Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8192 del 06/04/2010

Cassazione civile sez. II, 06/04/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 06/04/2010), n.8192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2078-2005 proposto da:

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio dell’avvocato

CARPAGNANO ROSA C/O ST GIANNI, ORIGONI, GRIPPO &

PARTNERS,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARPAGNANO LUIGI;

– ricorrente –

contro

G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA G ANTONELLI 47, presso lo studio dell’avvocato

D’AGOSTINO NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato CAROPPO

ANTONIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1074/2003 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.G. esponeva: di essere proprietario di un appartamento sito in (OMISSIS), avente accesso attraverso la porta sul secondo ballatoio delle scale dello stabile; che G. F. era proprietario del contiguo appartamento di tre vani e accessori, munito di due separati ingressi “uno con entrata da una passerella esistente nel ballatoio di primo piano (cioè terzo ballatoio delle scale) e l’altro da quest’ultimo ballatoio”; che, con rogito notarile, era stata costituita servitù di passaggio esercitata da G.M., dante causa di G. F., attraverso la saletta di entrata dell’alloggio dell’attore per accedere alla terrazza scoperta e alla soffitta dell’immobile di proprietà dello stesso G.; che tale servitù G.M. aveva esercitato attraverso una porta di comunicazione a tal fine aperta fra la camera al primo piano del di lui alloggio e la predetta saletta di entrata; che, nel (OMISSIS), avendone acquistato il diritto dal padre G.M., G.F. aveva costruito, sulla terrazza scoperta e sulla area occupata dalla soffitta, un secondo piano dotato di scala esterna in muratura per l’accesso, sicchè la botola di accesso alla terrazza attraverso la saletta era stata chiusa.

Sostenendo che, in conseguenza, erano maturate le cause estintive della servitù previste dagli artt. 1073 e 1074 c.c., lo S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani G. F. per sentire dichiarare cessata la detta servitù di passaggio e perchè si ordinasse la chiusura con muratura di tufi, a cura e spese del convenuto, della porta di comunicazione, fra la camera al primo piano di proprietà del G. e la saletta di entrata appartenente all’attore, siccome strumentale solo all’esercizio della servitù e ormai divenuta inutile.

Si costituiva il convenuto, il quale chiedeva il rigetto della domanda esponendo che una domanda identica aveva proposto, dinanzi al Tribunale di Trani, S.R., dante causa dell’attore, contro G.M., dante causa di esso deducente, e che quel giudizio, definito in appello nel 1967, si era concluso negativamente per l’istante di allora con sentenza passata in cosa giudicata.

Il Tribunale di Trani, con sentenza in data 16 novembre 1993, dichiarava l’estinzione della servitù di passaggio, costituita con atto per notar Frezza di Barletta in data 30.12.36 rep. N 4149, per l’accesso attraverso la saletta del quartino di proprietà S. alla sovrastante terrazza del G., ora edificata; rigettava la domanda di chiusura della porta di comunicazione esistente tra la proprietà G. e la cennata saletta dell’attore e condannava il convenuto alla rifusione delle spese processuali.

Avverso la sentenza proponeva appello il G..

Si costituiva in giudizio l’appellato chiedendo il rigetto dell’appello e spiegando appello incidentale avverso il rigetto della domanda di chiusura della porta di comunicazione esistente tra la camera del G. e la saletta di entrata della proprietà S., aperta appunto per accedere al terrazzo di proprietà G. oggi edificato.

Con sentenza dep. il 28 settembre 1998 la Corte di appello di Bari rigettava l’appello principale proposto dal G. e, in parziale accoglimento di quello incidentale dello S., accoglieva la domanda di chiusura della porta di comunicazione in questione.

Rilevava la Corte, innanzitutto che nessuna domanda riconvenzionale è stata ritualmente spiegata in primo grado dal G..

Andava pertanto dichiarata inammissibile la relativa domanda riconvenzionale, proposta con l’atto di appello, per il divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. e conseguentemente andava rigettato l’appello principale.

Con riferimento all’appello incidentale, si rilevava che originariamente gli appartamenti dei litiganti appartenevano ad un unico proprietario, sì che la porta in questione era una comune porta di comunicazione tra due stanze dello stesso appartamento. Era evidente pertanto, dalla lettura dell’atto e delle sue condizioni particolari, che, con la vendita dell’appartamento del primo piano ai due acquirenti, si erano voluti creare due piccoli appartamenti indipendenti: l’unica servitù che era stata volontariamente creata era quella di passaggio sulla saletta dello S. per accedere alla terrazza scoperta ed alla soffitta.

Una volta dichiarata estinta quella servitù di accesso alla terrazza, era automaticamente cessata la servitù di passaggio sulla saletta dello S. e conseguentemente, essendo la porta in questione solo strumentale all’esercizio di detta servitù di passaggio sulla detta saletta per la finalità indicata, andava disposta la chiusura di detta porta di comunicazione, che era stata lasciata aperta, nella divisione dell’originario unico appartamento in due quartini, solo come strumento per l’esercizio della servitù contemplata nell’atto Frezza, e costituita volontariamente. Con sentenza n. 4958/2001 la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso proposto dal G., cassava la sentenza impugnata sul rilievo che la sentenza della Corte di appello non aveva esaminato l’eccezione riconvenzionale con cui il G. aveva dedotto l’esistenza del giudicato esterno costituito dalla sentenza della Corte di appello di Bari n. 663 del 1967 che aveva statuito su analoghe domande.

Riassunto il giudizio di rinvio con sentenza dep. il 13 novembre 2003 la Corte di appello di Bari rigettava entrambi gli appelli proposti dalle parti.

Per quel che ancora interessa nella presente sede, nel respingere l’impugnazione incidentale proposta dallo S. avverso la statuizione di rigetto della domanda di chiusura della porta di comunicazione pronunciata dal Tribunale, i Giudici osservavano che con la decisione n. 663 del 1967 la Corte di appello di Bari aveva ritenuto che la porta di comunicazione non aveva carattere strumentale rispetto all’esercizio della servitù di passaggio, posto che la stessa preesisteva al rogito del (OMISSIS) con cui l’originario proprietario dell’unico appartamento lo alienò dividendolo in due unità immobiliari e non fu creata in funzione della servitù di passaggio: tale motivazione, seppure aggiuntiva rispetto a quella adottata dal Tribunale, aveva efficacia di giudicato nella presente controversia; quindi condannava l’attore al ripristino della porta che era stata eliminata in esecuzione della sentenza cassata.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione lo S. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando omesso esame e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), censura la decisione gravata che, nel ritenere l’esistenza del giudicato esterno, non aveva compiuto la necessaria indagine sul contenuto delle sentenze di rigetto n. 482/66 del Tribunale di Trani e n. 663 del 1967 della Corte di Bari confrontandole con quelle di accoglimento n. 800/94 del Tribunale di Trani e n. 835/98 della Corte di appello di Bari, poi cassata: ove avessero compiuto tale indagine, i Giudici avrebbero riscontrato la mancanza di identità del petitum e della causa petendi; in nessuno dei processi definiti con le menzionate sentenze era stato chiesto o accertato il diritto del G. di accedere al proprio appartamento attraverso il passaggio dalla saletta di proprietà S.: con le prime la domanda attorea di estinzione della servitù era stata rigettata per il mancato decorso del termine di prescrizione, con le successive la domanda è stata invece accolta essendo maturato detto termine.

Se è vero che la sentenza di rigetto attribuisce alla parte vincitrice (cioè al convenuto) il bene della vita controverso – osserva ancora il ricorrente – il contenuto della sentenza di rigetto può essere diverso in ragione del motivo su cui si fonda e che, perciò, assume valenza decisiva, tenuto conto che l’autorità del giudicato non è di ostacolo alla allegazione di nuovi e posteriori fatti che non coincidono con il motivo per cui la domanda sia stata rigettata: pertanto, la diversità dei motivi addotti a supporto di dette sentenze comportava l’insussistenza del dedotto giudicato e doveva confermarsi la decisione 835/98 cassata.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la sentenza impugnata laddove non aveva considerato che la sentenza n. 663 del 1967 non aveva inteso escludere o modificare la motivazione della decisione di primo grado ma soltanto rafforzarne le conclusioni attraverso una sua riflessione logica; in presenza di due ipotesi di motivazione non ricorreva l’ipotesi del giudicato esterno che precludesse una decisione del tipo di quella adottata dalla decisione poi cassata; secondo quanto risultava dall’atto Frezza del (OMISSIS), non era rispondente al vero che prima del (OMISSIS) attraverso la saletta del quartino venduto al dante causa dello S. si accedeva al quartino venduto al dante causa di G.F. nè che questi avesse mai esercitato la servitù di passaggio; neppure era vero che le circostanze dedotte da G.F. fossero state accertate e riconosciute con le sentenze di rigetto n. 482/66 del Tribunale di Trani e n. 663 del 1967 della Corte di appello di Bari.

I motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Le censure sono infondate.

La sentenza impugnata, nell’attenersi a quanto statuito dalla Suprema Corte, ha proceduto all’esame della sentenza n. 663 del 1967 della Corte di appello di Bari, accertando quindi che tale decisione costituiva giudicato esterno vincolante nel presente giudizio.

La risoluzione della questione decisiva dipende dall’interpretazione della richiamata sentenza che il Collegio deve compiere al fine di verificare se ricorrono i requisiti del giudicato esterno. Al riguardo è appena il caso di ricordare che, tenuto conto della natura del giudicato,assimilabile agli “elementi normativi”, la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi. Pertanto, il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (S.U. 24664/2007).

Orbene, dall’esame della sentenza n. 663 del 1967 è risultato che nel giudizio definito con tale decisione S.R., dante causa dell’attore, aveva chiesto: la declaratoria di estinzione della servitù di passaggio a favore di G.M. attraverso la saletta di ingresso dell’abitazione per accedere alla soprastante terrazza scoperta e conseguentemente di ordinarsi la chiusura della porta di comunicazione tra la saletta e l’attigua camera del convenuto. Occorre considerare che:

a) in quel giudizio, mentre la domanda di estinzione della servitù era rigettata per il mancato decorso del termine prescrizionale (l’impossibilità di esercizio per la chiusura della botola comportava la quiescenza della servitù ma non l’estinzione che postula il non uso ventennale), la richiesta di chiusura della porta era respinta innanzitutto sull’assorbente rilievo che la stessa preesisteva al rogito Frezza e non era stata creata in funzione della servitù, atteso che essa esisteva quando i due appartamentini venduti con il detto rogito costituivano un unico appartamento e consentiva di accedere dalla saletta di ingesso ai vani retrostanti e non poteva configurare neppure una servitù di passaggio; tale motivazione, di per sè assorbente di ogni altra, e costituente la ratio decidendi della relativa statuizione di rigetto, era poi confermata con la ulteriore considerazione – evidentemente resa ad abundantiam e, come tale, priva di alcuna rilevanza – che seppure fosse stata strumentale all’esercizio della servitù, la mancata estinzione di questa avrebbe comunque comportato anche il rigetto della domanda consequenziale di chiusura della porta;

b) nel presente giudizio, è stata accolta la domanda di declaratoria di estinzione della servitù di passaggio per il non uso ventennale (nel frattempo maturato) mentre, per effetto del giudicato esterno di cui alla richiamata sentenza che aveva escluso il carattere strumentale all’esercizio della servitù, è stata confermata la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di chiusura della porta.

Orbene, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggetti vi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta e del bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato): in particolare la pronuncia di rigetto della domanda fa stato e ne preclude il riesame con riferimento ai fatti posti a base della domanda che hanno formato oggetto dell’indagine del giudice e delle statuizioni necessarie ed indispensabili per giungere a una determinata decisione.

Nella specie, non vi è alcun dubbio sulla identità del petitum e della causa petendi dei due giudizi in relazione alla domanda di chiusura della porta, che in entrambi i giudizi si basa ed è conseguenza della dedotta cessazione della servitù di passaggio di cui era stata chiesta la estinzione: la circostanza che nel primo procedimento la domanda di declaratoria di cessazione della servitù è stata respinta mentre nel secondo giudizio è stata accolta è del tutto irrilevante, atteso che, secondo la ratio decidendi della sentenza n. 663 del 1967, la pronuncia di rigetto della domanda di chiusura della porta, pur sempre chiesta quale provvedimento consequenziale al venir meno della servitù in funzione della quale sarebbe stata preordinata, si è fondata – come si è detto – sull’accertato carattere non strumentale della predetta servitù e, perciò, non era conseguente al rigetto della domanda di declaratoria di cessazione della servitù; infatti, come sopra chiarito, era da considerarsi una motivazione ad abundantiam costituente un obiter dictum, l’ulteriore argomentazione che faceva riferimento all’inesistenza delle condizioni per la cessazione della servitù.

Tali considerazioni inducono ad escludere che la domanda successivamente proposta con il presente giudizio abbia introdotto fatti ulteriori o sopravvenuti non coincidenti con quelli in relazione ai quali la domanda era stata rigettata: sono del tutto irrilevanti le (sopravvenute) ragioni invocate nel presente giudizio per l’accoglimento della domanda di cessazione della servitù (il non uso ventennale nelle more maturato), tenuto conto che la richiesta di chiusura della porta era formulata sempre come consequenziale alla invocata cessazione della servitù e, quindi, sempre in relazione al medesimo fatto negativamente accertato dalla sentenza di rigetto n. 663 del 1967, cioè il carattere strumentale della porta rispetto alla servitù di passaggio per l’accesso al terrazzo.

L’accertamento della cosa giudicata precludeva ogni altra considerazione in ordine alla situazione giuridica dedotta in giudizio.

Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la decisione impugnata che avrebbe violato il principio secondo cui la riassunzione del giudizio di rinvio si configura non come atto di impugnazione ma come attività di impulso processuale volto a riattivare la prosecuzione del giudizio concluso con la sentenza cassata, dando vita a un processo chiuso nel quale è preclusa la proposizione di domande ed eccezioni nuove: nella specie, la sentenza aveva ordinato il ripristino della porta, quando il ricorrente aveva eccepito l’inammissibilità della domanda che era stata per la prima volta proposta con la comparsa conclusionale depositata nel giudizio di rinvio; nei precedenti gradi di giudizio il G. non aveva mai chiesto il riconoscimento del diritto di accedere al suo appartamento attraverso la saletta su cui si affacciava l’originaria porta di comunicazione, essendosi limitato a chiedere il rigetto della domanda senza spiegare riconvenzionali, come pure attestato dalla richiamata sentenza della Suprema Corte.

Il motivo è infondato.

Va in primo luogo rilevato che dall’esame degli atti, consentito dalla natura processuale del vizio lamentato, con l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio il G. chiese che fosse ordinato il ripristino della porta che era stata eliminata in esecuzione della sentenza della Corte di appello poi cassata. La richiesta, diretta ad ottenere il ripristino dello status quo ante, era evidentemente ammissibile ai sensi dell’art. 389 cod. proc. civ., secondo cui le domande di restituzione e di riduzione in ripristino e ogni altra conseguente alla sentenza della cassazione si propongono al giudice di rinvio, ed è stata correttamente accolta in quanto era conseguente alla decisione che aveva accolto la domanda di chiusura della porta, domanda che in sede di rinvio è stata rigettata.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2010

 

 

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