Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8213 del 22/04/2016
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8213 Anno 2016
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: ORILIA LORENZO
SENTENZA
sul ricorso 24045-2011 proposto da:
RINALDO
ENRICO
RNLNCR67B220224V,
RINALDO
FABIO
RNLFBA56P02L100R, elettivamente domiciliati in ROMA,
V.PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato GUIDO
ROMANELLI, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti contro
2016
366
PIAVE COSTRUZIONI
SRL 02107080240,
elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO ALBERTO 18, presso lo
studio dell’avvocato CARMELO COMEGNA, rappresentato e
difeso dall’avvocato ANTONIO BERTOLI;
Data pubblicazione: 22/04/2016
- controricorrente incidentale nonchè contro
DONA’ ALFONSO DI DONA’ ALFONSO E FIGLI SNC;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1405/2010 della CORTE D’APPELLO
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/02/2016 dal Consigldere Dott. LORENZO
ORILIA;
udito
l’AvvocatoRMANELLI
depositata
Lorenzo
con
delega
in udienza dell’Avvocato ROMANELLI Guido,
difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento
dell proprie difese;
udito 11 P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso principale; per l’inammissibilità o, in
subordine, per l’assorbimento del ricorso incidentale
condizionato.
di VENEZIA, depostata il 05/07/2010;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
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Con atto 13.7.2002, la Piave Costruzione srl convenne
davanti al Tribunale di Padova sez. dist. di Este, Enrico
Rinaldo chiedendone la condanna al rilascio di un immobile in
Il Rinaldo contestò la pretesa proponendo domanda
ricenvenzionale di accertamento del diritto di proprietà per
usucapione.
Il processo venne riunito ad altro promosso, con atto
1.7.2002, dal predetto e dal fratello Fabio per ottenere
l’accertamento giudiziale del diritto di proprietà per
intervenuta usucapione, nel quale si costituì la Piave
costruzione chiamando in causa la dante causa Dona Alfonso snc.
2 Riuniti i procedimenti connessi ed espletata prova per
testi, il Tribunale adito, nella contumacia della società
chiamata in causa, con sentenza 7.4.2008, per quanto interessa,
accolse la domanda di rilascio e la Corte d’Appello di Venezia
Ls)
con sentenza 5.7.2010, sempre per quanto di stretto interesse in
questa sede, confermò l’esito del giudizio rigettando il gravame
proposto dai Rinaldo, in base allo seguenti argomentazioni:
Rinaldo, sin dal 2001 non avevano un valido titolo per
occupare l’immobile perché quello preesistente, costituito da un
comodato concesso in favore del loro dante causa, si era estinto
in forza di formale richiesta di restituzione;
il pagamento delle utenze domestiche da parte dei
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Montegrotto Terme via San Mauro 12, occupato senza alcun titolo.
Rinaldo non era circostanza decisiva per dimostrare il possesso
ad usucapionem;
– non vi erano stati validi atti di interversione ai
sensi dell’art. 1141 cc mentre l’inottemperanza ai patti
costitutiva un inadempimento del contratto di comodato, che
prevedeva l’obbligo di restituzione a richiesta;
– l’assenza di intimazioni scritte era irrilevante;
– ulteriore elemento di esclusione dell’animus possidendi
era rappresentato dall’offerta di concludere una locazione,
proposta dai Rinaldo, come riferito dai testi.
3 Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso
Fabio ed Enrico Rinaldo, sulla base di tre motivi, tutti
incentrati sul vizio di motivazione.
La Piave Costruzioni srl resiste con controricorso e
ricorso incidentale condizionato.
La Donà Alfonso snc – che in appello si era costituiLa non ha ritenuto di svolgere attività difensiva in questa sede.
I ricorrenti e la Piave Costruzioni hanno depositato
memorie ex art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1-2-3 Col primo motivo i ricorrenti deducono, ex art. 360
n. 5 c.p.c, il difetto e l’insufficienza della motivazione su un
fatto controverso e decisivo per il giudizio (la configurazione
giuridica da attribuirsi alla disponibilità che del bene
immobile ebbero Alessandro Rinaldo prima e i suoi aventi causa
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poi): la Corte d’Appello non avrebbe tenuto in debito conte le
risultanze
istruttorie ed in particolare non avrebbe motivato
adeguatamente sulla mancata rilevanza della deposizione del
teste Scalisi, i1 quale aveva riferito che il sig. Alessandro
“diceva che la casa era sua” e che “la
famiglia abitava lì da
parecchio tempo, ma non saprei dire da quanto”. Altra critica si
rivolge all’affermazione secondo cui le deposizioni delle testi
Dona Bianca e Licenzi Maria Rosa
“debbono ritenersi credibili
perché, come sopra rammentato, asseverate pure da quelle del
teste
Scalisi, indotto dal
Rinaldo”.
A
dire dei ricorrenti,
invece, dall’esame della deposizione resa di Scalini non emerge
alcuna conferma delle
affermazioni rese dalle due testi di
controparte, ma anzi l’esistenza di punti di contrasto.
I ricorrenti rimproverano altresì alla Corte d’Appello di
non avere considerato che la teste Licenza aveva riferito fatti
appresi da altri e quindi era una teste de relato. Ancora, la
Corte di merito non avrebbe considerato la deposizione della
teste Zampolla sulle affermazioni del Rinaldi in ordine al suo
diritto sull’immobile in contestazione.
11 secondo motivo di ricorso denunzia sempre lo stesso
vizio con riferimento però al tema dell’interversione nel
possesso: la Corte non avrebbe adeguatamente valutato il
concreto verificarsi di comportamenti idonei ai fini
dell’interversione, come
ad esempio il pagamento
delle utenze
domestiche. Evidenziano in proposito l’inattendibilità
della
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teste Licenza laddove ha dichiarato che il relativo pagamento
avveniva a cura della società Donà snc, intestataria.
Ancora, la Corte avrebbe sottovalutato le ragioni della
mancata restituzione dell’immobile da parte del Rinaldo
Alessandro il quale invece era solito presentare la casa come di
sua proprietà: richiamano ancora una volta le deposizioni dei
testi Zampolla e Scalisi sulle affermazioni del Rinaldo in
ordine ai sui diritti sull’immobile.
Altro passaggio motivazionale criticato riguarda la
mancanza di richieste di rilascio in forma scritta: contestano
ricorrenti che il potere sulla
stato esercitato in
cosa sia
termini di mera detenzione e rimproverano alla Corte di merito
di non avere spiegato i motivi
per cui
una
tale
infondata
circostanza dovrebbe rendere irrilevante l’assenza di richieste
di restituzione in forma scritta e perché in mancanza di tale
richieste possano essere valorizzate le dichiarazioni dei due
testi citati dalla parte interessata. Inoltre, la Corte non
avrebbe spiegato adeguatamente le ragioni della concessa
attendibilità,
in
assenza di ipotetici ed infondati riscontri.
Col terzo e ultimo motivo si denuncia ancora il difetto e
l’insufficienza della motivazione sulla questione della asserita
proposta di locazione che i ricorrenti avrebbero formulato dopo
la morte del de cuius:
sottolineano
il contrasto tra le
deposizione dei testi di controparte Dona Caterina e Donà
Bianca.
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La natura del vizio denunciato nei tre motivi di ricorso
ne rende opportuno l’accorpamento e la trattazione unitaria.
I tre motivi sono tutti privi di fondamento.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a
sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione
conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue
che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento
del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio,
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ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a
base della decisione (v tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 77477
del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del
27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del
07/01/2014 Rv. 629382).
Ebbene, nel caso di specie, si è al di fuori di tale
ipotesi estrema. La Corte d’Appello, infatti, ha motivato
adeguatamente su tutte le questioni ad ossa devolute.
Innanzitutto ha chiarito subito la natura del rapporto
giuridico, precisando a chiare lettere che si trattava dapprima
di un comodato gratuito (concesso al dante causa dei ricorrenti
per i servigi resi ai proprietari), poi estinto a seguito dì
richiesta di restituzione e sfociato quindi in occupazione senza
titolo (v. pagg. 13 e 14).
Infatti,
ha
considerato
le
deposizioni
dei
testi
riportando i passaggi salienti che giustificavano, secondo il
proprio apprezzamento, la credibilità di quelli addotti dalla
società (anche perché contenevano affermazioni coincidenti con
alcune affermazioni del teste Scansi degli appellanti, sulla
concessione a titolo gratuito dell’immobile al de
cuius per
l’attività prestata verso i proprietari: v. pag. 14).
Al riguardo è bene rilevare – e ciò tronca a questo punto
ogni ulteriore discussione sul giudizio di attendibilità – che
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la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il
giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di
alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a
fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere
tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le
deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi
tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati
specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione
adottata (v. Sez. L, Sentenza n. 5231 del 09/04/2001 Rv_ 545751;
Sez. L, Sentenza n. 2008 del 12/03/L996 Rv. 496291; più di
recente, Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006 Rv. 589595;
Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010 Rv. 614797)
La
Corte
territoriale
inoltre
contrariamente a quanto affermato
si
è
in ricorso,
confrontata,
anche con le
deposizioni dei testi addetti dai Rinaldo sulle affermazioni del
de cuius (il quale
“diceva che la casa era sua”)
neutralizzandole in base al rilievo, del tutto plausibile, che
si trattava solo di
terzi,.” (v.
pag.
“personali sue opinioni manifestate
a
13). Tale argomento rende priva di rilievo la
critica sulla mancata menzione della deposizione della teste
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Zampolla che, come riporta lo stesso ricorso, avrebbe ripetuto
ancora una volta tali particolari del tutto marginali (anche
perché manca sempre l’elemento decisivo e cioè la precisazione
che queste
affermazioni venivano rivolte direttamente ai
legittimi proprietari), cosi come sono marginali gli altri
particolari, quali la notorietà del luogo di abitazione e la
mancata audizione di lamentele.
Sulrirrilevanzaldelwlè utenze la Corte di merito ha preso
posizione con un argomento del tutto coerente, rilevando che a
tali adempimento sono interessati gli occupanti e non chi
concede il bene ad altri.
Corretta
in diritto è poi la motivazione sull’esclusione
di validi atti di interversione nel possesso_
Il
comodato di un alloggio ad uso abitativo costituisce
detenzione, non quindi possesso
tanto del
“ad usucapionem”
in favore
comodatario, quanto dei familiari con lo stesso
conviventi, con la conseguenza che il comodatario che si opponga
alla richiesta di
risoluzione del comodato sostenendo di avere
usucapito il bene,
deve provare l’intervenuta interversione del
possesso e non solo il mero potere di fatto sull’immobile (Sez.
3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010 Rv. 613210; Sez. 3, Sentenza
n. 24222 del 27/11/2009 Rv. 61U407).
E ancora è stato affermata che l’interversione nel
possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di
volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione
IO
esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore
abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome
altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome
proprio, con correlata sostituzione al precedente “animus
deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in
maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto
dell’avvenuto mutamento e quindi tradursi in atti ai quali possa
riconoscersi il carattere di una concreta opposizione
all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono
inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle
pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata
costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi
di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in mori atti
di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi
di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla
materiale disponibilità del bene: v. Sez. 2, Sentenza n. 7337
del 20/05/2002 Rv. 554556; Sez. 2, Sentenza n. 12007 del
01/07/2004 Rv. 573965).
Ebbene,
la
Corte
applicazione di questi
territoriale
ha
fatto
principi laddove,
corretta
partendo
dall’originario rapporto di detenzione fondato sul comodato
gratuito, ha ritenuto provato che Alessandro Rinaldo non aveva
mai manifestato ai proprietari di voler tenere il bene come
proprio, ma si era limitato a non dare corso alle specifiche
detinendi” dell'”animus rem sibi habendi”; tale manifestazione
richieste di restituzione, come riferito dai testi (v. pag. 15).
E da tale comportamento – del tutto coerentemente ed in linea
con la citata giurisprudenza di legittimità – ha desunto solo un
inadempimento dell’obbligo restitutorio gravante per legge sul
comodatario.
richieste scritte di
La Corte ha motivato anche sulla non necessità di
rilascio (una volta iniziato il rapporto
come detenzione per gratuita con….-cessione)
ed
infine, come
ulteriore argomento per escludere l’interversione, ha citato la
proposta di locazione avanzata dai figli di Alessandro Rinaldo
di cui hanno parlato i testi Dona Caterina e Bianca, sulle cui
deposizioni, peraltro, non si rinviene alcun profilo di
contraddittorietà
perché tra il negare la disponibilità a
concludere un contratto di locazione (così Dona Bianca) e
la
proposta di concluderlo portando anche il danaro (Caterina) non
si rinviene alcun contrasto insanabile.
Le censure dei ricorrenti
pertanto non colgono nel segno,
perché da un lato tendono ad ottenere
una
alternativa
valutazione del contenuto delle testimonianze sulla idoneità del
potere esercitato sul bene immobile dai ricorrenti – e,
dal loro dante causa
prima,
ai fini dell’usucapione (Lipico
accertamento in fatto demandato al giudice di merito)
dall’altro, in palese
violazione
dei motivi (art. 366 n. 6 cpc)
del
principio
sollecitano
e
di specificità
alla Corte di
Cassazione ad un confronto tra le varie versioni dei fatti,
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evidenziando plurimi profili di contraddittorietà, senza però
produrre relativi verbali di udienza contenenti le
dichiarazioni (o quanto meno riportarle in ricorso per esteso),
non essendo possibile estrapolare unicamente singoli stralci
di attendibilita o contraddittorietà o l’individuazione di punti
di insanabile contrasto tra le rispettive versioni fornite dai
testi dei litiganti.
In conclusione il ricorso va integralmente rigettato
mentre va dichiarato inammissibile per difetto di interesse
quello incidentale (in ordine alla domanda di garanzia per
evizione proposta in primo grado e ribadita in appello), in
quanto espressamente condizionato all’accoglimento
di
quello
principale.
I ricorrenti, soccombenti anche in questa sede, vanno
condannati in via solidale al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello
incidentale condizionato; condanna
in
solido
ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio che liquida in C. 3.700,00,
di cui E. 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 16.2.2016.
ritenuti significativi dalla parte e pretendere una valutazione