Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 820 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. I, 14/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 14/01/2011), n.820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3098-2008 proposto da:

Z.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO TRIESTE 10, presso l’avvocato BOCCONGELLI EMANUELE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GRASSO CARLO, CERRETO GIOVANNA,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI depositato il

23/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

CHE Z.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Napoli in data 23.1.07 con cui veniva rigettato il ricorso per l’ottenimento dell’equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001;

che l’Amministrazione intimata si è costituita con controricorso.

Diritto

OSSERVA

La Corte d’appello ha rilevato che la vicenda processuale del ricorrente innanzi alla Corte dei Conti si è svolta in due fasi: la prima, iniziata il 26.9.78 e conclusasi con sentenza del 7.5.02, con cui si rinviavano gli atti al Ministero della difesa per adottare i provvedimenti di sua competenza, e la seconda in cui, a seguito di ciò, veniva emesso un nuovo provvedimento di rigetto, a sua volta impugnato il 14.10.02 ed il cui relativo giudizio veniva concluso in data 6.7.05.

Il giudice di merito ha conseguentemente ritenuto che trattavasi di due giudizi distinti: il primo conclusosi il 7.5.02, per cui la domanda di equa riparazione relativa ad esso era stata introdotta tardivamente oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, mentre, per il secondo, non risultava superato il termine di durata ragionevole.

Con il primo motivo, lo Z. sostiene che, in realtà, nella fattispecie si era trattato di un unico procedimento nel corso del quale si era inserita una nuova fase amministrativa, successiva alla prima sentenza del 2002, che aveva portato ad una ulteriore decisione sempre in riferimento alla originaria istanza del 1971 di liquidazione della pensione, per cui si sarebbe trattato di un unico procedimento.

Il motivo è infondato.

Va, infatti, considerato che la prima sentenza del maggio 2002 ha accolto il ricorso dello Z. ritenendo infondato il rigetto della istanza pensionistica del 1971 da parte del Ministero basato sulla tardività dell’istanza. Da tale pronuncia è sorto un obbligo da parte del Ministero a provvedere nuovamente sulla citata istanza del 1971.

Tale fase amministrativa, posta in essere in ottemperanza della sentenza della Corte dei Conti, costituisce una fase procedimentale distinta rispetto alla precedente, dovendo l’autorità amministrativa rivalutare ex novo i presupposti per la concessione della pensione e dovendo, conseguentemente, emettere un nuovo provvedimento amministrativo del tutto autonomo rispetto a quello in precedenza emesso, tanto è vero che è stato oggetto di una nuova impugnazione da parte dello Z..

Nel caso di specie, pertanto, si sono svolti due distinti procedimenti amministrativi conclusisi con due distinti provvedimenti amministrativi: il primo che ha portato alla emanazione del provvedimento di inammissibilità dell’istanza pensionistica per tardività, ed il secondo.. emanato in ottemperanza della prima decisione della Corte dei conti del 2002, che ha rigettato la medesima istanza. Conseguentemente, nel caso di specie, vi sono stati due distinti processi di impugnazione dei due citati distinti provvedimenti, entrambi conclusisi con sentenze favorevoli al ricorrente. In conseguenza di ciò, la domanda di equo indennizzo doveva proporsi nei termini di sei mesi dal passaggio in giudicato di ciascuna delle due sentenze in esame.

Del tutto correttamente pertanto la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la domanda relativa all’equa indennizzo relativo al primo processo conclusosi nel 2002.

E’ appena il caso di rilevare che la presente fattispecie è diversa da quella già oggetto di diverse decisioni da parte di questa Corte e da ultimo anche da parte delle Sezioni Unite con le quali si è ritenuto che il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile e quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria devono considerarsi, sul piano funzionale (oltre che strutturale), tra loro autonomi, in relazione, appunto, alle situazioni soggettive differenti azionate in ciascuno di essi. Pertanto, in dipendenza di siffatta autonomia, le durate dei predetti giudizi non possono sommarsi per rilevarne una complessiva durata due processi (di cognizione, da un canto, e di esecuzione o di ottemperanza, dall’altro) e, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi è possibile, per ognuno di tali giudizi, domandare, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, l’equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, con conseguente inammissibilità delle relative istanze in caso di sua inosservanza. (Cass. sez. un. 27365/09; Cass. 1732/09).

La diversità consiste nel fatto che nel presente processo si controverte in tema di un giudizio amministrativo conclusosi con una sentenza cui non ha fatto seguito un inadempimento del giudicato da parte della P.A. che abbia reso necessario un ulteriore giudizio amministrativo di ottemperanza, bensì la P.A. ha adempiuto in sede amministrativa al giudicato provvedendo ad emanare in ottemperanza di esso un nuovo provvedimento oggetto di nuova impugnazione. Ciò non toglie che le conclusioni a cui deve pervenirsi nella presente fattispecie sono le medesime, poichè il provvedimento emanato in sede amministrativa di ottemperanza è – come già detto – distinto e diverso da quello oggetto del primo giudicato di annullamento del 2002 e la sua impugnazione ha, quindi, dato luogo ad un processo nuovo e diverso rispetto a quello conclusosi con la sentenza del 2002.

Il secondo motivo è inammissibile.

Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, nn. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura; in altri termini deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass sez un 20603/07).

Il motivo di ricorso in esame deduce un vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 ma non contiene quanto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. dianzi riportato in quanto non si rinviene alcuna sintetica formulazione del dedotto vizio motivazionale.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2000, 00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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