Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8206 del 27/04/2020

Cassazione civile sez. I, 27/04/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 27/04/2020), n.8206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34223/2018 proposto da:

S.H., elettivamente domiciliato in Fermo, via della Carriera

n. 109, presso lo studio dell’avv. L. Petracci, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1097/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 da Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da S. alias S.H., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del tribunale di Ancona che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di aver subito minacce di morte da membri del proprio villaggio per questioni connesse a terreni ereditati dal padre. In particolare, una compagnia petrolifera aveva chiesto il diritto di estrazione su detti terreni dietro corresponsione di indennizzi in parte da corrispondersi al proprietario, in parte, alla comunità del villaggio. Quest’ultima aveva ritenuto tuttavia, troppo basse le somme proposte e cerca cha di impedire (con minacce di morte) che il richiedente subentrasse (in via ereditaria) al padre ucciso, proprio in relazione a tale contenzioso proposto da membri del villaggio.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6 e art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1-bis e art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte d’appello aveva erroneamente inquadrato la vicenda nell’ambito di una questione di violenza privata in alcun modo ricollegabile a motivi di persecuzione o di violenza ricomprese nel perimetro della protezione internazionale, senza verificare se il richiedente avesse effettivamente la possibilità di rivolgersi alle forze di polizia; (ii) sotto un secondo profilo, per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla endemica situazione di violenza interna e sul mancato contrasto alla diffusione di metodi violenti da parte degli organi statuali; (iii) sotto un terzo profilo, per vizio di motivazione nonchè per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Il primo motivo è inammissibile, perchè propone censure di merito -in termini di mero dissenso – relativamente all’accertamento della situazione della Nigeria, condotto dalla Corte d’appello, sulla base di autorevoli fonti informative (EASO 2017), come richiesto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (Cass. n. 111101/19).

Il secondo motivo, in disparte il profilo di violazione di cui all’art. 348 ter c.p.c., che non consente di dedurre il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in presenza di una doppia decisione conforme sugli stessi fatti, è, comunque, inammissibile, in quanto, propone censure di merito sulla valutazione del materiale istruttorio non consentite nel giudizio di legittimità (Cass. ord. n. 27000/16, 11892/16), nè sono stati riportati i fatti dedotti nei precedenti gradi (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), la cui valutazione sarebbe stata omessa.

Il terzo motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, non rientrando la vicenda narrata nel perimetro normativo del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 18,19 e 20.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2020

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