede nella considerazione che, quando penda il processo, anche esecutivo, la condotta del creditore non può dirsi inerziale e quindi significativa ai fini dei riflessi sulla persistenza del diritto; mentre, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, quando quel processo si chiuda per mancanza d’iniziativa del creditore, che non lo coltivi come la legge impone, allora quella permanenza dell’effetto viene meno, fermo l’originario atto interruttivo che, pertanto, riprende un effetto istantaneo.

In questo senso gli arresti appena richiamati distinguono l’estinzione tipica, che si correli a condotte inattive, inerziali o, come logico, rinunciatarie, da quella c.d. atipica, che si sostanzi, come anticipato, in un’inidoneità a proseguire il processo esecutivo per impossibilità oggettiva di raggiungere il suo scopo, come nelle ipotesi di perdita del bene o mancanza di attivo.

Da qui il principio, affermato da Cass. n. 12239 del 2019, cit., secondo cui “in tema di prescrizione, l’effetto interruttivo permanente determinato dall’introduzione del processo esecutivo si conserva, agli effetti dell’art. 2945 c.p.c., comma 2, quando la chiusura della procedura coattiva consista nel raggiungimento dello scopo della stessa ovvero, alternativamente, il suddetto scopo non sia raggiunto ma la chiusura del procedimento sia determinata da una condotta non ascrivibile al creditore procedente, mentre, in ipotesi opposta a quest’ultima, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, l’effetto stesso resterà istantaneo”.

Nel caso di specie la corte territoriale, nel rigettare la reiterata eccezione di prescrizione del credito, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra enunciati, avendo attribuito, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, efficacia interruttiva-sospensiva della prescrizione del credito vantato nei confronti della debitrice principale – efficacia estesa anche al coobbligato ex art. 1310 c.c., (estensione in sè non censurata e comunque certamente conforme a diritto) – agli atti con i quali la creditrice aveva iniziato procedure esecutive immobiliari, in relazione alle quali, per essere la prima ancora pendente e la seconda “fisiologicamente” conclusa con la distribuzione del ricavato, non era configurabile alcuna ipotesi di “estinzione tipica” (tale cioè da far venir meno, per essere correlabile a condotte inattive, inerziali o rinunciatarie del creditore procedente, la permanenza dell’effetto interruttivo dell’iniziale pignoramento e restituire a questo solo l’effetto istantaneo).

La critica sul punto svolta in ricorso si appalesa del resto totalmente generica e apodittica, omettendo i ricorrenti di specificare in cosa sia consistito l’errore di diritto denunciato.

5. Il secondo motivo è inammissibile, per aspecificità.

La sua stessa prospettazione dà conferma della sussistenza, nella domanda introduttiva, dei requisiti dettati dall’art. 163, n. 3, (determinazione della cosa oggetto della domanda) e n. 4 (esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda), la cui mancanza è sanzionata da nullità ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 4.

I ricorrenti, infatti, a ben vedere, non contestano che siano indicati la fonte del credito per il quale si propone azione revocatoria (contratto di mutuo e correlata fideiussione) e il suo ammontare (Euro 247.805,08) -dati ritenuti sufficienti dai giudici di merito ad integrare il requisito in questione (editio actionis) – ma piuttosto ne deducono, per quanto è dato comprendere, la inattendibilità, in mancanza di specifica indicazione del “conteggio” e del “titolo” in virtù del quale quel credito “veniva dichiarato”.

Detto della contraddittorietà di detto riferimento al “titolo” con la anteposta premessa, evidenziata in grassetto, nella quale si dà atto che nell’atto di citazione controparte aveva indicato la fonte del credito in un “contratto di mutuo stipulato il (OMISSIS)”, non resta che rilevare che la questione posta dai ricorrenti attiene in realtà alla valutazione di attendibilità ovvero di fondatezza, nel merito, della pretesa creditoria (nei limiti in cui peraltro l’accertamento della esistenza del credito può rilevare ai fini della azione revocatoria) e non certo alla osservanza dei requisiti di forma dettati dall’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4.

6. Il terzo motivo è inammissibile.

La sua eccentricità rispetto al vizio evocato (violazione di legge) è sostanzialmente ammessa dagli stessi ricorrenti, là dove riconoscono la correttezza “teorica” della regola di giudizio applicata, quanto alla identificazione dell’eventus damni quale presupposto della revocatoria, limitandosi a lamentare la mancanza nella specie di una “dimostrazione rigorosa dell’ammontare del credito”.

A parte il rilievo che, come noto, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, nè può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (v. ex multis Cass. 05/02/2019, n. 3369), devesi comunque constatare che, in sentenza, non vengono espressi dubbi sull’esatto ammontare del credito, sicchè la doglianza muove da premessa che non trova alcun riscontro nella sentenza e si risolve in una surrettizia contestazione di merito, peraltro, come detto, impingente su dato fattuale (esatto ammontare del credito) non decisivo ai fini dell’accoglimento della revocatoria.

Varrà inoltre rammentare che, avendo l’actio pauliana la funzione di ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore, a determinare l’eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore integrata con la costituzione in fondo patrimoniale di uno o più beni immobili di proprietà dei coniugi, in tal caso determinandosi, nei confronti del credito già sorto, il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, della cui insussistenza incombe al convenuto, che nell’azione esecutiva l’eccepisca, fornire la prova (v. ex multis Cass. Cass. n. 29727 del 15/11/2019; n. 16986 del 01/08/2007).

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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