Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8190 del 11/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/04/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 11/04/2011), n.8190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.P. e C.R.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 53/12/05, depositata il 6 giugno 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

gennaio 2011 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

ZENO Immacolata la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di liquidazione, notificato a B.P. e C.R., dell’imposta di successione dovuta a seguito della morte di B.R.. Il giudice d’appello, in particolare, ha ritenuto che l’atto impugnato, con il quale l’Ufficio aveva escluso alcune passività dichiarate, fosse illegittimo per difetto di motivazione in ordine alle ragioni specifiche della esclusione di dette passività, con conseguente impossibilità di operare la ricostruzione dell’iter logico e giuridico che aveva portato all’emissione dell’avviso.

2. I contribuenti non si sono costituiti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha affermato che la documentazione prodotta dall’Ufficio in appello (elenco analitico delle passività non riconosciute) non fosse idonea a sanare i vizi dell’avviso impugnato. nonostante che la norma anzidetta consenta di produrre nuovi documenti in fase di gravame.

Il motivo è infondato, poichè la prova della pretesa tributaria, che l’Ufficio è tenuto a fornire in sede contenziosa, è cosa distinta – ed opera su un piano diverso – dal requisito della motivazione dell’atto impositivo, il quale attiene alla legittimità formale dell’atto, profilo differente dalla sua fondatezza nel merito.

2.1. Il secondo motivo contiene una duplice censura: in primo luogo, si denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 33 osservando che, per gli avvisi di liquidazione dell’imposta di successione, non sussiste un obbligo specifico di motivazione, poichè l’Ufficio liquida l’imposta sulla base dei dati dichiarati dal contribuente, verificando esclusivamente l’idoneità della documentazione allegata alla dichiarazione di successione in funzione delle finalità perseguite; in secondo luogo, si censura la sentenza perchè il giudice, dopo aver rilevato l’illegittimità dell’atto impugnato nella parte in cui non indica e motiva adeguatamente le passività escluse, ha proceduto i all’annullamento totale dell’atto stesso, anzichè disporre la riliquidazione dell’imposta dovuta nella parte non oggetto di contestazione.

Il primo profilo di censura è infondato.

Con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 (applicabile nella fattispecie ratione temporis), il legislatore, nel riprodurre, per le singole imposte, il contenuto della L. n. 212 del 2000, art. 7 (cd. Statuto del contribuente) in tema di motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, ne ha, in generale, attenuato il disposto e lo ha adattato alle singole tipologie di atti destinati al contribuente, tenendo conto della natura e della funzione di ciascuno di essi; in particolare, nella materia che qui interessa, mentre è stato ribadito, a pena di nullità, l’obbligo di indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche posti a fondamento dell’atto e quello di allegazione – o riproduzione del contenuto essenziale – degli atti richiamati con riguardo, rispettivamente, all’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta e all’avviso di accertamento e liquidazione d’ufficio (del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34 e art. 35, comma 2 bis), analogo intervento non è stato operato in ordine all’avviso di liquidazione di cui all’art. 33: e ciò in quanto tale avviso si risolve, di regola, in una mera liquidazione d’imposta, secondo criteri predeterminati dalla legge ed attraverso semplici operazioni contabili, alla stregua di quanto dichiarato dallo stesso contribuente (Cass. nn. 4566 del 2010 e 5052 del 2011).

Tuttavia, il comma 3 di quest’ultimo articolo, dispone, con riferimento al potere dell’Ufficio di correggere gli errori materiali e di calcolo e di escludere le passività (o altri oneri, riduzioni e detrazioni) esposte in dichiarazione ma non spettanti o non documentate, che dette correzioni ed esclusioni “devono risultare nell’avviso di liquidazione dell’imposta”. Deve al riguardo ritenersi che tale obbligo non possa essere assolto in modo generico e globale, ma esiga, al fine di porre il contribuente in condizione di approntare una adeguata difesa, che le “voci” escluse siano analiticamente individuate, si che per ciascuna di esse sia comprensibile la ragione del mancato riconoscimento, con riguardo ai distinti requisiti previsti nel D.Lgs. n. 346, art. da 20 a 26.

Nella fattispecie, il giudice di merito, con accertamento di fatto non contestato, ha affermato che l’avviso impugnato, “pur contenendo in modo sintetico e generico i motivi che hanno portato alla esclusione di alcune passività, non specifica affatto il collegamento con le singole poste depennate”, le quali “non vengono analiticamente indicate e, quindi, non contengono le specifiche ragioni della loro esclusione”.

Ne deriva che tale motivazione va esente da censure.

2.2. E’ invece fondata la seconda doglianza contenuta nel motivo.

Appare, infatti, evidente che l’accertata illegittimità, per difetto di motivazione, dell’avviso di liquidazione nella parte concernente la operata riduzione di alcune passività esposte nella dichiarazione non autorizzava certo il giudice a pronunciare l’annullamento totale dell’atto, bensì (in ragione della natura del processo tributario, annoverabile tra quelli di impugnazione-merito) a provvedere alla rideterminazione della pretesa tributaria nella misura ritenuta corretta, cioè comprensiva delle passività illegittimamente escluse.

3. In conclusione, va accolta la seconda censura del secondo motivo e rigettata ogni altra doglianza; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a detta censura e la causa rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la quale provvederà in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2011

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