Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8183 del 22/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 8183 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 19628-2014 proposto da:
GAMBINO RITA C.F. GMBRT155D50F158W, in proprio e
nella qualità di procuratrice generale dei figli
MALARA DAVIDE, MALARA EMANUELE e MALARA DANILO, quali
eredi di MALARA CLAUDIO, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato
2016
101

ALESSANDRO PELLEGRINO, Studio Gentili & Partners,
rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSANDRO
ARENA, ANNA DE LUCA giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 22/04/2016

AUTORITA’ PORTUALE DI MESSINA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in

ROMA,

VIA

RIMINI

14,

presso

lo

studio

dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, rappresentata e
difesa dall’avvocato OLIVO CANDELORO, giusta delega

– controrícorrente

avverso la sentenza n. 2132/2013 della CORTE
D’APPELLO di MESSINA, depositata il 22/01/2014 R.G.N.
984/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/01/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per:
in via principale inammissibilità in subordine
rigetto .,att n-k.gts.0 —

in atti;

Svolgimento del processo
Con sentenza del 26/11/13 – 22/1/2014 la Corte d’appello di Palermo, in parziale
accoglimento dell’impugnazione proposta dall’Autorità Portuale di Messina avverso la
sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Messina, ha parzialmente riformato
quest’ultima decisione e, per l’effetto, ha condannato l’appellante a corrispondere a
Gambino Rita, Malara Davide, Malara Emanuele e Malara Danilo, quali eredi di Malara

lavoro straordinario prestato dal dante causa nel periodo in cui era stato alle
dipendenze del predetto ente dall’1.1.1992 al 31,12.1995.
La Corte ha spiegato che la determinazione del minor importo rispetto a quello di €
26.720,07 liquidato dal primo giudice dipendeva dal fatto che quest’ultimo aveva
violato il principio del divieto di ultrapetizione nel momento in cui aveva riconosciuto ai
predetti eredi emolumenti che sarebbero spettati al loro dante causa in relazione al
periodo successivo al deposito del ricorso introduttivo del giudizio, dovendosi tener
conto del limite della pretesa ancorata al periodo compreso fino al 31.12.1995. Nel
contempo la Corte territoriale ha respinto l’appello incidentale degli eredi, volto al
riconoscimento dell’inquadramento nel superiore livello del loro dante causa, in quanto
nel corso del giudizio di primo grado il procuratore del Mara aveva rinunciato a tale
domanda e la stessa rinuncia era stata accettata dal procuratore della controparte.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso Gambino Rita, Malara Davide,
Malara Emanuele e Malara Danilo con due motivi.
Resiste con controricorso l’Autorità Portuale di Messina.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 420, 421, 112 c.p.c., nonché la violazione o
falsa applicazione di norme di diritto circa un fatto decisivo della controversia che è
stato oggetto di discussione tra le parti in ordine all’ampliamento della domanda
concernente il periodo nel quale è stato svolto il lavoro straordinario. E’, altresì,
denunziato “Verror in procedendo” ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.
Sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nell’affermare
che il primo giudice aveva adottato una decisione viziata da ultrapetizione allorquando
aveva statuito che non potevano riconoscersi al Malara, e per esso ai suoi eredi, le
pretese ricadenti nel periodo successivo al deposito del ricorso, avvenuto nel luglio del
1996, dovendosi tener conto del limite della domanda ancorata fino al 31.12.1995.
Invece, secondo i ricorrenti, la richiesta del loro dante causa di vedersi riconosciuto lo
svolgimento di lavoro straordinario dal 1996 al 1998 non rappresentava, come
erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, un domanda nuova, bensì un’ammissibile

Claudio, la somma di € 12.624,06, oltre accessori di legge, a titolo di compenso per

”emendatio libelli”, contenendo il ricorso di primo grado il riferimento all’arco
temporale dal 10 gennaio 1992 in poi, tanto che la documentazione presente in atti,
esaminata anche dal consulente d’ufficio, comprendeva il periodo dal 1992 al 1998. In
definitiva la richiesta formulata al giudicante, nella comparsa di costituzione del nuovo
procuratore, di prendere in considerazione il periodo 1992 – 1998 rappresentava solo
una precisazione della domanda e non un suo mutamento, stante il solo aumento

Il motivo presenta, anzitutto, un evidente profilo di inammissibilità.
Infatti, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. sez. 1 n. 19443
del 23/9/2011) “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la
sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse
ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non
essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili
incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli
elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa
applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto
intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che
richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e
l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della
sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a
pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa
identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si
porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle
questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito
della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole
censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione
enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni
sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di
legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al
fine di decidere successivamente su di esse.” (conf , a Cass. Sez. 3, n. 10295 del
7/5/2007)
Inoltre, posto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di cui all’art.
366 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., impone alla parte ricorrente la specifica indicazione dei
fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonché la
descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori con eventuale
trascrizione dei passi salienti, non può non rilevarsi che nel caso in esame tale onere
non è assolto, dal momento che la difesa dei ricorrenti avrebbe dovuto riportare il

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quantitativo della somma pretesa originariamente per lo stesso titolo.

contenuto specifico dell’atto introduttivo del giudizio e della comparsa di costituzione
del nuovo difensore che concerneva gli esatti termini della questione dello
straordinario, cioè delle modalità del suo svolgimento (feriale, festivo, notturno), dei
tempi e dei periodi di attuazione, nonché il contenuto della memoria difensiva di
controparte in risposta ai predetti atti con riguardo a tale specifico aspetto della
questione, al fine di consentire a questa Corte di verificare se realmente si ebbe, come

Infatti, dalla sentenza impugnata si ricava che nell’atto introduttivo del giudizio la
domanda era stata ancorata al termine del 31.12.1995, per cui la richiesta di computo
delle ore di straordinario per il periodo successivo alla stessa data di deposito del
ricorso, avanzata per la prima volta in corso di giudizio attraverso la memoria di
costituzione del nuovo procuratore dei ricorrenti, non poteva non involgere un nuovo
tema d’indagine, posto che non si trattava di esaminare un semplice dato quantitativo
aggiuntivo, come vorrebbe far intendere la difesa dei ricorrenti, occorrendo verificare,
ai fini dell’accertamento della fondatezza della nuova richiesta, se l’attività lavorativa
indicata come straordinario era stata prestata ed in quali termini e modalità anche per
il periodo successivo al 31.12.1995, data finale, quest’ultima, alla quale la domanda
era stata, invece, ancorata. In definitiva, si rendeva necessaria una indagine di merito
che comportava una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quanto
precisato dai ricorrenti con l’atto introduttivo del giudizio in ordine all’espletamento
dello straordinario fino ad una certa epoca.
Orbene, il mutamento della domanda può dipendere non solo dal mutamento del suo
oggetto ma anche dall’introduzione nel processo di fatti implicanti un tema d’indagine
e di decisione nuovo fondato su presupposti diversi da quelli ai quali era ancorato
l’atto introduttivo del giudizio, in guisa tale da disorientare la difesa della controparte e
da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio, tanto più che quest’ultimo, nel
rito del lavoro, deve essere ben delineato sin dall’inizio nei suoi aspetti di fatto e di
diritto.
Non va, infatti, dimenticato che nel rito del lavoro la disciplina della fase introduttiva
del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso
del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo
informano, al fine di consentire (alte parti ed al giudice) la costruzione
(tendenzialmente irreversibile) del quadro della controversia e del corrispondente
progetto istruttorio.
Un ulteriore profilo di inammissibilità della domanda discende dal modo in cui è stato
prospettato il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.

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ora sostenuto nel presente ricorso, una semplice modifica della domanda.

Infatti, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è
precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti

esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc.
civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando”
tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”,
fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio
di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia
stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta
un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del
controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile
2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al
minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità,
per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della
motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto
con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del
difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni
inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Ma è evidente che nella specie la valutazione della continuità dello straordinario non è
affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in
modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla
insussistenza del diritto al riconoscimento del lavoro straordinario che sarebbe stato
svolto in epoca successiva al deposito del ricorso di primo grado.
2. Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
84 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn. 3-5 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di
norme di diritto circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di
discussione tra le parti e ciò in ordine al mancato riconoscimento delle mansioni

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e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un

superiori. E’, altresì, denunziato il vizio di “error in procedendo” ai sensi dell’art. 360 n.
4 c.p.c.
Ci si duole, in sostanza, del rigetto dell’appello incidentale concernente la richiesta di
riconoscimento al Malara delle mansioni superiori corrispondenti al nono o all’ottavo
livello funzionale e della motivazione di tale decisione, incentrata sulla rinuncia alla
domanda da parte del primo difensore, denunziandosene l’inefficacia, trattandosi di

speciale.
Anche tale motivo denota un profilo di inammissibilità per la sovrapposizione di mezzi
d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate
dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., per cui si richiamano le
ragioni già espresse in occasione della disamina della prima censura.
In ogni caso il motivo è infondato.
Invero, occorre considerare che questa Corte (Cass. Sez. 3, n. 1439 del 4.2.2002) ha
già avuto modo di statuire che “la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora
si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare ai sensi dell’art. 184
cod. proc. civ. (e 420 cod. proc. civ. per le controversie soggette al cosiddetto rito del
lavoro), le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri
del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete
nell’impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi
della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del
proprio rappresentato), distinguendosi così dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può
essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle
forme rigorose previste dall’art. 306 cod. proc. civ., e non produce effetto senza
l’accettazione della controparte.”
In senso analogo si è espressa questa Corte (Cass. Sez. 3, n. 23749 del 14/11/2011)
allorquando ha affermato che “la rinuncia alla domanda, a differenza della rinuncia agli
atti del giudizio, non richiede l’adozione di forme particolari, non necessita
di accettazione della controparte ed estingue l’azione.”
Considerato, pertanto, che il difensore del Malara poteva rinunziare al capo della
domanda riflettente la richiesta del superiore inquadramento e rilevato, altresì, che il
giudice d’appello ha affermato che tale rinunzia era incondizionata e che la stessa era
stata accettata dal procuratore della controparte, correttamente il medesimo
giudicante ha dichiarato estinta la relativa azione.
Il fatto che successivamente, a distanza di tre anni, il ricorrente precisò che
l’intenzione di rinunzia era subordinata alla definizione integrale della controversia non
fa venir meno la validità della “ratio decidendi” adottata dalla Corte di merito in ordine

diritto esercitabile solo dalla parte personalmente o da difensore munito di procura

alla riscontrata natura incondizionata della rinunzia validamente espressa dal
procuratore di allora ed accettata dalla controparte. Tra l’altro, in spregio al principio
di autosufficienza che governa il giudizio di legittimità, il ricorrente non ha prodotto il
testo integrale del verbale in cui il suo precedente difensore espresse la rinunzia, onde
consentire a questa Corte di raffrontarlo con quello in cui fu rettificata l’intenzione di
rinunzia, al fine di verificare la fondatezza dell’assunto difensivo circa l’asserita natura

In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate
come da dispositivo a loro carico, unitamente al contributo unificato dovuto ai sensi
del comma 1-bis dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P. Q. M .
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente
giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 13 gennaio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

condizionata della stessa rinunzia.

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