Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8196 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5775-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.M., G.G., elettivamente domiciliati in

ROMA VIALE G. CESARE 14, presso lo Studio dell’avvocato PAFUNDI

GABRIELE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GAFFURI GIANFRANCO, giusta delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 15/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 23/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il resistente l’Avvocato SANTARELLI, per delega

dell’Avvocato PAFIMDI, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G. e G.M. proposero impugnazione avverso un avviso di liquidazione di imposta di successione in morte di G. R.. Dedussero che l’amministrazione finanziaria non aveva dato adeguata dimostrazione dei motivi di esclusione di due passività.

L’impugnazione fu respinta dalla commissione tributaria provinciale di Como.

Pendente il temine per l’appello, gli eredi G. proposero domanda di definizione della L. n. 289 del 2002, ex art. 16. Ma la possibilità di definizione venne dapprima negata dal locale ufficio dell’agenzia delle entrate, sul rilievo che l’avviso di liquidazione non era da considerare atto impositivo; quindi, previa rettifica della decisione, accolta limitatamente al profilo afferente la controversa passività di un conto corrente bancario. Fu resa ferma, invece, la negazione della definibilità della controversia riguardante la passività esposta in relazione a un’operazione valutaria a termine.

Gli eredi G. proposero appello contro la sentenza di primo grado e reclamo contro il suddetto diniego di condono. Riuniti i procedimenti, la commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza 23.2.2005, accolse i gravami, accertando il diritto dei predetti G. di definire la controversia a norma del citato art. 16, e dichiarando, conseguentemente, cessata la materia del contendere. Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso l’agenzia delle entrate, consegnando la critica a un motivo.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 20, 21, 22 nonchè vizio di motivazione su punto decisivo.

Sostiene la seguente tesi.

Premesso che oggetto del contendere fu la questione dell’avvenuto disconoscimento di due passività, l’una rappresentata da un saldo negativo di conto corrente, l’altra da una minusvalenza generata da un’operazione valutaria a termine, la controversia, in ragione della diversità funzionale assunta, nei due casi, dall’avviso di liquidazione, avrebbe potuto essere definita solo rispetto al primo profilo. Occorrerebbe in generale distinguere la fattispecie nella quale l’amministrazione disconosce una passività sulla base della situazione di fatto dichiarata dal contribuente, da quella nella quale, invece, il disconoscimento avviene sulla previa contestazione delle condizioni di deducibilità. E, nella specie, viene in rilievo, secondo la ricorrente, il primo caso, essendosi l’amministrazione limitata a calcolare l’imposta sulla base dei dati di fatto dichiarati dal contribuente. Donde la rilevanza di una mera questione interpretativa (id est, riguardante la corretta interpretazione della norma tributaria), con conseguente impossibilità di definizione della controversia.

2. – La critica affidata al motivo di ricorso non è fondata.

Vero è che, in base all’orientamento di questa Corte, non è ravvisatale una “lite pendente”, suscettibile di definizione a norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 quando l’atto impugnato si risolve in una mera liquidazione d’imposta, secondo criteri dalla legge predeterminati e attraverso semplice operazione contabile, alla stregua della situazione dichiarata dallo stesso contribuente (cfr.

per tutte, con specifico riferimento all’imposta di successione, da ultimo Cass. 2010/4566, cui adde Cass. 2006/11143). Mentre le liti concernenti l’avviso di liquidazione d’imposta sono definibili nei casi in cui l’avviso partecipi, nella sostanza, alla funzione propria dell’accertamento. Questo accade allorquando il provvedimento di liquidazione del tributo risulta emanato sulla base del previo esercizio di un potere valutativo discrezionale dell’amministrazione in ordine alla congruità dei valori o alla effettiva esistenza di passività dichiarate (v. Cass. 2006/18840; nonchè per ulteriori riferimenti Cass. 2006/6188). E’ dunque accettabile l’affermazione di parte ricorrente che, in generale, l’emersione di materia imponibile debba essere in qualche modo legata, per potersi discorrere di definizione della lite a mezzo condono, alla persistente controvertibilità del presupposto.

Solo che il caso in esame rientra a pieno in siffatta tipologia, giacchè il disconoscimento della esposta minusvalenza, conseguita all’operazione a termine in valuta estera, fu tratto sulla base della considerazione che al momento del decesso, sopraggiunto prima della maturazione dell’obbligo di trasferimento a termine, la passività fosse da considerare inesistente. Il che oltre tutto è corretto, dal momento che, commercialmente, l’operazione de qua partecipa delle caratteristiche del contratto a effetti obbligatori.

Consegue che, in concreto, la passività fu disconosciuta in ragione della negazione del presupposto di fatto indicato dal contribuente.

Non dunque perchè trattavasi di passività esistente ma indeducibile, sebbene in considerazione della ritenuta inesistenza della passività in sè, in ragione della non effettività della perdita al momento del decesso.

4. – La negazione del presupposto di esistenza di una passività, messa al fondo del disconoscimento, conferisce all’avviso di liquidazione la consistenza giuridica propria dell’atto impositivo, giacchè implica, per sua stessa natura, che ivi non si esprima una pretesa fondata su mero calcolo aritmetico, avente come supporto le risultanze della dichiarazione di successione, sebbene una pretesa fondata sulla rettifica della base imponibile.

Da qui la necessità di identificare l’impugnazione del ripetuto avviso come “lite pendente”, suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 16, comma 3, Legge cit.. Il ricorso dunque è rigettato.

Segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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