Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8198 del 27/04/2020

Cassazione civile sez. II, 27/04/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 27/04/2020), n.8198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3160/2016 R.G. proposto da:

S.M., P.S. e St.Pa., già socie di

Primavera 2000 s.r.l., rappresentate e difese dall’Avv. Massimo

Chinelli, per distinte procure in calce al ricorso, elettivamente

domiciliate in Roma presso lo studio dell’Avv. Paolo Todaro alla via

Due Macelli n. 47;

– ricorrenti –

contro

Pu.Ka., Pu.Ca. e B.M., rappresentati e

difesi dagli Avv.ti Francesco Mantovani e Francesco Corvasce, per

procura a margine del controricorso, elettivamente domiciliati in

Roma presso lo studio del secondo al viale delle Milizie n. 48;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

Pi.Fe., già socio unico di Studio F. s.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 4361,

depositata il 16 novembre 2015.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 4 dicembre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avv. Francesco Corvasce.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La controversia origina da una domanda ex art. 2932 c.c., per citazione notificata il 4 giugno 2003 dai promissari acquirenti Pu.Ka., Pu.Ca. e B.M. alla promittente venditrice Studio F. s.r.l., domanda trascritta in data 6 giugno 2003.

Nel susseguente giudizio interveniva Primavera 2000 s.r.l., che, avendo acquistato da Studio F. per transazione del 19 giugno 2003 alcuni mappali oggetto della domanda ex art. 2932 c.c., chiedeva per queste particelle respingersi la domanda stessa, previa declaratoria di inesistenza della notifica di citazione del 4 giugno 2003 e conseguente inopponibilità della relativa trascrizione.

Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda di trasferimento in favore dei Pu. – B., dichiarava inefficace nei loro riguardi l’acquisto di Primavera 2000 e quest’ultima condannava per lite temeraria, con aggravio delle spese processuali su Studio F..

Soccombente anche in appello, Primavera 2000 ricorreva a questa Corte, che, con sentenza 17 dicembre 2013, n. 28143, cassava con rinvio, a motivo della pregressa estinzione per cancellazione di Studio F. e della correlata necessità di attivare il contraddittorio verso i soci di questa.

Il giudizio di rinvio si svolgeva tra Pu. – B., da un lato, S.M., P.S. e St.Pa., già socie di Primavera 2000, essa pure estinta, dall’altro lato, e infine nei confronti di Pi.Fe., già socio unico di Studio F..

La Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, confermava la sentenza di primo grado, tolta la condanna per lite temeraria delle socie di Primavera 2000, tuttavia condannate, in solido col Pi., a rifondere le spese del giudizio di primo grado e del giudizio di rinvio.

Avverso questa decisione S., P. e St. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi.

I Pu. – B. resistono mediante controricorso.

Il Pi. resta intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1111 c.c., per non aver il giudice di rinvio stigmatizzato che, ad effetto del pregresso frazionamento di un mappale oggetto di lite (il n. 24), era stata di fatto sciolta la comunione su di esso senza il consenso di Primavera 2000.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Ove una questione giuridica implicante accertamenti di fatto non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che detta questione proponga in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di specificare in quale atto del precedente giudizio vi abbia provveduto (tra molte, Cass. 12 luglio 2005, n. 14590; Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038).

Tale onere le ricorrenti S., P. e St. non hanno assolto, con riferimento specifico al tema dello scioglimento della comunione, ed esattamente il controricorso eccepisce l’inammissibilità della loro doglianza per novità della questione.

Il passo della sentenza censurato dall’odierna doglianza (passo che le ricorrenti individuano a pag. 6-7 della relativa motivazione) discute dell’avvenuto frazionamento del mappale, ma senza alcun riferimento ad un eventuale illecito scioglimento della comunione sulla particella frazionata.

Da questo punto di vista, il motivo di ricorso si rivela inammissibile – oltre che per la novità della questione sottesa anche per il completo disallineamento rispetto alla ratio impugnata.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2456,2495 c.c., il terzo e il quarto violazione dell’art. 145 c.p.c., tutti per non aver il giudice di rinvio stigmatizzato l’inesistenza della notifica del 4 giugno 2003, pur eseguita presso la sede di una società cancellata e a mani di persona non legata ad essa.

2.1. Da esaminare unitariamente per connessione, i motivi sono infondati.

Poichè il controricorso eccepisce l’inammissibilità di doglianze sulla ritualità della notifica da parte di soggetto diverso dal notificato (pag. 14), si rammenta che il terzo interessato a far valere la nullità della trascrizione della domanda non può eccepire la nullità della relativa notifica solo qualora il notificato si sia costituito in giudizio senza nulla eccepire, in tal modo sanando la nullità (Cass. 20 aprile 1971, n. 1132; Cass. 26 ottobre 1994, n. 8771).

Nella specie, viceversa, la destinataria della notifica, Studio F., è rimasta in primo grado contumace.

In base alla relata, il giudice di rinvio ha osservato che la notifica del 4 giugno 2003 è stata effettuata presso la sede legale di Studio F. ((OMISSIS)) e a mani del “rag. Pe., addetto alla sede legale, tale qualificatosi, che si incarica della consegna al destinatario”.

Il giudice ne ha desunto la piena validità della notifica, poichè l’art. 2495 c.c., consentirebbe la notifica presso l’ultima sede della società entro un anno dalla cancellazione e perchè la dichiarazione del rag. Pe. non è stata attinta da querela di falso.

In realtà, la previsione dell’art. 2495 c.c., concerne una fattispecie particolare, cioè la domanda dei creditori sociali insoddisfatti verso soci e liquidatori.

Oltre ad essere qui inapplicabile ratione temporis, tale previsione non può essere estesa alla diversa fattispecie della domanda verso la società cancellata, laddove non vi sia un’ulteriore disposizione che tale estensione legittimi, come, in àmbito concorsuale, la L. Fall., art. 10 (Cass. 6 novembre 2013, n. 24968; Cass. 1 marzo 2017, n. 5253).

Tuttavia, le attestazioni della relata sono in grado di confermare la validità della notifica in base ai principi giurisprudenziali correnti.

Invero, a proposito della qualificazione del rag. Pe. come “addetto alla sede”, per quanto fidefacente sino a querela di falso sia solo l’attestazione del pubblico ufficiale che la dichiarazione è stata resa, e non anche la veridicità della dichiarazione stessa, quest’ultima è tuttavia assistita da una presunzione iuris tantum (Cass. 5 dicembre 2012, n. 21817).

Corretta in tal senso la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, la decisione del giudice di rinvio trova conferma, in forza dell’invitta presunzione che colui il quale si trovi presso la sede della società e si qualifichi “addetto alla sede” sia effettivamente tale.

Non rileva quanto dedotto dalle ricorrenti per vincere la presunzione, cioè non avere Studio F., in liquidazione, dipendenti a visura camerale (pag. 23 di ricorso).

Ai fini della regolarità della notifica ex art. 145 c.p.c., è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede in virtù di un rapporto non necessariamente di tipo lavorativo, potendo esso consistere anche nell’incarico, provvisorio e precario, di ricevere le notifiche, sicchè, ove la relata attesti la presenza del consegnatario nella sede, questi si presume addetto alla ricezione degli atti, salva prova contraria all’affidamento di un qualunque incarico (tra molte, Cass. 5 settembre 2012, n. 14865; Cass. 20 novembre 2017, n. 27420; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32981).

3. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 156,157,160,291 c.p.c., per aver il giudice di rinvio sostenuto che la rinnovazione avrebbe sanato ex tunc la notifica del 4 giugno 2003 quand’anche inesistente.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Avendo ritenuto pienamente valida la notifica del 4 giugno 2003, il giudice di rinvio ha ipotizzato la sanatoria dell’inesistenza come ratio decidendi ulteriore, logicamente subordinata.

Poichè ha qui trovato conferma la ratio sulla validità della notifica, opera il principio per cui, ove la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggerla, la dichiarata infondatezza della censura mossa ad una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre, per sopravvenuto difetto d’interesse, giacchè quest’ultima non può comunque determinare la cassazione della decisione, ormai sorretta dalla ratio confermata (Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 11 maggio 2018, n. 11493).

4. Il sesto e il settimo motivo di ricorso denunciano violazione dell’art. 97 c.p.c., per aver il giudice di rinvio esteso all’interveniente Primavera 2000 la condanna alle spese emessa verso la convenuta Studio F..

4.1. Da esaminare unitariamente per connessione, i motivi sono infondati.

Chi interviene in un giudizio tra altre parti, facendo propria la posizione di un contendente e assumendo posizione di contrasto dell’altro, resta soggetto al principio della soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese processuali e può essere condannato alle spese in solido, a norma dell’art. 97 c.p.c., qualora il giudice di merito, con accertamento insindacabile in sede di legittimità, ritenga il suo interesse comune a quello della parte affiancata (Cass. 23 luglio 1997, n. 6880; Cass. 16 maggio 2017, n. 12025).

Nella specie, il giudice di rinvio ha inteso applicare la solidarietà per la “vicinanza di posizioni sostanziali tra Studio F. e Primavera 2000, di cui è segno eloquente la transazione del giugno 2003” (pag. 8 della sentenza).

Insindacabile in sede di legittimità, l’argomento trova conferma nel fatto – sopra rimarcato – che Primavera 2000 è intervenuta in giudizio per eccepire la nullità della notifica alla contumace Studio F..

5. L’ottavo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., per non aver il giudice di rinvio neppure parzialmente compensato le spese, malgrado la parziale soccombenza dei Pu. – B., segnatamente sulla domanda risarcitoria per lite temeraria.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La compensazione delle spese processuali appartiene alla discrezionalità del giudice di merito, sicchè l’omessa compensazione non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo della carenza di motivazione (Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989; Cass. 26 aprile 2019, n. 11329).

Peraltro, il rigetto dell’istanza risarcitoria ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’accoglimento della domanda principale della stessa parte, non integra soccombenza reciproca, e non può quindi giustificare la compensazione delle spese, a ragione del carattere meramente accessorio dell’istanza di lite temeraria (Cass. 12 aprile 2017, n. 9532, e Cass. 15 maggio 2018, n. 11792, a superamento di Cass. 14 ottobre 2016, n. 20838).

6. Il nono motivo di ricorso denuncia violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, per esser state le spese del giudizio d’appello liquidate con lo scaglione massimo delle cause di valore indeterminabile.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Per criterio tipico della liquidazione delle spese, dove è prevista una forcella tra minimi e massimi con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare ulteriormente il compenso per specifici motivi, tra i valori minimi e i massimi il giudice esercita un potere discrezionale, insindacabile in sede di legittimità, occorrendo che egli motivi solo la diminuzione o l’aumento ulteriore, essendo in tal caso necessario assicurare il controllo sulle ragioni dello scostamento dalla forcella (Cass. 10 maggio 2019, n. 12537).

Nella specie, rimasto entro lo scaglione massimo (Euro 260.000,00), il giudice non aveva uno specifico dovere di motivazione, come sarebbe stato ove egli avesse inteso eccedere il massimo (fino ad Euro 520.000,00), in forza dell’autorizzazione normativa rapportata alla particolare importanza e complessità delle questioni.

7. Il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine alle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2020

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