Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8195 del 22/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 22/03/2019), n.8195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19651/2012 R.G. proposto da:

Novaol s.r.l. (società unipersonale), in persona del l.r.p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Federico Maccone ed Alessandro

Rufini, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma al

viale Carso n. 51;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/32/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il 21/2/2012 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2019 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Novaol s.r.l. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 44/32/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito C.T.R.), depositata il 21/2/2012 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, condannando la contribuente al pagamento delle spese processuali, in controversia concernente l’impugnazione della cartella di pagamento relativa a maggiore Ires per l’anno di imposta 2006;

2. con la sentenza impugnata la C.T.R., riformando la sentenza della C.T.P. di Milano, riteneva che il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, ha previsto che il contribuente possa integrare la dichiarazione in suo favore mediante una successiva dichiarazione, da presentarsi entro il termine di presentazione di quella del periodo di imposta successivo; che, nel caso di specie, la società, per integrare la dichiarazione per l’anno di imposta 2003, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione rettificativa entro il termine per la presentazione della dichiarazione dell’anno di imposta successivo (2004), cioè entro il 31/10/2005; che la contribuente, invece, aveva presentato la dichiarazione integrativa solo il 27/10/2006, per rettificare l’importo delle perdite relative all’esercizio 2003; che le perdite indicate nella dichiarazione integrativa tardivamente presentata non erano detraibili;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 27 febbraio 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, la dichiarazione integrativa contenente l’indicazione del maggiore ammontare delle perdite deducibili non è una dichiarazione rettificativa inquadrabile nel citato art., comma 8 bis, ma nel comma 8, poichè ha valore neutro, tende a ridurre il reddito imponibile dichiarato in eccesso, in conformità con il principio ormai riconosciuto della generale emendabilità della dichiarazione;

1.2. il motivo è infondato e va rigettato;

1.3. in primo luogo, va rilevato come appaia evidente che la successiva integrazione delle perdite di esercizio dell’anno 2003 da costituisca una rettifica della dichiarazione favorevole al contribuente ed è ben lungi da una pretesa “neutralità”;

a ciò si aggiunga che, nel caso di specie, non appare invocabile il principio di generale emendabilità della dichiarazione;

in linea di principio, la dichiarazione dei redditi affetta da errore, anche omissivo, sia esso di fatto o di diritto, è sempre emendabile e ritrattabile, costituendo una mera dichiarazione di scienza;

invero, la Cassazioni a Sezioni Unite ha affermato che “in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria” (Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016);

deve, però, rilevarsi che “in tema di imposte dirette, il principio di generale emendabilità della dichiarazione si riferisce all’ipotesi ordinaria nella quale la stessa rivesta carattere di mera dichiarazione di scienza, mentre, nelle parti in cui abbia carattere negoziale, lo stesso non opera, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore in cui sia incorso, ai sensi degli artt. 1427 c.c. e ss.” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25596 del 12/10/2018);

quindi, se è vero che la giurisprudenza in termini di emenda della dichiarazione, sia tramite dichiarazione integrativa che domanda di rimborso, è ormai giunta alla conclusione secondo cui la dichiarazione può essere modificata anche oltre i termini per la presentazione di quella integrativa e, addirittura, la questione di merito sottostante alla dichiarazione errata può essere discussa in sede contenziosa a prescindere dalla presentazione entro i termini di dichiarazione integrativa o di domanda di rimborso (Sez. Un. 13378 del 2016), tuttavia, nel caso di specie, il riferimento a questa giurisprudenza non coglie nel segno, per la ragione che tale orientamento si riferisce a quelle parti della dichiarazione che costituiscono mera dichiarazione di scienza (vedi Cass. n. 1117/2018, in motivazione);

nel caso di specie, al contrario, siamo in presenza di una di quelle parti della dichiarazione che costituiscono manifestazione di volontà, perchè espressioni di una opzione compiuta consapevolmente e volontariamente dal contribuente;

come è stato osservato in un caso analogo, “la dichiarazione dei redditi affetta da errore, anche omissivo, sia esso di fatto o di diritto, è sempre emendabile e ritrattabile, salvi i limiti temporali derivanti dall’esaurimento del rapporto tributario, per quanto concerne i dati riferibili ad esternazioni di scienza o di giudizio, mentre, nel caso di errore relativo all’indicazione di dati costituenti espressione di volontà negoziale, il contribuente ha l’onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 c.c. e ss., estesa dall’art. 1324 c.c. agli atti unilaterali in quanto compatibile, di fornire la prova che lo stesso abbia i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata rilevando l’inemendabilità dell’errore nell’indicazione di quali delle perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi si intendesse utilizzare in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto di dichiarazione, in quanto lo stesso, riferito ad una manifestazione di volontà negoziale, inerente all’esercizio della facoltà di opzione da esercitare separatamente in relazione alle perdite di ciascuno dei cinque anni precedenti, era privo del necessario requisito della obiettiva riconoscibilità)” (Sez. 5, Sentenza n. 7294 del 11/05/2012);

è stato ulteriormente puntualizzato che “in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dal T.U.I.R., art. 84 (vigente ratione temporis), di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che essa deve essere esercitata mediante una chiara indicazione nella dichiarazione non potendosi a tal fine l’Amministrazione sostituirsi al contribuente” (Sez. 5, Sentenza n. 25566 del 27/10/2017);

secondo tale recente orientamento (contra vedi Cass. n. 15452/2010), cui si intende dare continuità, l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dal T.U.I.R., art. 102, di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale;

nel caso di specie, la società contribuente, deducendo la mancata deduzione delle perdite nella dichiarazione per l’anno di imposta 2003 e la successiva integrazione della dichiarazione presentata il 27/10/2006, per altro oltre il termine di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, sostiene la legittima utilizzazione delle perdite nelle dichiarazioni degli anni di imposta 2005 e 2006;

alla luce dei principi sopra riportati, invece, la società contribuente non può dedurre un semplice errore materiale omissivo nella dichiarazione dell’anno 2003, che in tal senso è divenuta irretrattabile sul punto;

di conseguenza, la sentenza impugnata va confermata, sebbene con diversa motivazione;

2.1. con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e dell’art. 75 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il giudice di appello, nel condannare l’appellata al pagamento delle spese processuali, non aveva specificato tra onorari, diritti e spese, nè aveva considerato la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese;

2.2. il motivo è inammissibile;

2.3. invero, la parte denuncia la liquidazione cumulativa, ma in modo formale, mentre avrebbe dovuto indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato sulla base dell’applicazione delle tariffe (Cass. 20128 del 2015; Cass. 15363 del 2016);

parimenti inammissibile è il diverso profilo di doglianza, con cui il ricorrente denunzia la mancata compensazione delle spese processuali, per non aver rilevato il giudice di appello la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni, in alcun modo specificate dalla ricorrente;

3.1. atteso il rigetto complessivo del ricorso, la ricorrente va condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA