Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8195 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2611-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

A.B.F., in proprio, elettivamente domiciliato in

ROMA PIAZZA DELLE CINQUE GIORNATE 2, presso lo studio dell’avvocato

NEGLIA SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato A.

B.F., in proprio ex art. 86 c.p.c.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 76/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 18/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato APPONI BATTINI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’aprile 1999 si apri la successione testamentaria di B. E., il cui testamento istituì eredi A.B. F. per 1/2 dell’asse e A.B.A., S., M. e F., in parti uguali, per il residuo; dispose anche diversi legati di diritti immobiliari e somme di denaro.

All’esito di dichiarazione di successione, l’agenzia delle entrate di Perugia notificò avvisi di liquidazione d’imposta. Un avviso di liquidazione venne impugnato, dinanzi alla commissione tributaria di Perugia, da A.B.F., in proprio e quale erede delle legatarie B.L. e Ba.Ma..

La commissione adita accolse il gravame, accedendo alla, tesi dell’impugnante secondo la quale le quote ereditarie, ai. fini della individuazione della base imponibile, dovevano essere considerate, secondo il testamento, di pari entità. Confermò, invece, l’assunto dell’ufficio finanziario a proposito della mancata ammissione del valore di un lascito di L. 85.000.000 in diminuzione del valore globale dell’asse, motivando che la disposizione era da qualificare come “atto di liberalità”, e non come legato.

La sentenza fu a sua volta impugnata, con appello principale dell’agenzia delle entrate e con appello incidentale di A. B..

La commissione regionale dell’Umbria, con sentenza resa pubblica il 18.10.2005, in accoglimento dell’appello incidentale, dichiarò la detraibilità del valore dell’atto summentovato, nell’affermazione che esso costituisse un legato, e confermò nel resto la statuizione di primo grado. Osservò che, in base al testamento, non poteva comunque derivare il superamento, per ciascun gruppo di eredi, del disposto limite del 50 % dell’asse, dovendosi la volontà testamentaria univocamente interpretare attraverso la riconduzione delle attribuzioni nell’ambito del 50 % delle quote assegnate; e che l’attribuzione di L. 85.000.000, in quanto legato pecuniario, dovevasi comunque escludere dalla base imponibile a prescindere dal fatto del mancato rinvenimento di somme all’atto dell’apertura della successione.

Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’economia e finanze e l’agenzia delle entrate. Il ricorso è stato affidato a due motivi. A.B.F. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e finanze, che non fu parte degli anteriori gradi di merito e che è soggetto distinto dall’agenzia fiscale, ente a sua volta dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. n. 300 del 1999. Risulta dalla sentenza esservi stata, negli anteriori gradi di merito, assunzione in via esclusiva, da parte dell’agenzia delle entrate, della gestione del contenzioso, con i conseguente spettanza a essa soltanto dell’esercizio dei correlati poteri processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un. 2006/3116).

2. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8 e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vi si sostiene che la quantificazione del valore delle quote era stata effettuata dagli eredi al momento della presentazione della dichiarazione di successione. Trattandosi di imposta principale vertente sui valori dichiarati, nessun potere di intervento correttivo potevasi legittimamente esercitare in sede di liquidazione.

Il motivo è infondato.

Posto che non è in contestazione che il testamento istituì eredi, da un lato, l’odierno resistente, per la quota 1/2 dell’intero, e, dall’altro, i nominati A.B.A., F., S. e M., pro indiviso, nella quota residua, la tesi dell’amministrazione finanziaria postula che in seno a una quota siano stati compresi beni di valore dichiarato superiore a quelli compresi in seno all’altra; e che l’odierno resistente si sia attribuito, nella dichiarazione di successione, giustappunto la quota comprensivi di detti beni.

Questa tesi ha un presupposto giuridico fallace.

Pur vero essendo che l’imposta principale di successione verte sui valori dichiarati, resta il fatto che non può confondersi la “operazione di quantificazione” dei ridetti valori, cui allude il ricorso a pag. 6, e che attiene ai beni relitti dal de cuius, con la determinazione della quota testamentaria.

Trattasi di componenti concettualmente distinte. In particolare la quota testamentaria, in caso di disposizione a titolo universale (quale quella presa in considerazione ai fini del primo motivo dell’odierno ricorso), delimitando la posizione del successore rispetto alla generalità dei rapporti ereditari secondo la determinazione risultante dal testamento, non è incisa, neppure ai fini fiscali, da eventuali aggiuntive risultanze della dichiarazione di successione.

L’imposta si applica in base alla disposizione contenuta nel testamento, anche se impugnata giudizialmente (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 43), ovvero in base agli eventuali accordi, diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. La base imponibile resta con ciò riferita alla quota dell’asse, e la dichiarazione di successione rileva al fine di consentire la liquidazione dell’imposta tenendo conto dei valori dei beni e di diritti compresi nell’attivo (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 29), oltre che del valore globale netto dell’asse medesimo (artt. 7 e 8).

Il contenuto della dichiarazione, cioè, non è modellato sul valore della quota ereditaria, sebbene sul valore dei beni e dei diritti compresi nell’attivo desunto dalla loro descrizione analitica, e sul valore globale netto dell’asse siccome determinato per sottrazione dell’ammontare complessivo delle passività e degli oneri. La quota è invece quella derivante dal tipo di successione, tanto che alla dichiarazione devesi allegare, per quanto qui interessa, la copia autentica dell’atto di ultima volontà dal quale la successione è regolata (art. 30, comma 1, lett. c)). Concorrendo eredi e legatari, rileva il criterio di ripartizione proporzionale al valore delle rispettive quote di eredità e dei rispettivi legati (v. già. Cass. 2005/14686).

Tale è la logica che sottende il meccanismo d’imposta, mentre, seguendosi il ragionamento dell’impugnante, verrebbe vulnerata la regola d’invarianza sulla proporzione discendente dal testamento (art. 43, D.Lgs. cit.).

3. – Può aggiungersi che lo stesso primario assunto di parte ricorrente, circa il fatto che la base imponibile da assoggettare ad aliquota sulla quota ereditaria venne quantificata in base al valore della quota medesima così come dichiarata da A.B. nella dichiarazione di successione (pag. 5 del ricorso), è contestato dal resistente.

Il quale (pag. 8 del controricorso) ha negato di essersi nella dichiarazione attribuito una quota asseritamente comprendente beni di maggior valore. Al riguardo non pare potersi prescindere dalla considerazione che il suddetto primario assunto presupporrebbe il riscontro di un’operazione negoziale di diverso costrutto (una divisione), soggetta a distinta imposizione rispetto a quella che qui rileva,- e che, a ogni modo, niente può apprezzarsi dagli atti interni del giudizio di legittimità, non essendo stato trascritto nel ricorso il tenore della suddetta dichiarazione. Sicchè il motivo, sul punto, appare finanche privo della necessaria autosufficienza.

4. – Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 8 e 46 e dell’art. 588 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Vi si sostiene essere errata la qualificazione fornita dal giudice d’appello a proposito della disposizione relativa alla somma detratta dal valore dell’asse, stante che la somma in questione non aveva rappresentato un onere a carico degli eredi, sebbene un’attribuzione diretta del de cuius in favore dell’interessato. Sicchè, essendo mancato il relativo versamento, la somma medesima non poteva essere portata in detrazione come passivo dell’eredità.

Al di là del fatto che non risultano dedotte violazioni di regole di ermeneutica negoziale al fondo della censura indirizzata contro la qualificazione offerta dal giudice di merito a proposito della disposizione testamentaria de qua, osserva la Corte che il motivo è privo di qualsivoglia fondamento giuridico, in ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 588 c.c., le disposizioni testamentarie attributive di beni determinati (ancorchè – come il denaro – soltanto per quantità) altro non sono che legati. E, come chiaramente si evince dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 3, il legato, ai fini che ne occupano e in consonanza con le proprie caratteristiche strutturali, rileva di per sè, nel senso che la base imponibile, nell’imposta di successione, è costituita dal valore netto dell’asse. Il valore ereditario (ivi compreso il valore della quota) è quindi comunque determinato al netto dei legati.

Il cd. legato di quantità (o di genere), del resto, a differenza del legato di specie, possiede effetti obbligatori, nei senso che non è immediatamente traslativo di un diritto ereditario, sebbene conferisce, in capo al legatario, un diritto di credito nei confronti dell’onerato. Non possiede pertanto valenza giuridica alcuna trattare il legato pecuniario, a fini fiscali, come se fosse una passività deducibile, atteso che in questa categoria sono compresi i debiti del defunto, esistenti alla data di apertura della successione, e le spese mediche e funerarie (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 20 e segg.).

5. Conclusivamente il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Condanna i ricorrenti, in solido, alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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