Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8212 del 27/04/2020

Cassazione civile sez. I, 27/04/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 27/04/2020), n.8212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9293/2015 proposto da:

Banca Popolare Di Vicenza S.c.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Po 25/B, presso lo studio dell’avvocato Todaro Antonino, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sigillò Massara

Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.S., P.P., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Crescenzio 95, presso lo studio dell’avvocato Piccarozzi Sergio, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giusti Gilberto,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti incidentali –

e contro

Banca Popolare Di Vicenza S.c.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Po 25/B, presso lo studio dell’avvocato Todaro Antonino, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sigillò Massara

Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1683/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Banca Popolare di Vicenza scpa propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1683/2014, pubblicata il 16 ottobre 2014, con la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, è stata pronunciata la risoluzione per inadempimento della ricorrente del contratto di intermediazione finanziaria, concluso dai signori P.P. e G.S. con la banca il 18.9.2000, avente ad oggetto obbligazioni emesse dalla Stato dell’Argentina mentre, con riferimento al precedente contratto del 6.8.1997, avente il medesimo oggetto, la Corte ha ritenuto la scarsa importanza dell’inadempimento ed ha pertanto respinto la domanda di risoluzione.

I signori P. e G. resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, cui la Banca popolare di Vicenza resiste con controricorso.

In prossimità dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23, nonchè degli artt. 1453 e 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la statuizione della Corte territoriale che ha ritenuto ravvisabile l’inadempimento da parte della banca degli obblighi di informazione di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, deducendo che la banca aveva correttamente adempiuto ai relativi obblighi atteso che:

– aveva perfezionato per iscritto il c.d. master agreement a tempo indeterminato, contenente il programma, le condizioni, l’avvertimento sui rischi, in conformità al disposto del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23;

– aveva invitato i clienti a fornire tutte le informazioni sulla loro posizione finanziaria ed obiettivi di investimento, ottenendone esplicito rifiuto;

– aveva fornito tutte le possibili informazioni possibili, al momento in cui era stato impartito l’ordine su data di emissione, caratteristiche, ammontare e scadenza cedole e soprattutto su elevato rendimento e connessa elevata rischiosità delle obbligazioni;

– aveva puntualmente eseguito l’ordine ricevuto il 6 agosto 1997, che aveva dato luogo ad elevati rendimenti, ed aveva altresì ottemperato al successivo ordine del 18 settembre 2000, ritenendolo adeguato, avuto riguardo alla posizione professionale e presumibili conoscenze degli investitori, nonchè alla situazione del mercato quale risultava da organi di stampa e di settore.

I titoli erano da essi conosciuti, erano stati valutati positivamente dai mercati ed erano stati ritenuti di prospettiva “stabile” e la banca non aveva consegnato il prospetto informativo perchè, alla stregua delle direttive Consob, non ne esisteva l’obbligo, non ricorrendo alcuna forma di sollecitazione al pubblico.

La banca infine aveva ottemperato all’obbligo di informarsi e di informare sulla base delle notizie disponibili al momento della sottoscrizione, posto che, trattandosi di titoli emessi da un’organizzazione statale e non da un’impresa privata sconosciuta al grande pubblico erano note attraverso i giornali e fonti largamente diffuse e facilmente accessibili.

Ad avviso della ricorrente, inoltre, i clienti non avevano fornito la prova del nesso causale tra asserito inadempimento della banca ed il danno, sussistendo diversi elementi di fatto, di per sè idonei a produrre il danno e che escludevano la gravità dell’inadempimento, quali la condizione degli attori ed in particolare della P. dipendente di banca e dell’esperienza maturata in occasione dell’operazione del 1997, avente ad oggetto i medesimi titoli e nella scarsa rilevanza attribuita dagli investitori alle indiscrezioni progressivamente affermatisi.

Tali elementi dimostravano che gli attori avevano voluto concludere consapevolmente pure il secondo investimento e che l’asserito inadempimento, ove pure ravvisabile, non aveva determinato alcun effetto risolutorio.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha ritenuto, con prudente apprezzamento, l’inadeguatezza delle informazioni rese dalla banca ai clienti in relazione ad ambedue gli ordini di acquisto di obbligazioni argentine oggetto del presente giudizio.

In particolare il giudice di appello ha rilevato che non era stato evidenziato il c.d. “Rischio paese” (l’emittente era infatti un paese emergente), il rischio implicito nell’elevato tasso di rendimento ed inoltre che un’informazione completa non poteva prescindere dalla comunicazione del rating delle principali agenzie.

Da ciò la violazione degli obblighi di informazione a carico dell’intermediario.

La Corte di merito ha inoltre escluso che la condizione personale dell’attrice, la quale era dipendente di banca, ma che non risultava specificamente addetta al settore titoli o che avesse una specifica esperienza in materia, fosse idonea ad escludere il nesso causale tra inadempimento e danno e la gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c..

La statuizione è conforme a diritto.

La carenza informativa, affermata dalla Corte territoriale è senz’altro ravvisabile nel caso di specie ed integra la violazione del corrispondente obbligo a carico dell’intermediario, previsto dagli artt. 21 e segg. del TUF.

Tali disposizioni disciplinano “i contratti relativi alle prestazioni di servizi di investimento” dettando regole particolari che integrano e talvolta derogano alla disciplina codicistica, imponendo particolari doveri di diligenza da parte degli intermediari professionali a tutela dei risparmiatori.

L’art. 21 TUF in particolare stabilisce che:

“Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono:

a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati;

b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti ed operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.

Al fine di dare concretezza ai principi suddetti il Regolamento di Attuazione concernente la disciplina degli intermediari (adottato dalla Consob con Delib. 1 luglio 1998, n. 11522 e successive modifiche) ha precisato, quanto ai doveri di informazione (art. 28 Reg. Consob) che gli intermediari autorizzati:

-a) devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonchè circa la sua propensione al rischio.

L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore.

-b) gli intermediari autorizzati inoltre non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

L’art. 29 Reg. Consob strettamente correlato ai doveri previsti dall’art. 28 del medesimo Regolamento stabilisce che gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare, con o per conto degli investitori, operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione ed a tal fine tengono conto delle informazioni di cui al citato art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati.

Gli intermediari autorizzati, inoltre, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad un’operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione.

Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto… in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

L’art. 23, comma 6, del TUF, inoltre, prevede un’inversione dell’onere della prova in favore del cliente stabilendo che “nei giudizi di risarcimento danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.

Questo è dunque il quadro normativo di riferimento della fattispecie negoziale in esame.

Nel presente giudizio risarcitorio la banca resistente aveva quindi l’onere di provare:

a) di aver adeguatamente informato i clienti sulla natura, i rischi e

le implicazioni della specifica operazione o del servizio;

b) l’adeguatezza dell’operazione rispetto ad esperienza, obiettivi di

investimento, situazione finanziaria e propensione al rischio del cliente.

Dovere primario della banca ai sensi dell’art. 28 Reg. Conosb è quello di informare adeguatamente il cliente sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento.

Tale dovere, correlato al generale dovere posto dall’art. 21, lett. d) di “disporre di risorse e procedure… idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”, non risulta nel caso di specie assolto.

In particolare, non risulta essere stato indicato il rating del titolo, dato che costituisce elemento basilare di ogni investimento in prodotti finanziari.

Non risulta, inoltre, che la banca abbia provato, ai sensi dell’art. 23, comma 6, TUF, l’adeguatezza dell’operazione rispetto alla particolare situazione del cliente, a fronte di titoli pacificamente appartenenti alla categoria speculativa, nè che la stessa abbia acquisito la dichiarazione dei clienti di essere stati compiutamente informati circa la suddetta inadeguatezza ed aver voluto, nonostante ciò, concludere egualmente l’operazione, ai sensi dell’art. 29, comma 3, Reg. Consob 11522 del 1998.

Appare al riguardo del tutto irrilevante il fatto che uno dei clienti fosse dipendente di banca, posto che tale qualifica non implica una particolare conoscenza del mercato e dei prodotti finanziari, nè l’esperienza dei clienti poteva fondarsi sul pregresso acquisto del medesimo titolo nell’anno 1997.

Quanto al nesso causale, si osserva che, come questa Corte ha già affermato, “L’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mentre l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze derivanti dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata. (Cass. n. 9985 del 10/04/2019). Nè, a fronte dell’acclarato inadempimento della banca ai propri obblighi informativi, certamente determinanti in ordine alla formazione del consenso del cliente, risulta provato l’intervento di fattori causali esterni, autonomamente idonei a determinare l’evento dannoso.

L’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mentre l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze derivanti dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata (Cass. 9985 del 2019).

Passando al ricorso incidentale proposto dai signori P. e G., con l’unico motivo si denuncia la violazione di legge in relazione alla statuizione della sentenza impugnata che, pur rilevando l’inadempimento, da parte della banca, degli obblighi informativi, sia in relazione all’operazione del 1997 che a quella del 2000, con specifico riferimento all’acquisto dei bond argentini del 1997 ha affermato la mancanza di gravità dell’inadempimento ed ha conseguentemente escluso la risoluzione ex art. 1455 c.c.,

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha infatti escluso la gravità dell’inadempimento sulla base di un elemento che non appare decisivo, nè rilevante: non può invero farsi discendere dal successivo acquisto delle obbligazioni argentine, avvenute diversi anni dopo la prima operazione, la mancanza di gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c., in relazione al primo negozio, a fronte della accertata violazione, condivisa da questa Corte, degli obblighi di informazione e di valutazione di adeguatezza dell’operazione rispetto al profilo ed agli obiettivi degli investitori.

Premesso che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte la gravità dell’inadempimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c., va commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto (Cass. 4022 del 2018), non può inferirsi la non scarsa importanza dell’inadempimento dell’intermediario dal solo fatto che il cliente abbia nuovamente acquistato obbligazioni argentine a distanza di alcuni anni.

Ed invero il fatto che alla data del 1997 le indiscrezioni sul possibile default dell’Argentina non fossero ancora diffuse non attenua la violazione del dovere di informazione in capo alla banca che ha, in ogni caso, omesso di dare un’informazione completa sul prodotto finanziario e di valutarne l’adeguatezza rispetto al profilo dei clienti.

La successiva condotta dei clienti non appare dunque in alcun modo idonea ad incidere retrospettivamente sulla valutazione del comportamento tenuto dalla banca e sulla gravità del suo pacifico inadempimento.

In conclusione, respinto il ricorso principale, va accolto il ricorso incidentale e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale.

Accoglie il ricorso incidentale e per l’effetto cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2020

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