Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8198 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 22/03/2019), n.8198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2140/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

A.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 147/31/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, emessa il 12 marzo 2012, depositata in

data 29 maggio 2012 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2019 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro A.R. per la cassazione della sentenza n. 147/31/12 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, emessa il 12/3/2012, depositata in data 29/5/2012 e non notificata, che ha accolto l’appello della contribuente, riformando la sentenza della C.T.P. di Caserta ed annullando l’avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio aveva rettificato il reddito da lavoro autonomo dichiarato per l’anno 2004, ai fini Irpef, Irap ed Iva, sulla base delle indagini bancarie sui conti della contribuente;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R riteneva che l’appellante avesse dimostrato che i versamenti effettuati sul conto corrente e contestati dall’Ufficio fossero ricompresi negli importi dichiarati per l’anno di imposta 2004, perchè inferiori a quanto incassato e dichiarato complessivamente;

4. a seguito del ricorso, A.R. è rimasta intimata;

5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 27 febbraio 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con l’unico motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1, n. 2, secondo periodo e art. 39, comma 1, lett. d), dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

1.2. il motivo è fondato e va accolto;

1.3. è utile premettere che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (Cass. nn. 22179/2008, 18081/2010, 15857/2016, 4829/2015);

ciò posto, in relazione alla questione dell’illegittima applicazione retroattiva del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come modificato dalla L. finanziaria per il 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402), la norma in questione, e la presunzione in essa contenuta, seppure letteralmente riferibile ai soli “ricavi”, è da intendersi applicabile anche al reddito da lavoro autonomo, e non solo al reddito di impresa;

inoltre, per lo “ius superveniens” seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, limitatamente alle parole “o compensi”, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai soli versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili;

ancorchè una recente decisione (vedi Cass. ord. n. 27845/18) abbia ritenuto l’inapplicabilità della presunzione ai fatti antecedenti alla data di entrata in vigore della novella introdotta con la L. n. 311 del 2004, trattandosi di norma sostanziale e non procedimentale, ritiene il Collegio di ribadire il diverso orientamento, confermato anche di recente da numerose decisioni di questa Corte (Cass. 4601/02, 430/08, 11750/08; 14041/2011; 16697/16; 3628/17; 7951/18; 22931/18), secondo cui l’uso della parola ricavi nella seconda parte della norma non è sufficiente per concludere che la presunzione legale, relativa tanto ai prelevamenti quanto ai versamenti, sia riferibile solo al reddito d’impresa e non a quello da lavoro autonomo;

nel caso di specie, quindi, la presunzione di cui all’art. 32 (con previsione analoga per il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51) è pienamente applicabile, avendo l’accertamento ad oggetto due versamenti di assegni e contanti sui conti correnti della professionista, l’uno di Euro 21.067,13 e l’altro di Euro 12.036,08;

la contribuente era onerata di fornire una prova specifica e puntuale del fatto che gli importi suddetti erano ricompresi nella dichiarazione dei redditi o erano riconducibili ad operazioni non imponibili;

la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti, ritenendo che fosse sufficiente la prova che gli importi contestati (unitamente agli altri versamenti effettuati) fossero di importo minore rispetto a quelli dichiarati, senza che la contribuente avesse fornito una specifica dimostrazione sulla loro effettiva soggezione a tassazione;

come rilevato dall’Agenzia delle Entrate, la tesi accolta dalla C.T.R., secondo cui era possibile che non tutti gli incassi oggetto delle parcelle venissero immediatamente versati e che la professionista avesse effettuato i versamenti secondo le proprie necessità, si rileva semplicistica e non tiene conto del fatto che per gli importi contestati la contribuente non aveva esibito le fatture attive da cui trarre l’effettiva soggezione a tassazione;

1.4. la Corte, quindi, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

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