Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8188 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 24/03/2021), n.8188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3512-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA CARLO POMA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6374/2014 della COMM.TRIB.REG.LOMBARDIA,

depositata il 03/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

La contribuente M.M.R. impugnava davanti alla CTP di Pavia l’avviso di accertamento, basato sugli studi di settore, relativo a maggiore imposta irpef, irap ed iva per il 2004.

La CTP, in parziale accoglimento del ricorso, rideterminava il reddito di impresa in Euro 15.000.

A seguito di tale sentenza, l’ufficio emetteva due cartelle per Euro 83.317,74. La contribuente impugnava le cartelle sempre davanti alla CTP di Pavia che dichiarava inammissibile il ricorso.

Appellava quest’ultima sentenza davanti alla CTR della Lombardia che annullava le cartelle per quanto eccedente l’importo di Euro 15.000 stabilito dalla prima sentenza della CTP, che era passata in giudicato.

Per la cassazione della sentenza della CTR ricorre a questa Corte l’ufficio sulla base di tre motivi.

Si costituisce la contribuente con controricorso.

La stessa ha anche depositato memoria del 5.11.2020.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

L’importo delle cartelle rispettava il decisum della sentenza della CTP n. 246/10 nel giudizio sull’avviso di accertamento, passata in giudicato.

Con il secondo motivo deduce omesso esame e/o motivazione circa un fatto decisivo e controverso (art. 360 c.p.c., n. 5).

L’ufficio aveva illustrato i criteri per giungere all’importo inserito nelle cartelle, ma la CTR ha disatteso tali criteri senza adeguata motivazione.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

La CTR doveva procedere alla esatta determinazione degli importi, se riteneva che quelli iscritti in cartella non fossero corretti.

La contribuente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, non avendo provveduto a depositare gli atti presupposti della causa.

Il terzo motivo appare fondato, con assorbimento dei restanti.

Non vi è dubbio, infatti, che al di là della chiarezza o meno dei fatti emergenti dal ricorso, nel momento in cui la CTR ha accolto l’appello del contribuente, annullando le cartelle affermando che gli importi iscritti a ruolo non erano corretti e che gli stessi andavano ricalcolati partendo dal dato secondo cui l’unico elemento certo era il debito di 15.000 Euro come risultante dalla sentenza passata in giudicato -, doveva procedere essa stessa alla determinazione dell’importo dovuto, e non annullare semplicemente le cartelle.

Posto, infatti, che il processo tributario è un giudizio di “impugnazione merito” e non di mera “impugnazione – annullamento”, il giudice che ritenga l’atto contenente la pretesa impositiva viziata per ragioni sostanziali relative alla determinazione del quantum dell’imponibile o dell’imposta, non può limitarsi all’annullamento dell’atto ma deve egli stesso procedere alla corretta quantificazione della pretesa impositiva (in questo senso, tra le altre, sez. V, n. 23714 del 2019, con riferimento all’avviso di accertamento, ma il principio non muta in relazione alla cartella; nello stesso senso sez. V, n. 19750 del 2014). Non è, quindi, sostenibile che ciò la CTR abbia fatto “per relationem”, demandando tale compito all’ufficio, come sostenuto dal contribuente per eccepire l’infondatezza del motivo, atteso che la ricordata natura di impugnazione-merito del giudizio tributario impone all’organo giudicante di determinare l’importo dovuto, qualora ritenga non corretto quello contenuto nell’atto impositivo, e la asserita delegabilità ad una delle parti di tale compito non trova alcun fondamento normativo e contrasta con la suddetta natura del giudizio tributario. Nel caso di specie, la CTR ha, quindi, errato laddove, pur riconoscendo certamente dovuta una parte degli importi iscritti a ruolo, non ha proceduto alla determinazione di tale importo, ma ha interamente annullato l’atto sul quale si basava la pretesa dell’ufficio.

Questa sola considerazione è sufficiente a determinare l’accoglimento del ricorso sotto questo profilo, con assorbimento dei primi due motivi che, peraltro, tendevano a far valere vizi pur sempre attinenti al processo logico-motivazionale del giudice di appello.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata, con rinvio della causa alla CTR della Lombardia, anche ai fini della determinazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla CTR della Lombardia, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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