Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8194 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 842-2006 proposto da:

AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

V.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 84/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PARMA, depositata il 28/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.A. impugnò, dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Parma, un avviso di liquidazione dell’imposta di successione in morte della sorella.

A fronte dell’assunto posto al fondo dell’avviso, secondo cui doveva considerare nell’attivo ereditario l’intero ammontare dei crediti desunti da rapporti bancari cointestati alla defunta e all’erede, l’impugnante sostenne che, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 11, comma 2 per la determinazione della base imponibile il detto ammontare dovevasi ridurre di commissione tributaria provinciale respinse il ricorso, ma la sentenza, su gravame della V., venne riformata in appello.

Invero la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, sez. dist. di Parma, determinò l’imponibile nella quota del 50% dei cespiti ereditar in contestazione, pervenuti all’appellante.

Premettendo che la presunzione di appartenenza al de cuius di beni, titoli, depositi bancari e conti correnti di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 11, comma 2, può essere superata mediante prova (anche presuntiva) contraria, purchè fondata su elementi certi, univoci e concordanti, ritenne di annettere rilievo alla circostanza “che entrambe le sorelle avessero facoltà di disporre dei conti cointestati”. Contro questa decisione, pubblicata in data 28.9.2005, hanno interposto ricorso per cassazione – sorretto da un motivo – il Ministero dell’economia e finanze e l’Agenzia delle entrate.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e finanze, che non fu parte degli anteriori gradi di merito e che è soggetto distinto dall’agenzia fiscale, ente a sua volta dotato di autonomia soggettiva di diritto pubblico ex D.Lgs. n. 300 del 1999. Risulta dalla sentenza esservi stata, negli anteriori gradi di merito, assunzione in via esclusiva, da parte dell’agenzia delle entrate, della gestione del contenzioso, con conseguente spettanza a essa soltanto dell’esercizio dei correlati poteri processuali in ordine all’impugnazione in sede di legittimità (per tutte, sez. un. 2006/3116). Al riguardo può disporsi la compensazione delle spese processuali, quanto al rapporto con l’intimata, per giusti motivi, tenuto conto della non ancora stabilizzata giurisprudenza all’epoca del ricorso.

2. – Il ricorso dell’agenzia delle entrate risulta legittimamente proposto nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1.

Difatti la notificazione della sentenza, che nella specie risulta eseguita all’amministrazione finanziaria dello Stato, in persona del Ministro pro tempore, presso l’avvocatura distrettuale dello Stato, non è idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., essendo stato il giudizio d’appello instaurato dopo il 1.1.2001, nei riguardi dell’agenzia delle entrate, la quale risulta aver partecipato a quel giudizio senza il patrocinio dell’avvocatura erariale (cfr., ex plurimis, Cass. 2010/8507, Cass. 2007/7882; Cass. 2006/22889).

3. – Con unico motivo, viene denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 11 e della L. n. 342 del 2000, art. 60 nonchè dell’art. 2727 e segg. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si censura il giudizio operato dalla commissione d’appello circa le modalità di superamento della presunzione di appartenenza esclusiva al de cuius di beni e rapporti cointestati.

4. – Il motivo, sebbene a petto di riferimenti a un errore di giudizio, denuncia un vizio logico della motivazione.

Ed è :n effetti condivisibile dal momento che l’impugnata sentenza ha affermato in premessa che la presunzione di appartenenza al de cuius di beni, titoli, depositi bancari e conti correnti di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 11, comma 2, può essere superata mediante prova (anche presuntiva) contraria, purchè fondata su elementi certi, univoci e concordanti. A tale affermazione – corretta in diritto – ha tuttavia fatto seguito una illogica valorizzazione del concetto di disposizione del conto, avendo la sentenza finito per annettere rilievo, ai fini della enunciata valenza della prova contraria, a una circostanza manifestamente inidonea agli specifici fini, sul rilievo che “entrambe le sorelle avessero facoltà di disporre dei conti cointestati”.

Tanto suppone il travisamento della regola di giudizio dettata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, citato art. 11, comma 2, disposizione invero applicabile alla fattispecie in ragione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 69, comma 1, la quale ha abrogato il secondo periodo del ridetto comma 2 dell’art. 11 cit. con effetto per le successioni – diverse da quella in esame – per le quali il termine di presentazione della relativa dichiarazione giunga a scadenza dopo il 31.12.2000.

Questa Corte ha evidenziato che la presunzione legale de qua assume, nel sistema, una evidente funzione antielusiva (v. Cass. 2008/4627), sicchè, per le fattispecie a essa soggette, la prova contraria, a carico dell’erede o del legatario, sebbene desumibile finanche dal ragionamento presuntivo, deve avere riguardo al profilo della effettiva contitolarità dei beni o dei diritti, al di là della mera intestazione formale. Mentre la circostanza sottolineata dalla sentenza d’appello, che l’erede cointestatario di un conto corrente ne abbia altresì la disponibilità, costituisce, agli indicati fini, un dato ininfluente, risolvendosi in un mero precipitato della cointestazione del conto.

La sentenza va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della medesima commissione tributaria regionale, la quale, in ossequio a quanto sopra, provvederà a riesaminare la regiudicanda nei limiti delle censure formulate con l’appello. Provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’agenzia. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Emilia Romagna.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, compensando le spese nel rapporto con l’intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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