Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8217 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. I, 11/04/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (C.F. (OMISSIS)), F.M.,

P.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E.Q.

VISCONTI 99, presso l’avvocato CONTE GIOVANNI BATTISTA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LACAPRA ANTONIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 162, presso l’avvocato MEINERI

GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MONICA GUARIN, ORTIS GIOVANNI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2008 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 21/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato GIOVANNI BATTISTA CONTE che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GIOVANNI MEINERI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 569 del 1.06.2004, il Tribunale di Udine, in accoglimento dell’opposizione proposta da P.S., P.F. e F.M., revocava il decreto ingiuntivo n. 289 del 2001, con cui agli opponenti (ed a V. F.) era stato intimato di pagare all’ingiungente M. S. la somma di L. 8.005.331, oltre interessi ed accessori, quale compenso per l’espletato incarico di Presidente del collegio arbitrale che aveva deciso il 25.01.2000, la controversia insorta tra gli opponenti da un lato e V.F. dall’altro.

Con sentenza del 6-21.02.2008, la Corte di appello di Trieste, in accoglimento parziale dell’appello principale proposto dal M., respingeva l’opposizione dei P. e della F. al provvedimento monitorio, con conseguente assorbimento anche dell’appello incidentale dei P. e della F. inerente alla statuizione di compensazione delle spese di primo grado. La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro:

– che non fosse condivisibile l’interpretazione resa dal primo giudice della clausola n. 8 del contratto stipulato dalle parti con scrittura privata del 12.07.1995, la quale, rettamente intesa nel suo integrale contenuto, si rivelava inapplicabile anche alla clausola compromissoria per arbitrato irrituale, inserita all’art. 7 del medesimo contratto;

– che per tale ragione detta clausola arbitrale non poteva ritenersi venuta meno alla scadenza del termine del 30.09.1995, previsto nell’accordo per la stipula del contratto definitivo, sicchè gli arbitri avevano mantenuto il potere a loro convenzionalmente attribuito e ben potevano decidere la controversia devoluta al loro giudizio, relativa all’accertamento dell’avveramento o meno della condizione sospensiva dedotta nel preliminare ed alle relative conseguenze, la quale non appariva lecito nè conforme alla volontà delle parti, escludere dall’ambito di quelle devolute al loro giudizio – che del resto in altra analoga controversia (avente ad oggetto la richiesta di compenso effettuata da altro componente del medesimo collegio arbitrale) la stessa Corte, pure richiamando ad abundantiam il principio di autonomia della clausola arbitrale rispetto al contratto preliminare cui essa accedeva, aveva già escluso l’inefficacia di tale clausola per il fatto che fosse inutilmente scaduto il termine del 30.09.1995, previsto nel contratto, e ciò anche basandosi sul tenore e sul significato dell’art. 7 dell’accordo che la contemplava per controversie che del tutto fisiologicamente sarebbero potute insorgere anche dopo la scadenza del suddetto termine;

– che non poteva nemmeno ritenersi che l’autoliquidazione del compenso integrasse eccesso di mandato, tale potere essendo stato dalle parti conferito agli arbitri e quindi anche al M., il quale aveva chiesto il compenso sulla base del lodo.

Avverso questa sentenza i P. e la F. hanno proposto ricorso per cassazione notificato il 30.06.2008. Il M. ha resistito con controricorso notificato il 19.09.2008. All’udienza pubblica dell’11.07.2010 è stato disposto il rinvio d’ufficio all’odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso i P. e la F. denunziano:

1. Primo argomento. “Motivazione contraddittoria e/o insufficiente (art. 360 c.p.c., n. 5, in riferimento alla questione dell’estensibilità o meno anche alla clausola arbitrale, del contenuto della clausola n. 8 del contratto preliminare;

2. Secondo argomento. In relazione al rapporto tra il contratto preliminare, ritenuto soggetto a condizione sospensiva, e la clausola arbitrale:

a) “Violazione di norme di diritto – Inesistenza ab origine di qualsiasi vincolo contrattuale (art. 1355 c.c.)”, in presenza di condizione sospensiva meramente potestativa;

b) “Motivazione insufficiente (art. 360 c.p.c., n. 5)”, con riguardo all’individuazione in tesi erronea, della domanda arbitrale proposta dal V.;

c) “Motivazione contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5)”, una volta negata l’autonomia della clausola per arbitrato irrituale;

3. Terzo argomento. Con riguardo al richiamo delle argomentazioni poste a fondamento della sentenza resa nel diverso giudizio:

a) “Motivazione contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5)” sulla questione dell’autonomia della clausola per arbitrato irrituale;

b) “Motivazione contraddittoria (art. 360 c.p.c., n. 5)” sulla diversa interpretazione dell’art. 2 del contratto preliminare;

c) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto” con riguardo alla vigenza della clausola arbitrale una volta che il contratto sia divenuto inefficace.

d) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Inesistenza ab origine di qualsiasi vincolo contrattuale (comb. disp. artt. 1185 e 1355 c.c.;

comb. disp. artt. 1321 e 1372 c.c.; comb. disp. artt. 1351-2932 c.c., comma 2)” 4. Quarto argomento. In ordine alla autoliquidazione del compenso da parte degli arbitri previsto nella clausola arbitrale:

a) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1346, 1348 e segg. c.c.)”, sostenendo che non si poteva affidare agli arbitri il potere di determinare arbitrariamente il loro compenso e con conclusivamente formulando il seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis “Dica codesta Suprema Corte se una parte può determinare arbitrariamente la prestazione a sè stessa dovuta e se la clausola che la preveda sia o meno nulla”;

b) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 634 c.p.c.)”, con riguardo alla inidoneità dell’autoliquidazione effettuata dagli arbitri a costituire prova scritta idonea a legittimare l’emissione del decreto ingiuntivo.

Con i trascritti primi tre punti del ricorso riferiti ad altrettanti argomenti dell’impugnata sentenza ed articolati in complessive 8 censure, si deducono doglianze relative alla inesistenza, alla nullità ed alla efficacia del contratto preliminare di cessione di quote del 12.07.1995, intercorso tra i ricorrenti e V. F. e, dunque, anche della clausola compromissoria per arbitrato irrituale in esso inserita.

L’inesistenza del contratto preliminare viene inammissibilmente prospettata nel Terzo argomento sub d) con formulazione conclusiva del seguente quesito di diritto “Dica codesta Suprema Corte se la scrittura privata con cui le parti promettono di compravendere un bene entro un certo termine, trascorso inutilmente il quale decade la stessa promessa, sia o meno un contratto (preliminare) produttivo di obblighi giuridici”. Tale quesito e, dunque, la censura cui accede, è inammissibile, in quanto l’esistenza del contratto preliminare di cessione non è più ridiscutibile in questa sede, per essere stata definitivamente e positivamente risolta in primo grado, con accertamento non impugnato in appello, e che, quindi, è ormai coperto dal giudicato.

L’inesistenza del contratto preliminare è, inoltre, dai ricorrenti erroneamente predicata nel Secondo argomento sub a), con riferimento alla dedotta natura meramente potestativa della condizione sospensiva, a cui la Corte di merito ha ritenuto soggetto il contratto preliminare di cessione, e, dunque, con riguardo ad ipotesi di nullità (art. 1355 c.c.) dell’accordo.

Tutte le censure inerenti allo stipulato contratto preliminare di cessione non hanno pregio, perchè non conferenti rispetto al diritto del M., quale presidente del collegio arbitrale, di percepire il compenso per l’opera da lui svolta ai fini della decisione finale, resa, unitamente agli altri arbitri, il 25.01.2000.

Qualora, infatti, sia pure in forma di clausola arbitrale, sia stata stipulata una convenzione compromissoria per la risoluzione in arbitrato irrituale delle liti insorte tra le parti del contratto e sia stata instaurata, espletata e definita la pattuita procedura arbitrale, l’arbitro o gli arbitri nominati direttamente dalle medesime parti o tramite il procedimento previsto dagli artt. 809 e 810 c.p.c, analogicamente applicabile all’arbitrato libero o irrituale (cfr cass SU 198903189 e da ultimo cass. 201017114), hanno diritto al pagamento del compenso ed alle spese per l’opera svolta (che integra debito ex mandato in base all’art. 1720 c.c.), nei confronti dei compromittenti da cui l’atto di nomina promana o a cui debba essere ricondotto all’esito del menzionato procedimento sostitutivo/integrativo. Il credito degli arbitri, infatti, insorge per effetto della ricevuta nomina e dell’espletamento dell’incarico loro conferito e non è sindacabile e disconoscibile in ragione della non rilevata nullità, inefficacia o risoluzione del contratto, ove pure recante la clausola compromissoria, sul quale la decisione arbitrale verta, se l’eventuale errore di giudizio da parte degli arbitri stessi non implichi anche loro responsabilità in rapporto al ricevuto mandato collettivo (in tema, cfr cass. 200904823; 200814799;

200213607; 199002800; 197302764), evenienza questa non controversa in questa sede.

Inammissibili si rivelano, infine, le due censure di cui al punto 4 del ricorso.

La prima censura di cui sub a), è inammissibile per genericità del quesito di diritto che la conclude, privo di riferimenti alle peculiarità del caso, regolato anche in punto di compenso dalla normativa in tema di mandato (art. 1709 c.c.), mentre la seconda censura di cui sub b) si rivela del pari inammissibile, in quanto involge una questione nuova, non dibattuta nei pregressi gradi di merito.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al M. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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