Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8215 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. I, 11/04/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (C.F. (OMISSIS)), P.F.,

F.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

190, presso l’avvocato FAVINO LUIGI, rappresentati e difesi

dall’avvocato LACAPRA ANTONIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.M.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 162, presso l’avvocato MEINERI

GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GRUARIN MONICA, ORTIS GIOVANNI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 19/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato GIOVANNI MEINERI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1769 del 17.12.2001 (emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.) il Tribunale di Udine respingeva l’opposizione proposta da P.S., P.F. e F. M. avverso il decreto ingiuntivo n. 276 del 2001, con cui era stato loro intimato di pagare all’ingiungente C.M. C. la somma di L. 6.707.520, oltre interessi legali ed accessori, quale compenso per l’espletato incarico di componente del collegio arbitrale che aveva deciso (con lodo del 25.01.2000) la controversia insorta tra gli opponenti da un lato e V. F. dall’altro.

Con sentenza del 5.11.2003-19.01.2004, la Corte di appello di Trieste, nel contraddittorio delle parti, respingeva l’appello proposto dai P. e dalla F..

La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro:

1. che fossero inammissibili perchè tardive le censure dedotte dagli appellanti ai punti 5) (colposa o dolosa erroneità dell’eseguito arbitrato), 6) (illegittimità dell’autoliquidazione dei compensi) e 7) (inesistenza di valido titolo giuridico della pretesa) della comparsa conclusionale;

2. che non sussistevano i lamentati errores in procedendo con riguardo sia al rigetto per difetto di connessione, dell’istanza di riunione con altra causa concernente l’invalidità e la inefficacia della scrittura del 12.07.1995 e del successivo lodo arbitrale, sia al diniego di termine ex art. 183 c.p.c., comma 5 e sia al contenuto della pronuncia, in quanto priva della esposizione dei fatti rilevanti della causa;

3. che nella specie, con riguardo alla clausola arbitrale, non potevano trovare applicazione gli artt. 1341 e 1342 c.c., dal momento che il contratto del 17.07.1995 era stato concluso a seguito di trattative tra le parti dotate del medesimo potere negoziale;

4. che pure richiamando ad abundantiam il principio di autonomia della clausola arbitrale rispetto al contratto cui essa accedeva, correttamente era stata esclusa l’inefficacia di tale pattuizione per il solo fatto che fosse inutilmente scaduto il termine decadenziale del 30.09.1995, previsto nel contratto;

5. che questa conclusione trovava ulteriore riscontro nel tenore e nel significato dell’art. 7 dell’accordo che la prevedeva per controversie che del tutto fisiologicamente sarebbero potute insorgere anche dopo la scadenza del previsto termine del 30.09.1995;

6. che l’interesse ad agire della creditrice non poteva ritenersi venuto meno per effetto della titolarità da parte sua di titolo giudiziario irrevocabile nei confronti di altro condebitore solidale, tanto più che non vi era prova dell’eventuale saldo del credito da parte di costui o di altri.

Avverso questa sentenza i P. e la F. hanno proposto ricorso per cassazione notificato il 24.02.2005, affidato a 5 motivi.

La C. ha resistito con controricorso notificato il 24.03.2005.

All’udienza pubblica dell’11.07.2010 è stato disposto il rinvio d’ufficio all’odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso i P. e la F. deducono i seguenti motivi, dei quali il quarto ed il quinto, d’indole processuale, assumono priorità logico-giuridica:

1. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto anche in riferimento agli artt. 1372 e 1321 e segg. c.c.”. (vedi anche 3).

Sostengono che il Tribunale, violando le rubricate norme, ha ritenuto che l’inutile decorso del termine del 30.09.1995, fissato nel contratto preliminare “a pena di decadenza del presente accordo”, non avesse fatto venire meno anche la clausola arbitrale contenuta nel suddetto contratto.

2. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – conflitto logico rispetto all’accertamento di nullità dell’intera procedura arbitrale e del conseguente lodo”.

Sostengono che la fondatezza delle precedenti censure è dimostrata dal fatto che l’impugnata sentenza si fonda su principi di diritto opposti a quelli affermati in altra decisione del medesimo Tribunale di Udine – sez. Palmanova e segnatamente nella sentenza resa nei confronti loro e di V.F., secondo cui, a seguito dell’inutile decorso del convenuto termine fissato a pena di decadenza non per la stipula del definitivo ma per la validità dell’accordo, era venuta meno anche la clausola arbitrale e ciò avendo le parti preferito lasciare decadere il preliminare per poi concludere un nuovo autonomo contratto di cessione con V. D. figlio di V.F..

3. “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – motivazione apparente per omessa considerazione dei motivi di appello”.

Censurano per vizi motivazionali il rigetto dei motivi di cui al punto 3 del loro appello, essenzialmente deducendo sia il mancato esame delle clausole nn 2 e 8 del contratto preliminare, a mente delle quali l’intero accordo avrebbe perso efficacia qualora nessuna delle parti ne avesse chiesto l’esecuzione entro il 30.09.1995, e sia l’inapplicabilità del principio di autonomia della clausola arbitrale, in quanto proprio soltanto dell’arbitrato rituale e non anche di quello irrituale, nella specie ricorrente.

4. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – errar in procedendo per illegittimo diniego del termine ex art. 183 c.p.c., comma 5 – Omessa esposizione dei fatti rilevanti per la causa – violazione dell’art. 281 sexies, artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c.”.

Il motivo non ha pregio con riguardo ad entrambi i profili di censura.

Il primo, inerente al diniego di termine ex art. 183 c.p.c., si rivela, infatti, inammissibile, posto che ai fini dell’ammissibilità di un motivo di ricorso per cassazione con il quale siano denunciati vizi “in procedendo”, è necessaria l’esplicita indicazione del concreto pregiudizio che la parte abbia o ritenga di avere subito dalla affermata violazione della norma processuale, a meno che il pregiudizio lamentato possa essere immediatamente colto dal contenuto complessivo del ricorso (cfr cass. 201020811), presupposti che nella specie non ricorrono.

Quanto al secondo, autonomo aspetto della doglianza, l’avversato rigetto del motivo di gravame appare ineccepibile alla luce del condiviso principio di diritto, già affermato da questa Corte (cfr, tra le altre, cass. 200622409), secondo cui “L’art. 281 “sexies” cod. proc. civ., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dall’art. 132 cod. proc. civ., comma 2, perchè esse si ricavano dal verbale dell’udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione.”.

5. “Violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. per omessa considerazione dei motivi di appello – ingiusta declaratoria di inammissibilità”.

Si dolgono che siano stati ritenuti motivi aggiunti inammissibili i rilievi contenuti nella sua comparsa conclusionale che integravano meri argomenti difensivi impostati sin dalla citazione in opposizione.

Il motivo è inammissibile, sostanziandosi in critiche generiche ed apodittiche, carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, giacchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, la censura non risulta nemmeno confortata dalla trascrizione del contenuto dell’atto introduttivo.

Con il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso si deducono censure inerenti alla vigenza dello stipulato contratto preliminare di cessione del 12.07.1995, intercorso tra i ricorrenti e V. F., nonchè alla natura e caratteri della clausola arbitrale in esso inserita. Le censure non hanno pregio perchè non conferenti rispetto al diritto della C., quale componente del collegio arbitrale, di percepire il compenso per l’opera da lei svolta ai fini della decisione finale, resa, unitamente agli altri arbitri, il 25.01.2000.

Qualora, infatti, sia pure in forma di clausola arbitrale, sia stata stipulata una convenzione compromissoria per la risoluzione in arbitrato irrituale delle liti insorte tra le parti del contratto e sia stata instaurata, espletata e definita la pattuita procedura arbitrale, l’arbitro o gli arbitri nominati direttamente dalle medesime parti o tramite il procedimento previsto dagli artt. 809 e 810 c.p.c., analogicamente applicabile all’arbitrato libero o irrituale (cfr cass SU 198903189 e da ultimo cass. 201017114), hanno diritto al pagamento del compenso ed alle spese per l’opera svolta (sia che si connoti come onorario e spese ex art. 814 c.p.c. sia che consista in debito ex mandato in base all’art. 1720 c.c.), nei confronti dei compromittenti da cui l’atto di nomina promana o a cui debba essere ricondotto all’esito del menzionato procedimento sostitutivo/integrativo. Il credito degli arbitri, infatti, insorge per effetto della ricevuta nomina e dell’espletamento dell’incarico loro conferito e non è sindacabile e disconoscibile in ragione della non rilevata inefficacia o risoluzione del contratto, ove pure recante la clausola compromissoria, sul quale la decisione arbitrale verta, se l’eventuale errore di giudizio da parte degli arbitri stessi non implichi anche loro responsabilità in rapporto al ricevuto mandato collettivo (in tema, cfr cass. 200904823; 200814799;

200213607; 199002800; 197302764), evenienza questa estranea all’ambito della controversia.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. Si deve cassare con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla C. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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