Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8184 del 24/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 24/03/2021), n.8184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 04509/2014 R.G. proposto da:

Jolly Immobiliare s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Parioli n. 43,

presso lo studio dell’avv. Francesco D’Ayala Valva, che la

rappresenta e difende con l’avvocato Gianfranco Gaffuri, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 135.06.13 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 21 ottobre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 ottobre

2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dalla Jolly Immobiliare s.p.a. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo a rettifica della dichiarazione dei redditi di impresa per l’anno di imposta 2004, con ripresa a tassazione di una contestata plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione societaria.

2. Ha rilevato il giudice di appello che le prove acquisite in atti consentivano di dichiarare l’interposizione fittizia della società semplice Adspicio tra la odierna contribuente e la Fondazione Maugeri nella cessione delle quote della Belforte 22 s.r.l., come fatto palese dalla accertata circostanza che l’acquirente fondazione aveva contrattato preliminarmente direttamente con la Belforte 22 e non con l’apparente venditrice Adspicio, a nulla rilevando le dichiarazioni rese nel parallelo procedimento penale e versate in atti, parte delle quali giudicava tardive e come tali inammissibili e altre del tutto inattendibili. Valutava, infine, inapplicabile alla fattispecie il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87 in tema di plusvalenze esenti, siccome l’intero patrimonio della Belforte 22 a r.l., società le cui quote erano stata oggetto di cessione, coincideva con un terreno edificabile, estraneo all’esercizio di impresa.

3. Per la cassazione della citata sentenza la Jolly Immobiliare s.p.a. ha proposto ricorso affidato a sette motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

4. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Omessa considerazione, nei suoi termini reali, di un fatto pacifico e decisivo per il giudizio, dedotto dialetticamente nelle fasi di merito (ovvero l’incasso, da parte del dottor S.A. – controparte negoziale, per sè o per altri, di Jolly Immobiliare, prima venditrice della partecipazione in Belforte 22 – del prezzo pattuito e il deposito della somma così ottenuta sui conti correnti personali del secondo venditore), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

b. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 72, (testo unico sulle imposte sui redditi), nonchè della nozione giuridica di reddito imponibile, e del principio di capacità contributiva proclamato dall’art. 53 Cost., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo che nel caso di specie il profitto della cessione della partecipazione sia stato conseguito da S.A. e non dalla contribuente.

c. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo la falsa applicazione della normativa in tema di rettifica della dichiarazione dei redditi, siccome nella specie mancano le condizioni per asserire che vi sia stata un’artificiosa interposizione soggettiva, con conseguente attribuzione alla contribuente di un reddito generato da altri.

d. Quarto motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 – richiamato dall’art. 61 dello stesso testo normativo – irriferibile alla fase cautelare del giudizio di appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo l’erroneità della declaratoria di inammissibilità dei documenti depositati dal contribuente con la memoria illustrativa prodromica all’udienza del 14 marzo 2013.

e. Quinto motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, i quali uniformemente vietano la pluriapplicazione della stessa imposta con riguardo al medesimo presupposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo la violazione del divieto di doppia imposizione, nella specie verificatosi in dipendenza dell’applicazione dell’accertamento della plusvalenza tanto nei confronti della interponente ricorrente che dell’interposta Adspicio.

f. Sesto motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. d, concernente una delle condizioni per applicare il regime di esenzione alla plusvalenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo plurimi errori di giudizio della CTR in relazione all’affermata estraneità dell’attività di compravendita del terreno dall’attività di impresa della Belforte 22 s.r.l.

g. Settimo motivo: “Omessa considerazione di circostanze rilevanti e decisive per il giudizio – con riguardo all’invocata applicazione del regime fiscale di favore previsto dall’art. 87 alla vendita della partecipazione nella Belforte 22, ma negata infondatamente dalla Commissione regionale – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

2. L’Agenzia delle Entrate argomenta l’infondatezza del ricorso, di cui chiede il rigetto.

3. Il ricorso va respinto.

4. Il primo motivo è inammissibile. La censura lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 Tuttavia la presente controversia è regolata dal nuovo testo dell’articolo citato, essendo la sentenza stata depositata dopo l’11 settembre 2012, e quindi il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi del citato articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018). Nel caso di specie non solo il fatto che si pretende omesso è rappresentato da una testimonianza resa in altro processo e prodotta in atti, e dunque appartiene al novero degli elementi istruttori. Ma, addirittura, non risulta nemmeno che la circostanza sia stata omessa, posto che la CTR ha esaminato le dichiarazioni rese dal S., valutandole motivatamente inattendibili.

5. Il secondo motivo è inammissibile poichè, sebbene formalmente avente per oggetto una falsa applicazione della normativa identificante il concetto di reddito imponibile, nella sua sostanza torna a contestare la valutazione di merito compiuta dal giudice di secondo grado, dando per incontrovertibile – ciò che invece è tanto controverso da essere stato motivatamente escluso in sentenza – e cioè che il S. sia stato l’unico e effettivo destinatario della plusvalenza derivante dalla vendita della partecipazione per cui è causa.

6. Il terzo motivo è inammissibile poichè, sebbene formalmente avente per oggetto una falsa applicazione della normativa identificante l’effettivo fruitore della ricchezza imponibile, nella sua sostanza torna a contestare la valutazione di merito compiuta dal giudice di secondo grado, dando per provato nella specie che il possesso di ricchezza imponibile sia imputabile a soggetto diverso dalla ricorrente.

7. Il quarto motivo è infondato poichè la stessa ricorrente riconosce che l’udienza del 14 marzo 2013 era stata fissata sia per la trattazione cautelare che di merito e, dunque, la preclusione al deposito di documenti rilevata dalla CTR si sottare alla censura, che postula come presupposto indefettibile che l’udienza sia fissata per la sola fase cautelare. Del tutto inammissibile si rivela poi la pretesa della ricorrente di sindacare la decisione istruttoria di accorpare cautela e merito, che appartiene alla scelta del giudice istruttore del grado.

8. Il quinto motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente alcun interesse a lamentare la pretesa violazione del divieto di doppia imposizione, sol che si consideri che, per evitare tale fenomeno, nell’ipotesi di interposizione fittizia, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 4, prevede che sia l’interposto a poter chiedere il rimborso di quanto eventualmente pagato a titolo di imposizione fiscale per somme non realmente percepite e imputate all’interponente; ciò che verrà concesso solo se e quando vi sarà stato il definitivo accertamento dell’effettività dell’interposizione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1166 del 22/01/2010). Ne consegue che l’interponente, quale effettivo fruitore della plusvalenza, non ha alcun interesse a dolersi di un’ipotetica doppia imposizione, poichè come detto l’ordinamento prevede positivamente un meccanismo che ne neutralizza gli effetti, tuttavia attivabile da e nell’esclusivo interesse del soggetto interposto, unico quindi legittimato a interloquire sul punto.

9. Il sesto motivo è inammissibile poichè, sebbene formalmente avente per oggetto una falsa applicazione della normativa identificante la participation exemption prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. d, nella sua sostanza contesta il giudizio di valutazione delle prove effettuata dal giudice del merito al fine di attribuire alla partecipazione ceduta una natura estranea all’oggetto di impresa e, dunque, si rivela inammissibile per le motivazioni già evidenziate a proposito del primo motivo di ricorso.

10. Il settimo motivo è inammissibile perchè, come già rilevato a proposito del primo motivo del ricorso, contesta in effetti il giudizio sulle prove effettuato dal giudice del merito che è insindacabile in questa sede se – come nella specie è accaduto – il percorso motivazionale è ben individuabile, non essendo il giudice del merito tenuto a esaminare l’intero contesto probatorio a sua disposizione, ma solo a fornire congrua motivazione della scelta compiuta.

11. La soccombenza regola le spese.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Jolly Immobiliare s.p.a. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

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