Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8183 del 29/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 29/03/2017, (ud. 11/04/2016, dep.29/03/2017),  n. 8183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.N.G., rappresentato e difeso, per procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Gabriele De Paola,

presso lo studio della quale in Roma, via Giulia di Colloredo n.

46/48, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato per legge;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 468/2014,

depositato il 7 marzo 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

aprile 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia il 23 settembre 2010, V.N.G. chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio nel marzo 1999 e deciso con sentenza del 14 giugno 2010; giudizio volto ad ottenere il riconoscimento del trattamento stipendiale di cui alla L. n. 958 del 1986, art. 40;

che, con decreto depositato il 7 marzo 2014, la Corte d’appello rigettava la domanda per assenza di un pregiudizio importante, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 633 del 2014;

che la Corte d’appello rilevava altresì che il TAR, nella sentenza che aveva definito il giudizio, aveva affermato in modo estremamente chiaro che la pretesa del ricorrente doveva ritenersi palesemente infondata sulla base di un orientamento consolidato del giudice amministrativo;

che, quindi, tenuto anche conto del fatto che l’istanza di prelievo era stata presentata nel dicembre 2004, e cioè in un momento di gran lunga successivo a quello del deposito della domanda, doveva escludersi la sussistenza di un effettivo paterna d’animo o di una qualsivoglia sofferenza morale, tale da poter essere considerata rilevante ai fini della CEDU e comunque delle norme nazionali in materia di equa riparazione;

che per la cassazione di questo V.N.G. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso e ha a sua volta proposto ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU e della L. n. 89 del 2001, art. 2, dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia considerato che il pregiudizio morale discende per le parti di un processo che si sia irragionevolmente protratto, a prescindere dal fatto che le parti siano risultate vittoriose o soccombenti, trovando tale principio deroga nei soli casi di lite temeraria o di abuso del processo; con la precisazione che tali condizioni non si identificano con la dimostrazione della infondatezza delle tesi in diritto sulle quali si basa la pretesa azionata nel giudizio presupposto, non essendo peraltro rilevante, in linea di principio, la consapevolezza della infondatezza della pretesa stessa;

che il Ministero dell’economia e delle finanze, con ricorso incidentale, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività;

che il ricorso incidentale è inammissibile, atteso che non risulta documentata l’avvenuto perfezionamento della sua notificazione a mezzo posta, non avendo l’amministrazione depositato l’avviso di ricevimento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è l’unico elemento idoneo a dimostrare la conclusione del procedimento notificatorio (Cass., S.U., n. 627 del 2008);

che il ricorso principale è fondato;

che nella giurisprudenza di questa Corte il diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011; Cass. n. 10500 del 2011 e Cass. n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una prete sa di puro azzardo; b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 23373 del 2014), che ricorre allorchè lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325 del 2015);

che, inoltre, il comma 2-quinquies, aggiunto della L. n. 89 del 2001, art. 2, dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3), convertito, con modificazioni, in L. n. 134 del 2012, ha previsto, con elencazione da ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della fattispecie;

che tale norma è stata oggetto di ulteriore intervento da parte del legislatore con la L. n. 208 del 2015, la quale ha disposto che “non è riconosciuto alcun indennizzo: a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 c.p.c.;

che, in base alla disciplina ratione temporis applicabile, tra le ipotesi di esclusione del diritto all’indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo non rientra quella della manifesta infondatezza della domanda, ove non sia caratterizzata dall’ulteriore profilo della temerarietà o della abusività (Cass. n. 21131 del 2015; Cass. n. 18834 del 2015);

che, nella specie, la Corte d’appello si è allontanata da tale ricostruzione della disciplina, estendendo il divieto d’indennizzo all’ipotesi di manifesta infondatezza della domanda, senza procedere ad un’autonoma valutazione della esistenza di profili di temerarietà della stessa;

che il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio, per nuovo esame della domanda alla Corte d’appello di Perugia la quale, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2017

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