Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8193 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8193 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 10597-2014 proposto da:
I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI
GIORNALISTI ITALIANO “GIOVANNI AMENDOLA” C.F.
02430700589, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE
MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO
2016
460

PETROCELLI, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

NUOVA RADIO S.P.A.(ora IL SOLE 24 ORE S.P.A.) C.F.

Data pubblicazione: 22/04/2016

00777910159, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LAMPERTICO FEDELE 12, presso lo studio dell’avvocato
PIERLUIGI BIANCHI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MARIELLA BALBIS, giusta

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2683/2013 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/04/2013 R.G.N.
6021/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/02/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato PETROCELLI MARCO GUSTAVO;
udito l’Avvocato DE BENEDICTIS CATALDO per delega
Avvocato BIANCHI PIERLUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha conlcuso per il
rigetto del ricorso.

delega in atti;

4

RG 10597/14

FATI-0
Con sentenza 17 aprile 2013, la Corte d’appello di Roma respingeva l’appello dell’Istituto
Nazionale di Previdenza Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (INPGI) avverso la

s.p.a., del verbale di accertamento ispettivo dell’Istituto per omissioni contributive per la
complessiva somma di € 56.222,00 notificat9 il 5 aprile 2005, per insussistenza
dell’obbligazione contributiva contestata e di rigetto della domanda riconvenzionale
dell’Istituto di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato
giornalistico tra la società ed Anna Eloisa Casanova, Giuditta Cerutti e Angela Feo.
In esito a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie, anche nel raffronto tra
efficacia probatoria del verbale ispettivo e dichiarazioni testimoniali assunte, la Corte
territoriale condivideva la valutazione probatoria del Tribunale, che, nella sua autonomia
di verifica (ferma l’efficacia costitutiva di status professionale dell’iscrizione delle predette
nell’albo dei praticanti giornalisti e della sua opponibilità erga omnes e nel legittimo
esercizio, quale giudice del rapporto, del suo sindacato incidentale), escludeva la natura
giornalistica dei compiti da loro svolti, in assenza di alcun apporto creativo o critico nella
redazione dei brevi testi o scalette o delle interviste telefoniche per i programmi di
intrattenimento, nell’alveo delle puntuali indicazioni dei conduttori, ben ascrivibili anche
alla figura di assistente di programma; infine, riteneva insufficiente la pubblicazione di
alcuni pezzi su quotidiani, nella prevalenza delle altre mansioni svolte.
Con atto notificato il 17 aprile 2014, l’INPGI ricorre per cassazione con sette motivi, cui
resiste Nuova Radio s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia della
Corte territoriale sull’eccezione, formulata con il primo motivo di appello, di erronea
valutazione del Tribunale, essendosi quella limitata alla conclusione di inefficacia
probatoria dei verbali ispettivi, con motivazione non coerente con detta eccezione.
Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116,
420, primo comma c.p.c., 2697, 2700 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4
c.p.c., per l’aprioristica svalutazione dalla Corte territoriale delle dichiarazioni rese dalle

sentenza di primo grado, di annullamento, in accoglimento del ricorso di Nuova Radio

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lavoratrici, siccome “rese dinanzi agli ispettori e raccolte su moduli standard”, in quanto
confermate davanti al giudice con le garanzie del contraddittorio, senza un raffronto con
le altre assunte, neppure valendo la considerazione del loro interesse, per l’implicazione
nella controversia, essendo comunque state liberamente interrogate in primo grado, con

libero convincimento del giudice.
Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per incoerente argomentazione sulla deduzione,
con il secondo motivo di appello, del valore fortemente presuntivo della prestazione di
attività giornalistica dalle lavoratrici derivante in particolare dalla loro iscrizione al
registro dei praticanti in ragione dell’attività resa in favore di Nuova Radio s.p.a.
Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727,
2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea esclusione del
valore probatorio, per concordanza di presunzioni offerte in assoluzione dell’onere a
proprio carico in relazione al fatto costitutivo, dell’iscrizione d’ufficio, a norma dell’art. 46
d.p.r. 115/1965, delle tre lavoratrici al registro dei praticanti (e pertanto con diretto
accertamento dall’Ordine dei giornalisti della natura giornalistica prestata), ben
disapplicabile, come ogni atto amministrativo, dal giudice del rapporto, purchè in base a
fatto impeditivo, nell’onere probatorio della parte resistente, nel caso di specie mancante,
essendo anzi risultati ulteriori elementi presuntivi (quali la redazione di brevi testi o
scalette, l’esecuzione di interviste telefoniche, la collaborazione in trasmissioni di
intrattenimento e informazione, la scrittura di alcuni pezzi pubblicati sui quotidiani),
peraltro svalutati dalla Corte territoriale, in difetto di concreti elementi contrari.
Con il quinto, il ricorrente deduce l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., consistente nell’apposizione dalle
lavoratrici alle interviste condotte ed ai “pezzi” scritti della propria firma, normale
segnalazione dell’originalità e creatività dell’opera, invece esclusa dalla Corte territoriale.
Con il sesto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 34 e 45 I.
69/1963, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per non corretta indagine
sulla natura dell’attività giornalistica e dei caratteri tipicamente connotanti della
mediazione, critica e creativa, tra il fatto e la sua diffusione, specificamente calibrata
sull’attività di interviste radiofoniche e di redazione di contributi scritti delle tre
lavoratrici, apoditticamente assimilate alla figura di “assistente ai programmi”, neppure
professionalmente tipizzata ma propria della qualifica di alcuni contratti (in particolare dei
dipendenti Rai) e senza adeguata considerazione della loro iscrizione all’albo dei

apprezzamento del loro valore probatorio nel complessivo contesto nella formazione del

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praticanti, con necessità di apprendimento della professione sotto la guida di colleghi più
esperti, quali i conduttori dei programmi.
Con il settimo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per omesso esame del motivo d’appello

giornalistica della prestazione.
Il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia
della Corte territoriale sull’eccezione di erronea valutazione probatoria del Tribunale) può
essere congiuntamente esaminato con il terzo (violazione e falsa applicazione 112 c.p.c.,
per incoerente argomentazione sulla deduzione del valore fortemente presuntivo della
prestazione di attività giornalistica dalle lavoratrici derivante in particolare dalla loro
iscrizione al registro dei praticanti), per la loro stretta connessione.
Essi sono inammissibili.
Non si configura, infatti, il denunciato error in procedendo, non sussistendo vizio di
omessa pronuncia (Cass. 10 novembre 2015, n. 22952; Cass. 24 novembre 2005, n.
24808), quanto piuttosto di motivazione (nella distinzione, decisamente alternativa dei
due vizi, implicando il primo la completa omissione del provvedimento indispensabile per
la soluzione del caso concreto, invece presupponendo il secondo l’esame della questione
oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in
modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione: Cass. 18
giugno 2014, n. 13866; Cass. 17 luglio 2007, n. 15882): insindacabile poi la valutazione
probatoria del giudice di merito, per contrapposizione di una propria dalla parte
ricorrente, in funzione di un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito in sede di
legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5
marzo 2007, n. 5066).
Pure il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 420, primo comma
c.p.c., 2697, 2700 c.c., per l’aprioristica svalutazione dalla Corte territoriale delle
dichiarazioni rese dalle lavoratrici, siccome

“rese dinanzi agli ispettori e raccolte su

moduli standard”), il quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729
c.c., per erronea esclusione del valore degli elementi di prova, in assoluzione dell’onere a
proprio carico, dell’iscrizione d’ufficio delle tre lavoratrici al registro dei praticanti e degli
ulteriori elementi presuntivi offerti, in assenza di alcun elemento contrario) ed il sesto
motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 34 e 45 I. 69/1963, per non
corretta indagine della natura dell’attività giornalistica e dei caratteri tipicamente

riguardante la natura subordinata dei rapporti, sull’assorbente esclusione della natura

RG 10597/14
connotanti della mediazione, critica e creativa, tra il fatto e la sua diffusione) possono
essere congiuntamente esaminati, per ragioni di stretta connessione.
Anch’essi sono inammissibili.
Non si configurano, infatti, le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza

ricostruire la portata precettiva delle norme, né di sussunzione del fatto accertato dal
giudice di merito nell’ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla
giurisprudenza di legittimit’à o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038;
Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio
2006, n. 12984).
Del resto, i motivi si limitano alla deduzione dell’asserita violazione delle regole in tema
di onere e valutazione probatori, in riferimento all’accertamento della natura giornalistica
dell’attività prestata, mentre il ricorso è teso, in realtà, all’essenziale censura della
valutazione degli elementi di prova individuati dalla Corte territoriale. Sicchè, essi sono
piuttosto modulati come contestazioni del ragionamento argomentativo svolto, in modo
corretto ed esauriente, dalla Corte territoriale (a pg. da 2 a 4 della sentenza), così da
risolversi in una sostanziale richiesta di riesame del merito, insindacabile in questa sede,
spettando al giudice di legittimità, non già il riesame nel merito dell’intera vicenda
processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza
logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato
di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre
2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).
In particolare, la norma prevista dall’art. 2697 c.c. regola l’onere della prova, non anche
(come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati
ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115
e 116 c.p.c. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art.
360 c.p.c., primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29
novembre 2012, n. 21234; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 12 febbraio 2004, n.
2707).
E così neppure si configura la denunciata violazione delle norme regolanti l’attività di
giornalista, di cui anzi la Corte territoriale ha correttamente indicato la peculiare
caratterizzazione nella raccolta, elaborazione e interpretazione critica delle notizie,
sostanziantesi nell’apporto creativo, costituito dal personale contributo di pensiero e dalla

dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a

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valutazione della rilevanza della notizia, con giudizio sull’idoneità del fatto ivi riferito ad
incidere sul convincimento del lettore (al terz’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza),
in coerente applicazione del consolidato insegnamento di questa Corte (Cass. 29 agosto
2011, n. 17723; Cass. 25 giugno 2009, n. 14913; Cass. 5 marzo 2008, n. 5926).

probatoria fatta dalla Corte capitolina, in argomentata e persuasa adesione a quella del
Tribunale (per le ragioni esposte in ultimo capoverso di pg. 3 e a pg. 4 della sentenza),
oggetto di un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità.
Il quinto motivo, relativo ad omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione,
consistente nell’apposizione della propria firma dalle lavoratrici alle interviste condotte ed
ai “pezzi” scritti, è pure inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 83/2012, conv. in I.
134/2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso della determinazione di un
esito diverso della controversia in caso di suo esame; con la conseguenza che, nel
rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo
comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa,
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053).
Nel caso di specie, non solo non risultano indicati gli atti nei quali l’apposizione della
firma ai contributi redatti dalle tre lavoratrici sia stata oggetto di discussione tra le parti
(essendo anzi escluso dalla società, all’ultimo capoverso di pg. 14 del controricorso), ma
neppure il fatto appare decisivo, in quanto non rivelativo, accanto all’elemento indubbio
dell’assunzione di paternità e quindi della personalità dello scritto, pure della sua qualità
creativa, anzi esclusa per le ragioni illustrate dalla Corte territoriale, sopra richiamate.
Il settimo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione 112 c.p.c., per omesso esame
del motivo d’appello riguardante la natura subordinata dei rapporti, è inammissibile, per
difetto del vizio denunciato, per assorbimento della questione (Cass. 16 maggio 2012, n.

Ciò che ancora una volta è effettivo oggetto di censura è dunque la valutazione

RG 10597/14
7663; Cass. 11 gennaio 2006, n. 264), una volta esclusa la natura giornalistica della
prestazione.
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con

P.Q.M.
La Corte a
rigetta il ricorso e condanna l’INPGI alla rifusione, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per
compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori
di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma lquater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2016

Il consig

e est.

Il Presidente

lbis dello

regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

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