Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8193 del 27/04/2020

Cassazione civile sez. II, 27/04/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 27/04/2020), n.8193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10512/16) proposto da:

A.C., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Maria

Grazia Caruso, e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

A.G., (C.F.: (OMISSIS)), B.C. (C.F.:

(OMISSIS)), A.L. (C.F.: (OMISSIS)) e A.R.

(C.F.: (OMISSIS)), gli ultimi tre in qualità di eredi di

A.A.;

– intimati –

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12 novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con citazione del settembre 1998 A.G., proprietario di 1/3 indiviso di un fabbricato a tre elevazioni fuori terra, ubicato in (OMISSIS), costituito da tre appartamenti della superficie di circa 170 mq posti uno per piano e comproprietario nella stessa misura della corte comune di pertinenza dell’immobile, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, gli altri comproprietari A.C. e A.A., chiedendo lo scioglimento della comunione, non essendo stato possibile ottenerla in via bonaria.

Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti.

A.C. invocava il rigetto della domanda mentre l’ A.A. – pur non opponendosi alla divisione – proponeva domanda in via riconvenzionale diretta ad ottenere dall’attore il pagamento di un terzo del valore locativo dell’appartamento posizionato al primo piano e da lui goduto in via esclusiva da oltre venti anni, essendo inabitabile quello posto al secondo piano ed occupato dalla madre quello a piano terra fino al suo decesso avvenuto nel (OMISSIS).

All’esito della compiuta istruzione probatoria (nel corso della quale veniva esperita anche c.t.u.), il Tribunale adito, con sentenza n. 1944/2006, accoglieva parzialmente la domanda di scioglimento della comunione, assegnando all’attore l’appartamento ubicato al primo piano ed uno dei due locali, mentre ad A.C. veniva attribuito quello sito al piano terra e ad A.A. l’appartamento al secondo piano. Con la stessa sentenza il suddetto Tribunale dichiarava la permanenza della comproprietà, nella misura di 1/3 indiviso, del lastrico solare, della corte e della scala, ponendo a carico del medesimo attore il pagamento dei conguagli in favore dei germani nella misura di circa 4.000,00 Euro, rigettando ogni altra domanda e compensando le spese del giudizio.

2. Interposto appello da parte di A.C., la Corte di appello di Messina, nella costituzione degli appellati (che proponevano, a loro volta, appello incidentale), con sentenza n. 228/2015 (depositata il 10 aprile 2015), così disponeva: a) confermava le attribuzioni così come previste dal Tribunale di prima istanza per gli appartamenti e i locali, assegnando in aggiunta ed in via esclusiva ad A.C. mq. 50,50 della corte comune, disponendo che rimanessero di proprietà comune e di ciascuno dei condividenti nella misura di 1/3 indiviso, il lastrico solare, la scala e la residua corte comune per la superficie di mq. 209,50; b) dichiarava che A.G. era tenuto a corrispondere, a titolo di conguaglio, la somma rivalutata all’attualità di Euro 3.129,31 in favore di A.C. di Euro 5223,04 in favore degli eredi di A.A. (ripartita in Euro 1.741,00 per ciascuno di essi), oltre interessi legali; c) disponeva che le opere indicate dal c.t.u. per il distacco della parte comune da accorpare alla quota assegnata ad A.C. ed il correlato frazionamento catastale venissero eseguite solidalmente dai condividenti con riparto delle relative spese in parti uguali tra A.C., A.G. e gli eredi di A.A.; d) confermava, per il resto, l’impugnata sentenza.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, A.C.. Nessuno degli intimati si è costituto nella presente sede di legittimità.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 201 e segg., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., avuto riguardo alla mancata considerazione dei rilievi che egli aveva mosso alla relazione del c.t.u. con riferimento alla valutazione delle quote come individuate, all’omessa rilevazione delle differenze e alla conseguente erroneità nelle assegnazioni, oltre che con riguardo alla erronea ricomprensione nel valore degli appartamenti delle migliorie apportate da A.G. nell’appartamento al primo piano da lui occupato, senza, inoltre, aver tenuto conto dei lavori realizzati da esso ricorrente al secondo piano dell’immobile (per l’importo di Euro 11.000,00) e, infine, per non aver rilevato lo stato di degrado in cui versavano alcune stanze ed il bagno dell’appartamento ubicato a pian terreno.

2. Con la seconda doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 789 c.p.c. e dell’art. 729 c.c., poichè il procedimento di scioglimento della comunione si era svolto senza dare comunicazione ai condividenti del deposito del progetto divisionale (riconducibile all’elaborato del c.t.u.) onde consentire la relativa discussione e la formulazione di eventuali contestazioni, da cui sarebbe dovuta derivare la conseguente illegittimità dell’ordinanza dichiarativa dell’esecutività del suddetto progetto e di tutti gli atti successivi. In ogni caso, prosegue il ricorrente, in considerazione dell’esiguo valore del conguaglio determinato dal c.t.u., le quote avrebbero potuto ritenersi uguali con conseguente applicazione dell’art. 729 c.c., che prevede, in tale eventualità, l’assegnazione delle quote mediante estrazione a sorte.

3. Rileva, innanzitutto, il collegio che è certamente preliminare, sul piano logico-giuridico, esaminare prima il secondo motivo che attiene alla contestazione – a monte – della legittimità procedimentale del giudizio divisorio.

Esso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Osserva il collegio che, nel caso di specie, è incontestato che le parti – alla stregua della condotta processuale osservata dalle stesse nel giudizio divisorio intrapreso dall’odierno ricorrente A.C., per come desumibile dallo sviluppo del suo svolgimento rappresentato nella motivazione dell’impugnata sentenza – avevano chiesto di procedere allo scioglimento giudiziale della comunione indivisa richiedendo l’attribuzione dei beni secondo le rispettive quote da individuare con l’assegnazione dei beni in concreto divisibili, invocando, altresì, il riconoscimento di ulteriori spettanze riconducibili ad altri titoli (quali, ad es., gli asseriti miglioramenti apportati e il controvalore di alcuni lavori effettuati su uno degli immobili caduti in comunione) da imputare alle quote e l’individuazione di congrui conguagli tali da soddisfare le loro reciproche pretese.

Nell’osservare tale comportamento, perciò, i condividenti avevano inteso concretamente manifestare la volontà di non voler addivenire ad un possibile esito consensuale del giudizio, con ciò denotando l’insussistenza della necessità di discutere preventivamente il progetto di divisione riconducibile all’elaborato del c.t.u., il cui adempimento – previsto dall’art. 789 c.p.c. – rinviene, in effetti, il suo fondamento proprio nel favorire la definizione non contenziosa del giudizio divisorio.

Sulla base di questo presupposto deve, perciò, trovare applicazione il principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. 7525/1983, Cass. n. 242/2010 e, da ultimo, Cass. n. 13621/2017), secondo cui, nel procedimento per lo scioglimento di una comunione, non occorre una formale osservanza delle disposizioni previste dall’art. 789 c.p.c., ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell’udienza di discussione dello stesso – essendo sufficiente che il medesimo giudice istruttore faccia proprio (anche, eventualmente, in forma implicita) il progetto approntato e depositato dal c.t.u., così come non è necessaria la fissazione dell’apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano già escluso, con il loro comportamento processuale (eventualità, per l’appunto, verificatasi nel caso di specie, per quanto già in precedenza precisato), la possibilità di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione, in tal modo giustificandosi la diretta rimessione del giudizio alla fase decisoria.

4. Il primo motivo è, invece, inammissibile perchè – pur a fronte della denuncia di una violazione degli artt. 201 e segg., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., con esso il ricorrente tende a confutare le valutazioni di merito compiute dalla Corte di appello circa la disposta divisione e a far valere l’asserita mancata considerazione di alcuni rilievi mossi alla relazione del c.t.u., che, invece, il giudice di secondo grado ha valutato adeguatamente dando conto del suo convincimento in rapporto alle critiche prospettate con il gravame (v., in particolare, pagg. 5 e 6 dell’impugnata sentenza, laddove si riconferma e viene ulteriormente rafforzata la valutazione già operata dal giudice di prime cure circa l’esaustività della relazione del c.t.u., con riferimento alle diverse caratteristiche dei tre appartamenti, ancorchè di identica superficie, così rimanendo giustificata la diversa attribuzione del valore a ciascuno di essi, rimanendo salvo il computo dei dovuti conguagli, ritenendosi, altresì, giustificata la decisione di lasciare indivisa, in gran parte, la corte comune, proprio sulla scorta delle condivise ragioni esposte nella suddetta relazione, così non ravvisandosi la congruità delle diverse soluzioni prospettate dalle parti). Per effetto della illustrata motivazione la Corte messinese ha, quindi, legittimamente escluso la sussistenza delle condizioni per ritenere che fossero individuabili tre quote effettivamente uguali, onde poter procedere all’estrazione a sorte delle stesse ai fini della loro assegnazione ai tre condividenti.

Sul piano generale deve, peraltro, osservarsi che la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 27000/2016 e Cass. 1129/2019) ha chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Sotto altro profilo generale va, altresì, riconfermato come sia del tutto pacifico che, a seguito della novellazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, intervenuta ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), (convertito, con modif., dalla L. n. 134 del 2012), “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, non è più deducibile con il ricorso per cassazione il vizio di insufficiente motivazione (al quale lo stesso ricorrente – v. pag. 13 del ricorso – riconduce l’asserita carente valutazione, ad opera della Corte di appello, delle contestazioni rivolte alla suddetta relazione peritale del c.t.u., carenza, peraltro, insussistente, come già posto in risalto).

Infatti, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, citato art. 54, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, perciò, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v., per tutte, Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014).

5. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, senza che si debba far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio poichè le parti intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2020

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