Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8203 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 24/03/2021), n.8203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17078/2013 R.G. proposto da:

Società Warner Bros Entertainment Italia s.p.a., con sede in Roma,

via Giacomo Puccini 6, anche in qualità di incorporante della

società Warner Village Cinemas s.r.l. (già s.p.a.), in persona del

legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Claudio

Giordano, con domicilio eletto a Roma presso lo studio tributario

Celli del prof. Dott. Roberto Celli, in Roma, via Michele Mercati,

n. 51, giusta procura speciale ed elezione di domicilio in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro-tempore;

– resistente –

Avverso la sentenza n. 91/28/12 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 21/05/2012 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In data 15/04/2008, la società Warner Village Cinemas s.r.l. (già s.p.a. e successivamente incorporata nella ricorrente Warner Bros Entertainment Italia s.p.a. con atto di fusione perfezionato il 29/11/2011) presentò due istanze di rimborso di eccedenze Irap, relative ai periodi di imposta 2005 e 2006, versate per effetto dell’erronea inclusione, nella base imponibile Irap, del credito d’imposta per l’esercizio di sale cinematografiche fruito in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 60 del 1999, art. 20, e del D.I. n. 310 del 2000, art. 1, le quali esitarono nel silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria. La C.T.P. di Roma, adita dalla contribuente con due distinti ricorsi, accolse le domande, previamente riunite, e condannò l’Amministrazione finanziaria al rimborso delle somme richieste, oltre a interessi, e alle spese del giudizio. Proposto appello dall’Amministrazione finanziaria, la C.T.R. del Lazio, con la sentenza n. 91/28/12, accolse l’appello, sostenendo che, alla luce di quanto stabilito dal D.I. n. 310 del 2000, art. 1, e del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 20, il credito in questione, qualificato come cinematografico, non fosse rimborsabile se non usufruito in dichiarazione o compensato o riportato in eccedenza e utilizzato entro i periodo di imposta successivi, non oltre il quarto, e che, al fine di ottenere la fruizione del beneficio, fosse necessario presentare il registro dei corrispettivi e delle fatture emesse, onere questo non adempiuto dalla società.

2. Avverso questa sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha presentato memoria al solo fine eventualmente di partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 20, del D.I. 22 settembre 2000, n. 310, art. 1, dell’art. 115 c.p.c., e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. qualificato il diritto al rimborso come credito di imposta cinematografico, ritenendolo non dovuto sia in ragione della non rimborsabilità dello stesso se non usufruito in dichiarazione o compensato o riportato in eccedenza e utilizzato entro i periodi di imposta successivi non oltre il quarto, sia in ragione della mancata presentazione del registro Iva dei corrispettivi e delle fatture emesse, non adempiendo così una condizione richiesta dalla legge per la fruizione del credito di imposta cinematografico. Ad avviso della contribuente, invece, il rimborso richiesto non costituiva affatto un credito di imposta cinematografico (o un’eccedenza non utilizzata di tale credito), ma un’eccedenza Irap erroneamente versata per effetto dell’erronea inclusione del credito cinematografico nella base imponibile Irap, rispetto alla quale aveva fornito la prova, producendo i modelli Irap e i prospetti di rideterminazione della base imponibile, di non avere dedotto ai fini Irap (e quindi di avere tassato) crediti di imposta cinematografici negli esercizi di riferimento, come non contestato dall’Ufficio, sicchè il problema non era tanto quello della non rimborsabilità del credito cinematografico, quanto della non concorrenza dello stesso alla determinazione del reddito imponibile. Inoltre, il giudice di merito aveva ritenuto di applicare la parte del D.Lgs. n. 60 del 1999, art. 20, comma 1, e quella del D.I. n. 310 del 2000, art. 1, che sostanzialmente stabiliscono la non rimborsabilità del credito, mentre avrebbe dovuto applicare la parte del citato art. 20, comma 1, e dell’art. 1, comma 1, che riconoscono agli esercenti sale cinematografiche un credito di imposta in sostituzione di abbuoni previsti ai fini del versamento dell’imposta sugli spettacoli che non concorre alla determinazione del reddito imponibile. Infine, i giudici di merito avevano violato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in tema di rimborso di versamenti diretti, essendo le eccedenze Irap rimborsabili.

2. Col secondo motivo, si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di argomentare sulla domanda di rimborso del credito Irap, avendo motivato soltanto sulla richiesta di rimborso di credito cinematografico, e di considerare i rilievi difensivi proposti in ordine alla natura di eccedenza del versamento Irap del credito chiesto a rimborso e alle cause di questa eccedenza (ossia la mancata deduzione di somme che per espressa disposizione legislativa non concorrono al formare il reddito imponibile), nonchè alla deducibilità del credito cinematografico dalla base imponibile Irap anche per effetto del principio di derivazione della base imponibile Irap da quella Ires, e per avere reso una motivazione contraddittoria tra premesse e conclusioni, avendo correttamente qualificato la domanda e avere poi negato il rimborso sulla base della non rimborsabilità del credito cinematografico.

3. I due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono infondati, sebbene la motivazione debba essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

La C.T.R., invero, rigetta la domanda proposta dal contribuente inquadrando correttamente la questione del meccanismo di operatività dei crediti c.d. cinematografici, della loro natura di beneficio e della imprescindibilità, per la loro fruizione, della presentazione del registro dei corrispettivi e delle fatture emesse, la cui omessa esibizione in giudizio, non contestata dalla parte, avrebbe comunque inibito una pronuncia di accoglimento, non potendosi evidentemente scomputare dal reddito voci sulla cui sussistenza e sul cui importo non vi sia evidenza documentale nei termini e secondo modalità espressamente individuate dal legislatore.

Va però detto che le argomentazioni contenute in sentenza non sono esattamente riconducibili alla disciplina dei rapporti Ires e Irap e al relativo quadro di riferimento e ciò impone di evidenziarne gli aspetti rilevanti ai fini della soluzione della questione oggi proposta.

Orbene, il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 20, in vigore dal 1/01/2000 e fino al 01/01/2017 e soppresso dalla L. 14 novembre 2016, n. 220, art. 39, a decorrere da quest’ultima data, recante “Istituzione dell’imposta sugli intrattenimenti, in attuazione della L. 3 agosto 1998, n. 288, nonchè modifiche alla disciplina dell’imposta sugli spettacoli di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativamente al settore dello spettacolo, degli intrattenimenti e dei giochi”, stabiliva in particolare che “Agli esercenti sale cinematografiche è riconosciuto un credito d’imposta in sostituzione degli abbuoni previsti ai fini del versamento dell’imposta sugli spettacoli che non concorre alla formazione del reddito imponibile e può essere compensato ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17” (comma 1) e che “con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con i Ministri del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica e per i Beni e le attività culturali, sono determinati l’ammontare del credito, le condizioni ed i criteri per la sua concessione, nonchè le modalità dei controlli” (comma 2).

In attuazione di quest’ultima disposizione fu emesso il D.I. 22 settembre 2000, n. 310, divenuto inefficace a decorrere dal 1/01/2018 ai sensi del D.I. 15 marzo 2018, art. 34, il cui art. 1, stabiliva che “Agli esercenti sale cinematografiche spetta, in sostituzione degli abbuoni previsti ai fini dell’imposta sugli spettacoli, ai sensi del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 20, un credito d’imposta che non concorre alla formazione del reddito imponibile e che può essere detratto in sede di liquidazioni e versamenti dell’imposta sul valore aggiunto o compensato ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, previa annotazione del relativo ammontare nel registro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 23 o art. 24” (comma 1).

Il credito di imposta di cui all’art. 60, era commisurato ai corrispettivi del periodo di imposta di riferimento (al netto dell’Iva) risultanti dalle annotazioni nel relativo registro, in percentuali variabili in base al tipo di programmazione effettuata e alla categoria di appartenenza, e poteva essere detratto in sede di liquidazione di versamento dell’Iva o compensato, previa annotazione del suo ammontare nei registri di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 23 e 24, ossia nei registri delle fatture e dei corrispettivi, essendo a ciò subordinato, oltrechè all’effettiva esecuzione dello spettacolo cinematografico, all’emissione del titolo di accesso mediante misuratori fiscali o al rilascio dello scontrino fiscale manuale o prestampato o della ricevuta fiscale (vedi sul punto anche risposta ad interpello del 23 ottobre 2018, n. 47, dell’Agenzia delle Entrate).

Il D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, recante “Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni” stabilisce infine al comma 2, lett. h-quater, introdotto dal citato D.Lgs. n. 60 del 1999, art. 20, che il versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti del medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate, riguardano i crediti e i debiti relativi, tra gli altri, al credito d’imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche.

Tale disposizione è stata soppressa, come si diceva, dalla L. 14 novembre 2016, n. 220, art. 39, che ha rimodulato l’intera disciplina dei crediti di imposta nel settore cinematografico e audiovisivo, prevedendo, con specifico riguardo all’esercizio cinematografico, incentivi fiscali sotto forma di crediti di imposta, sia in caso di realizzazione di nuove sale, ripristino di sale inattive, ristrutturazione e adeguamento strutturale e tecnologico delle sale cinematografiche, installazione, ristrutturazione, rinnovo di impianti, apparecchiature, arredi e servizi accessori delle sale (art. 17 per crediti da investimento), sia in caso di potenziamento dell’offerta cinematografica specie di opere audiovisive italiane ed Europee (art. 18 per credito da programmazione).

3.1 Orbene, i crediti c.d. cinematografici di cui al D.Lgs. n. 60 del 1999, art. 20, c.d. tax credit per gli esercenti sale cinematografiche, così come la loro evoluzione contenuta nella L. n. 220 del 2016, in quanto funzionali a sostenere un settore, quello cinematografico, reputato di rilievo sociale e dunque pubblico, costituiscono una forma di sovvenzione statale indiretta, che una parte della dottrina ha definito non a caso “autoliquidata”, e rientrano perciò nella categoria delle agevolazioni fiscali (sono stati definiti infatti crediti di imposta agevolativi), sebbene si distinguano dagli istituti tradizionali (quali le deduzioni dall’imponibile o la riduzione delle aliquote o le esenzioni) in quanto non accedono ad uno specifico tributo, ma operano secondo meccanismi di maggiore autonomia rispetto ai tributi su cui vanno poi ad incidere.

La sovvenzione in esame, al pari di altre analoghe fattispecie come quelle previste dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, artt. 7 e 8, che attribuiscono crediti di imposta rispettivamente in favore dei datori di lavoro per assunzioni a sostegno dell’occupazione e ai titolari di reddito di impresa che effettuino investimenti in aree territoriali individuate dalla Commissione delle Comunità Europee, si caratterizzano invero per l’assenza dell’intervento della Pubblica Amministrazione nella fase dell’erogazione del contributo, essendo il credito di imposta liquidato sostanzialmente dal medesimo contribuente sulla base di un meccanismo determinato direttamente e astrattamente, per via legislativa, in favore di un’attività svolta in via continuativa (come avviene ad esempio per l’attività di trasporto locale), al fine di sostenerne l’equilibrio aziendale.

3.2 Qualificati in questi termini i crediti c.d. cinematografici, deve ora verificarsi se gli stessi debbano o meno essere inclusi nella base imponibile ai fini Irap, ciò al fine di stabilire se sussista il diritto al rimborso dell’eccedenza corrisposta dalla contribuente a tale titolo.

A questo proposito si osserva come il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), prevedeva all’art. 11, lett. a), nella formulazione originaria, che “i componenti positivi e negativi si assumono in conformità delle norme del testo unico delle imposte sui redditi”, in tal modo sancendo la non assoggettabilità ad IRAP dei contributi quando esclusi dall’imposta sui redditi.

Con la modifica introdotta con il del D.Lgs. 10 giugno 1999, n. 176, art. 1, comma 1, lett. b), n. 2, è stato invece stabilito che alla formazione della base imponibile concorrano in ogni caso “i contributi erogati in base a norma di legge, con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione”, mentre con il D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 506, art. 1, comma 1, lett. h), in vigore dal 15/01/2000, l’originario art. 11, è stato scisso nell’art. 11, interamente riformulato e comprensivo, al comma 3, della disposizione riguardante i contributi, e nell’art. 11 bis. Quest’ultima disposizione ha confermato, nella prima parte, la regola generale di corrispondenza tra Irap e imposte dirette, stabilendo che i proventi e gli oneri ai fini Irap si determinano apportando ad essi le variazioni, in aumento o in diminuzione, previste relativamente alle imposte dirette, ma ha introdotto, nella seconda parte, una serie di deroghe, disponendo che “non si applicano le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, artt. 58, 63, e art. 75, comma 5, seconda parte, e art. 5 bis, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 17, comma 4”, norma questa rimasta peraltro nella sostanza immutata, se non con riguardo a testo e numerazione dei richiami al D.P.R. n. 907 del 1986, fino alla data della sua abrogazione, avvenuta con la L. 24 dicembre 2007, n. 244.

Ed è a questa disposizione che occorre rifarsi per la verifica della legittimità della richiesta di rimborso effettuata dalla società contribuente e, in particolare, al richiamo, contenuto nell’art. 11 bis, all’art. 58 Tuir (ora artt. 56 e 91), recante “Proventi non computabili nella determinazione del reddito”, che, con riguardo al reddito d’impresa e alla determinazione della base imponibile delle società ed enti commerciali residenti, prevede che non concorrono alla formazione del reddito: a) i proventi dei cespiti che fruiscono di esenzione dall’imposta; b) i proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva; c) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche; d) le plusvalenze, indennità e gli altri redditi indicati all’art. 17, comma 1, lett. da g) a n), quando ne è richiesta la tassazione separata a norma dello stesso art., comma 2.

Per effetto della deroga introdotta, può dunque dirsi che tali proventi agevolativi, pur esclusi dal computo del reddito imponibile rilevante per le imposte dirette, concorrono alla determinazione del valore della produzione netta ai fini IRAP, non operando per essi il parallelismo tra Irap e imposte dei redditi.

3.3. Orbene, questa Corte, pur non essendosi mai pronunciata sulla questione dei crediti c.d. cinematografici, ha già avuto modo di applicare la disposizione appena esaminata a situazioni analoghe perchè riguardanti l’imponibilità ai fini Irap di proventi agevolativi, sostenendo che questi, ancorchè esenti ai fini della formazione del reddito imponibile per le imposte dirette, devono comunque essere inclusi nella determinazione del valore della produzione netta ai fini Irap, ad eccezione di quelli la cui erogazione sia correlata, per espressa previsione normativa, a un componente negativo indeducibile (come ad esempio le spese per il personale, agli effetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3), senza che l’indicazione normativa possa essere surrogata dal fatto che un determinato costo indeducibile sia astrattamente considerato dalla legge come costo economico standard nella formula di determinazione dell’ammontare dei contributi, e fatte salve comunque diverse disposizioni delle leggi istitutive dei singoli contributi o altre disposizioni di carattere speciale.

Ciò è accaduto, ad esempio, con riguardo ai proventi delle fondazioni musicali, percepiti in conformità agli scopi istituzionali D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 367, ex art. 25, soggetti ad esenzione d’imposta e ritenuti riconducibili tra quelli previsti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 58 (Cass., Sez. 5, 21/05/2014, n. 11148), o in tema di contributi, esenti dalle imposte dirette, erogati alle aziende di trasporto per il servizio pubblico locale al fine di ripianare i disavanzi di esercizio (vedi Cass., Sez. 5, 12/11/2019, n. 29192, sui contributi regionali erogati all’Azienda Siciliana Trasporti s.p.a. in base alla L.R. Sicilia n. 68 del 1983, ed alla L.R. Sicilia n. 46 del 1997; Cass., Sez. U., 14/10/2009, n. 21749, con riguardo all’inclusione di tali contributi nel calcolo dell’imponibile ai fini Irap anche se erogati in epoca anteriore al 31 dicembre 2002, data di entrata in vigore del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 3, comma 2-quinques, introdotto dalla L. di conversione 22 novembre 2002, n. 265; Cass., Sez. 5, 22/03/2019, n. 8179, sui contributi erogati alle aziende di trasporto pubblico locale ai sensi del D.L. n. 355 del 2003, art. 23, comma 1, conv. con modif. in L. n. 47 del 2004), o in caso di contributi erogati alle aziende territoriali per l’edilizia residenziale (Cass., Sez. 5, 17/05/2019, n. 13362).

Questo orientamento trova, peraltro, sostegno nella considerazione secondo cui un ampliamento della portata applicativa delle norme agevolative, aventi peraltro pacificamente natura di stretta interpretazione (per tutte, Cass., Sez. 6 – 5, 09/10/2020, n. 21873; Cass., Sez. 5, 12/12/2019, 32635; Cass., Sez. 5, 29/11/2019, n. 31333), trasformerebbe l’erogazione in un non consentito aiuto di Stato, in contrasto con il Trattato CE, artt. 87 e ss., stante il vantaggio economico che l’estensione dell’agevolazione realizzerebbe a favore di un circoscritto numero di imprese, con conseguente alterazione del regime di concorrenza (in tal senso, Cass., Sez. 5, 22/03/2019, n. 8179; Cass., Sez. 5, 17/05/2019, n. 13362).

3.4 Orbene, tali considerazioni valgono senz’altro anche con riguardo al credito di imposta riconosciuto agli esercenti sale cinematografiche in sostituzione degli abbuoni previsti ai fini del versamento dell’imposta sugli spettacoli di cui al D.Lgs. n. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 20, il quale, non concorrendo alla formazione del reddito imponibile e derogando al regime ordinario di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 85, rientra nell’attuale art. 91 TUIR, comma 1, lett. a) (già art. 58), riguardante i proventi dei cespiti che fruiscono di esenzione dall’imposta, dal cui ambito applicativo è esclusa l’Irap, sia in assenza di diversa determinazione normativa (nulla è detto in proposito nel ridetto art. 20), sia della correlazione dello stesso a componenti negativi non ammessi in deduzione, unico caso in cui il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, consente l’esclusione dei contributi erogati a norma di legge dalla determinazione della base imponibile ai fini Irap, che altrimenti vi concorrerebbero.

Tale conclusione trova del resto indiretta conferma nella stessa L. 14 novembre 2016, n. 220, che ha soppresso il D.Lgs. n. 60 del 1999, art. 20, come detto sopra, introducendo a sua volta, agli artt. 17 e 18, rispettivamente il credito d’imposta per le imprese dell’esercizio cinematografico per le industrie tecniche e di post-produzione e il credito d’imposta per il potenziamento dell’offerta cinematografica, la quale ha ribadito, all’art. 21, comma 2, che i crediti di imposta non concorrono alla formazione del reddito, precisando però, rispetto alla precedente disposizione, che ciò vale tanto ai fini delle imposte dei redditi, quanto con riguardo al valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, sancendone l’irrilevanza ai fini del rapporto di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 96 e art. 109, comma 5, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. E ciò in sintonia proprio con i principi sopra espressi, ove si consideri che la nuova disposizione, citato art. 17, nell’indicare la misura dei crediti riconosciuti, ne ancora l’indice percentuale alle spese sostenute per la realizzazione delle opere in essi descritte.

Pertanto, considerato che i crediti c.d. cinematografici di cui al D.Lgs. n. 60 del 1999, stante la loro natura agevolativa, devono comunque essere conteggiati nella determinazione della base imponibile ai fini Irap, in assenza di diversa determinazione legislativa e di correlazione tra essi e i costi non deducibili sostenuti, ancorchè non concorrano alla determinazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi, deve escludersi che il contribuente abbia diritto al rimborso dell’eccedenza Irap richiesto, essendo stati i predetti correttamente inseriti nella relativa base imponibile.

Ne consegue l’infondatezza del motivo.

4. In definitiva, ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato. Nulla deve invece disporsi sulle spese, non avendo l’Agenzia delle Entrate spiegato difesa.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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