Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8203 del 06/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 06/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 06/04/2010), n.8203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31027-2006 proposto da:

GRUPPO TORINESE TRASPORTI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO,

rappresentata e difesa dagli avvocati GUASCO MARCO, PACCHIANA

PARRAVICINI AGOSTINO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONETTO SERGIO, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 947/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 25/05/2006 R.G.N. 2775/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato SIMONE CICCOTTI per delega VESCI GERARDO;

l’Avv. VACIRCA Sergio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI COSTANTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Gruppo Torinese trasporti spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 25 maggio 2006, che, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso del dipendente della ricorrente indicato in epigrafe e ha dichiarato che questi “ha diritto al computo come lavoro effettivo della metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto”. Il ricorso per cassazione è articolato in sei motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso.

Con il. primo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., nonchè vizio di motivazione sul punto. Con il relativo quesito si chiede alla Corte di verificare “se vi è interesse ad agire nella domanda del ricorrente a vedersi computata, ai sensi del R.D. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17, lett. c), nel tempo di lavoro effettivo, la metà del tempo impiegato per recarsi senza prestare servizio in viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio, o fare ritorno a servizio compiuto, quando il fatto estraneo determinante l’addotta incertezza si sarebbe verificato dopo la proposizione del ricorso per effetto delle difese svolte dal convenuto; in caso positivo, accertarsi se possa ravvisarsi la sussistenza del pregiudizio concreto ed attuale, inteso come presupposto dell’interesse ad agire, quando dalle eccezioni mosse dal convenuto e dal giudice qualificate come fatto estraneo risulti l’insussistenza di qualsiasi pregiudizio concreto ed attuale del ricorrente”.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, e D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 1 e 19 e R.D. 2328 del 1923, art. 17, lett. c). Vizio di motivazione. La tesi, disattesa dalla Corte e ribadita in questa sede, è che le norme del D.Lgs. n. 66 del 2003 avrebbero abrogato il R.D. del 1923, art. 17, contenendo una difforme definizione di tempo di lavoro effettivo e che, pertanto, l’art. 17 non sarebbe più vigente.

Con il terzo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 19 e del R.D. del 1923, art. 17. Si chiede che la Corte dichiari “se ai sensi dell’alt. 19 il confronto di compatibilità deve essere fatto tra le disposizioni contenute nel regio decreto legge del 19 ottobre 1923 e le disposizioni del presente decreto” (Così il quesito a pag. 21).

Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 12 preleggi, e del R.D. del 1923, art. 17, nonchè vizio di motivazione sul punto, per aver la Corte di merito inquadrato la fattispecie in esame nel concetto di “viaggio comandato”.

Il quinto motivo denunzia ancora la violazione dell’art. 12 preleggi, e del R.D. del 1923, art. 17, lett. c), nonchè vizio di motivazione sul punto. Il quesito di diritto è così formulato “accerti se l’interpretazione anche estensiva dell’art. 17, lett. c) e l’applicazione di tale norma al tragitto eventualmente percorso dal dipendente indipendentemente dall’uso di un mezzo proprio e dall’orario di svolgimento della prestazione comporti violazione delle norme su indicate”.

Il sesto motivo denunzia la violazione del R.D. n. 2328 del 1923, art. 17, lett. c) e d), riproponendo la tesi subordinata per cui, nel tempo di viaggio di cui alla lett. c), non poteva in ogni caso essere computato il “tempo di attesa” dei mezzi di trasporto, che rientra, semmai nella lett. d).

Tutti i motivi di ricorso sono infondati, per le ragioni già più volte esposte in numerose sentenze di questa Corte a cominciare da Cass., Sez. Lav., 20 febbraio 2006, n. 3575 e Cass., Sez. Lav., 21 febbraio 2008, n. 4496.

Alla luce di tali sentenze, deve sottolinearsi, con riferimento al primo motivo, che, l’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti (v., per tutte, Cass. 26 luglio 2006 n. 17026).

Contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, peraltro, l’incertezza in ordine ad una situazione giuridica può anche non preesistere al processo, bastando che in questo il convenuto contesti la pretesa dell’attore; questa può consistere, in materia di lavoro subordinato, in un’azione di accertamento diretta all’esatta determinazione dei compensi spettanti anche se il lavoratore non chieda alcuna condanna a carico del datore di lavoro (Cass. 17 febbraio 1998 n. 1675; v. anche Cass. 25 giugno 2004 n. 11870).

Correttamente, quindi, il giudice del merito ha ravvisato l’esistenza di una concreta situazione di incertezza in relazione alla contestazione in giudizio da parte della società del diritto al compenso dei tempi di viaggio in questione (indipendentemente dalla valutazione del dato di precedenti richieste del lavoratore, non accolte dalla società). Le considerazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine ai limiti dell’oggetto della domanda di accertamento rilevano appunto al fine di escludere la necessità di una lesione attuale del diritto azionato. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.

La parte sostiene che la nozione di orario di lavoro, posta dal testo normativo del 2003 appare incompatibile con quella risultante dalla norma precedente, in quanto richiede che il dipendente sia al lavoro e a disposizione del datore di lavoro. L’assunto, come si è già detto nelle sentenze prima richiamante, non può essere condiviso, perchè la disposizione del R.D.L. del 1923 non presuppone una nozione di orario di lavoro diversa da quella dettata dalla norma del D.Lgs. del 2003, nè considera compresi nell’orario normale i tempi di viaggio ivi contemplati, ma stabilisce che la metà del tempo impiegato nei “viaggi comandati” “si computa come lavoro effettivo”, equiparandolo quindi ad esso in base ad una regola speciale. Il quarto motivo concerne specificamente la figura del “viaggio comandato”. Il motivo appare infondato, alla luce dei principi enunciati da questa Corte in ordine alla interpretazione della norma del R.D.L. n. 2328 del 1923, art. 17, lett. c). Con sentenza n. 15821 del 15 dicembre 2000 si è affermato che per “viaggio comandato” si intende ogni trasferimento inevitabile per l’organizzazione del turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia con mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di spesa a carico del lavoratore.

Con la sentenza n. 3575 del 20 febbraio 2006, già richiamata, decidendo su una controversia del tutto analoga promossa nei confronti della stessa azienda, si è precisato che il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore ma, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale (restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento). Posto che il fondamento della norma è insito nell’esigenza di compensare il tempo necessario per il menzionato spostamento, indotto dall’organizzazione del lavoro riconducibile all’azienda, il diritto all’attribuzione patrimoniale dipende dal fatto oggettivo dalla separazione dei luoghi di inizio e termine della giornata lavorativa, predeterminata dalla programmazione del lavoro aziendale, con l’inizio del lavoro in un determinato luogo e la conclusione in un altro luogo. La connessione causale di questa separazione con le necessità aziendali non esige dimostrazione alcuna.

Questo indirizzo deve essere ulteriormente confermato, non essendo stati addotti a sostegno della censura argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dalla pronuncia da ultimo citata, attinenti alla contingente scelta del lavoratore di utilizzare o meno la propria vettura per recarsi al lavoro (e quindi di recuperarla al termine dalla giornata); circostanza che non incide sul fatto oggettivo della separazione dei luoghi da cui dipende il riconoscimento del diritto.

Il quinto motivo concerne la distinzione delle ipotesi di servizio mattutino e notturno da quelle in cui la prestazione si svolge in orario diurno o pomeridiano, nelle quali l’autista può utilizzare i mezzi pubblici per prendere servizio. Anche sul punto si è già precisato, nella sentenza n. 4496 del 2008, che l’infondatezza del motivo risulta dalla irrilevanza della scelta del lavoratore circa l’utilizzazione o meno di un proprio mezzo di trasporto, rilevando esclusivamente il fatto oggettivo della separazione dei luoghi.

L’ultimo motivo, che si affida alla tesi, proposta in via subordinata, della inquadrabilità della situazione in esame nel medesimo art. 17, lett. d), è anch’esso infondato perchè la norma richiamata, non riguarda evidentemente la fattispecie in esame, inquadrabile, invece, nella lett. c), che considera globalmente il tempo impiegato dal dipendente negli spostamenti dal deposito al posto cambio e viceversa, senza operare alcuna distinzione tra tempo di attesa e tempo di percorrenza effettivo.

Il ricorso deve essere quindi respinto. Poichè è stato proposto prima del consolidarsi dell’orientamento negativo e, nello specifico processo, in ragione di tale mancato consolidamento, vi sono state soluzioni difformi in sede di merito, appare congruo compensare le spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2010

 

 

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